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appunti per Mi chiamo M.M. n.13

fitzcarraldo

L’eccesso di vita attenua il sentimento della vita (“secondo che il troppo è padre del nulla”). E’ questo il solo caso in cui l’ “abbondanza di vita” si accompagna alla riduzione dello stato d’infelicità (beninteso, “astraendo dalle circostanze che possono produrre in qualche parte  il contrario”): lo stato di ebbrezza è il solo che “include, suppone e porta seco ed ha per madre l’abbondanza relativa della vita e del sentimento di lei”.

da Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi, Antonio Prete, Feltrinelli

L’Inumano

Sepoltura del Conte d’Orgaz, El Greco

Nelle opere dell’uomo apprezzo soltanto la quantità di inumanità che vi si trova.
Conosco troppo bene quel che è umano. Ho sofferto, ho gioito; ho visto giusto, mi sento distruggere dal tempo: fui lodato; biasimato, acclamato, schernito, trattato con gli epiteti più piacevoli e con parole diverse. ecco che cosa è umano, secondo gli umani. Non mi piace rimuginarlo nei libri.
Ma ciò che non dipende da tutto questo – l’ordine- il possibile quale si dà nelle arti (fra cui quella dell’ingegnere).

da Quaderni – Volume Primo, Paul Valéry, Adelphi, trad.di Ruggero Guarini

dalla via purgativa all’unione

Così, in questo passaggio, patisce l’anima quanto all’intelletto grandi tenebre, quanto alla volontà grandi aridità e angustie, e nella memoria grave cognizione delle sue miserie, poiché nella visione che ha di sé l’occhio spirituale è chiarissimo

da Fiamma d’amore viva, San Giovanni della Croce, Se Studio Editoriale, a cura di Cesare Greppi

Augusto capì d’essersi perso, d’aver smarrito la strada. La sua vera tragedia, cominciava a capire, stava nel fatto d’essere incapace di comunicare agli altri quella scoperta: che esisteva un altro mondo, un mondo al di là dell’ignoranza, al di là del caduco, al di là del pianto e del riso. Era quello l’ostacolo che lo costringeva a rinchiudersi nella maschera del clown: giullare di Dio, magari, perché nessuno al mondo avrebbe saputo sciogliere il suo dilemma.

E a questo punto gli fu chiaro – oh, com’era semplice!- che nessuno, nessuno, neanche il mondo intero, avrebbe potuto impedirgli d’esser se stesso. Se davvero era un clown, allora doveva esserlo fino in fondo, da quando apriva gli occhi al mattino, fino a sera, quando li richiudeva. In stagione e fuori stagione, a pagamento o per il semplice piacere. Ora sì che era incrollabilmente sicuro della verità di questa idea: e ardeva dal desiderio di cominciare subito…senza cerone, senza trucco, senza costume, senza neppure l’accompagnamento di quel vecchio violino stridulo…Essere così totalmente se stesso che si sarebbe vista solo la verità, che ora gli bruciava dentro come un fuoco.

Richiuse gli occhi, ricadde nelle tenebre. Rimase così, a lungo, respirando piano e quietamente al capezzale di se stesso. E quando alfine riaprì gli occhi, vide un mondo dal quale il velo era stato strappato via. Un mondo esistito da sempre nel suo cuore, sempre sul punto di manifestarsi, ma che solo nell’attimo in cui il cuore batte finalmente all’unisono, comincia a pulsare di vita.

Augusto ne fu così commosso da non credere ai propri occhi. Se li sfregò col dorso della mano, ma soltanto per sentirseli ancora umidi delle lagrime di gioia che inavvertitamente gli erano sgorgate. Stette diritto, impettito sulla panchina, con gli occhi sbarrati, fissi davanti a sé, sforzandosi di adattare la visione alla visione. Dal profondo di se stesso saliva incessante un mormorio di ringraziamento.

Quando il sole soffuse la terra dell’ultima febbre dorata, egli s’alzò dalla panchina. Forza e desio gli correvano per le vene. Rinasceva, moveva i primi passi nel magico mondo della luce. D’istinto, proprio come gli uccelli spiegano le ali, egli spalancò le braccia nel gesto di abbracciare tutto il creato.

La terra svaniva lentamente nel rosso scuro che annuncia e precede il crepuscolo. Augusto camminava barcollando, estasiato.

“Finalmente! Finalmente!” urlò, ma in realtà il suo grido era solo un pallido riverbero dell’immensa gioia che lo sconvolgeva.

 

da Il sorriso ai piedi della scala, Henry Miller, Feltrinelli, trad.di Valerio Riva

la malattia mortale


woyzeck di werner herzog

ahimè, e poi quella miseria per cui tanti passano la vita così, privati dal pensiero più beato, quella miseria per cui la gente si occupa o, rivolgendosi alla massa degli uomini, li fa occupare di tutte le altre cose, li adopera per impiegare le loro forze nello spettacolo della vita, li fa radunare in massa, per ingannarli, invece di disperderli, affinché ogni singolo individuo possa ottenere il bene più alto.

da la malattia mortale, s.kierkegaard


martha di rainer werner fassbinder


bubble di steven soderberg


difesa/offesa