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Il dono del riconoscimento

Le dottrine politiche che hanno prestato attenzione alle ingiustizie, hanno sottolineato quelle che riguardano l’equa distribuzione dei beni materiali e immateriali, ma non hanno visto questa di cui stiamo parlando. Eppure anche qui è questione di un bene negato o “distribuito” male, che però si produce a un livello e con modalità così elementari da non essere quasi notato. Giacomo Leopardi, tuttavia, vi alludeva quando parlava della “fama” e, adolescente, compiangeva coloro che alla fama non possono aspirare (ma non vedeva il fossato che si stava aprendo fra lui e la sorella che gli era stata compagna carissima di giochi e confidenze).

Oggi quel bene ha ricevuto un nome, “riconoscimento”, non ancora il suo ma bastante a indicarlo poiché ne possiamo parlare. Oggi, come noto, il bisogno di riconoscimento è molto sentito e diffuso. Vi sono analisti che lo considerano un sintomo di malessere collegato all’individualismo moderno. Non sono d’accordo, secondo me il bisogno di riconoscimento ha una radice più profonda e sana, relazionale: esprime la domanda di vedere negli occhi di altri che la propria esistenza ha valore per se stessa, perché, senza questa conferma, diventa difficile che essa ne abbia ai propri occhi.

Per Leopardi, lo sappiamo, il riconoscimento era qualcosa da conquistare nobilmente, compiendo opere grandi e memorabili. Oggigiorno sembra che siano scaduti, il riconoscimento lo dà il successo e lo sancisce, agli occhi delle masse, l’andare in televisione (…).

Ma quali che siano i nomi e i mezzi o i surrogati, come sua origine propria il bene di vedersi riconosciute/i nella propria esistenza singolare e non in funzione di altro o di altri, questo bene si produce nella relazione materna.

La prima cosa da sapere, riflettendo su queste cose, è che nella relazione materna non si dà né giustizia né ingiustizia, non può darsi perché quella relazione precede anche il formarsi di un senso di giustizia. Il riconoscimento materno è un dono allo stato puro, nasce dalla gratificazione di lei che si rispecchia nella creatura cui ha dato la vita. Poi, però, come gli altri beni che hanno origine nella relazione materna, anche questo entra nella vita sociale dove circola, si trasforma, si distribuisce, si vende, si compra, si copia, si accumula, a seconda di quello che chiamiamo ordine simbolico di una certa società, ordine o disordine. E si verifica così l’ingiustizia, che indignò il poeta Franco Fortini (ndr: quando scrisse l’introduzione alle lettere di Paolina Leopardi), della valorizzazione del maschile a danno delle donne… a danno e spese, poiché ora scopriamo che si tratta di un bene di origine femminile.

Non si tratta solo della madre perché, in ogni situazione di scambi fra umani, se una donna è presente, qualcosa di quell’antica relazione rivive e il bene sena nome si riproduce. Ma quello che si offre gratuitamente da parte di lei, consapevole o inconsapevole che ne sia, le viene sottratto per l’uso e consumo maschile senza ricambio, come fosse cosa dovuta. E’ come una sottrazione di sostanza simbolica e non è necessariamente opera di singoli, la cultura stessa essendo predisposta a ciò, come abbiamo visto.

L’infelice eroina della poesia Accanto a un bicchiere di vino (di Wilsawa Szymborska) si è spesa tutta nel produrre e regalare questo bene al suo lui, senza considerare che, dopo il primo inenarrabile colpo di felicità, non le sarebbe tornato indietro niente o quasi niente. Ma quando, invece, capita che lei non produca o non regali, lui arriva a odiarla e la offende, perfino in pubblico: sembra misoginia ma è l’insopportabile delusione di un lattante.

Mi torna in mente un tristissimo fatto di cronaca, il massacro di una giovane africana rimasta senza nome, nella campagna piemontese, a opera del suo altrettanto giovane cliente, uccisa senza nessuna ragione di malattia mentale o soldi, la ragione era proprio questa, come si può ricavare dal racconto che l’omicida, tutto insanguinato, fece agli esterrefatti carabinieri, e cioè che lei aveva riso vedendo le dimensioni del suo pene.

Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Luisa Muraro, Carocci, 2011 (pp. 61-62 )

Nato

Dunque è sua madre.
Questa piccola donna.
Artefice degli occhi grigi.

La barca su cui, anni fa,
lui navigò fino a riva.

E’ da lei che è venuto fuori
nel mondo,
nella non-eternità.

Genitrice dell’uomo
con cui salto attraverso il fuoco.

E’ dunque lei, l’unica
che non lo scelse
pronto, compiuto.

Da sola lo tirò
dentro la pelle a me nota,
lo attaccò alle ossa
a me nascoste.

Da sola gli cercò
gli occhi grigi
con cui mi ha guardato.

Dunque è lei, la sua Alfa.
Perché me l’ha mostrata?

Nato,
Così è nato, anche lui.

Nato come tutti.
Come me, che morirò.

Il figlio di una donna reale.
Uno venuto dalle profondità del corpo.
Un viaggiatore verso l’Omega.

Esposto
alla propria assenza
da ogni dove,
in ogni istante.

E la sua testa
è una testa contro un muro
cedevole per un momento.

E le sue mosse
sono tentativi di eludere
il verdetto universale.

Ho capito
che è già a metà del cammino.

Ma questo non me lo ha detto,
no.

“Questa è mia madre”
mi ha detto soltanto.

da Vista con granello di sabbia (1957-1993), Wislawa Szymborska, Adelphi, 2004, a cura di Luca Bernardini, traduzione di Valentina Parisi

A Doris

scrivere il curriculum

cos’è necessario?
è necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare un curriculum.

a prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

è d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.

di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
i viaggi solo se all’estero.
l’appartenenza a un che, ma senza un perché.
onorificenze senza motivazione.

scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
aggiungi una foto con l’orecchio in vista.
è la sua forma che conta, non ciò che sente.
cosa si sente?
il fragore delle macchine che tritano la carta.

wislawa szymborska da gente sul ponte, scheiwiller