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la vogliamo pericolante

weegee pericolante

– In arte – principiò a dire – bisogna battere sul levare. Il poeta è un costruttore ma, a differenza dell’architetto che deve assicurare la statica dell’opera, egli deve garantirne l’instabilità. Perciò l’ingegnere-poeta si ingegnerà di lasciare la sua opera in qualche misura pericolante sì che lo spettatore o il lettore vengano sollecitati, come d’istinto, a sorreggerla, a puntellarla quasi stesse per crollare.

(…)

il bacio di weege

– Ma come… – disse l’autore – le pagine non sono numerate!
– No – disse lei – ogni pagine il fine, ognuna il comincio. Un filo rosso segreto trapunge il mio romanzo ed è il lettore che lo deve rintracciare. Il mio libro è un thrilling dove il senso, come l’assassino, si nasconde, sta sempre in agguato. Nessun nesso mi interessa, neanche quello elementare e meccanico dell’ordine numerico.

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weegee_folla_a_coney_island

– Quanto le lettere dell’alfabeto sono miti e accomodanti, tanto le parole sono superbe e arroganti. Come qualsiasi aggregato è peggiore dei suoi componenti, il gruppo peggiore dell’individuo, così le parole sono peggiori delle lettere che le compongono, le frasi peggiori delle parole, i periodi peggiori delle frasi ma pur sempre migliori dei paragrafi e questi a loro volta migliori dei capitoli e così via. Se poi le parole si aggregano in un’opera, mettiamo in un romanzo, pretendono di esprimere cose più grandi di loro. Non parliamo poi delle parole chiamate a comporre trattati. Esse sono intrattabili. Non hanno più nulla della purezza dei suoni che le compongono, ma, cristallizzate nei significati, assumono una loro pedante accademica albagia. Si rivestono di austeri paludamenti a nascondere il pensiero più che a esplicitarlo. Le parole acquisiscono una loro identità, una loro apparenza sociale: si fanno piccolo-borghesi.

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weegee murder is my business

– La letteratura, come la vita – dice l’Autrice – è l’esigenza mai risolta di sovrapporre la razionalità della causa alla violenza del caso. Ma è questo che domina comunque. Scrivere un romanzo è voler assumere la violenza della casualità, l’arbitrio del nominare come quello del nascere e del morire, del creare e dell’uccidere: la ferocia di Dio.
L’immoralità è propria del romanzo: “la signora uscì alle cinque”. Ella dovrà avere un nome, avrà al guinzaglio un cagnolino, in testa un cappello da cui spunterà qualche ciocca rossa.
Perché così e non altrimenti? Perché la mia e non altra mente! Diversamente, diversa mente. Scriver romanzi…un’etica profonda lo dovrebbe vietar serenamente. Se veramente fosse così!
E allora la realtà delle cose, delle persone e dei personaggi è questo mediocre gioco di parole, niente di più, niente altro che questo.
Un poeta non può scrivere un romanzo. Perché non può misurarsi con fatti che non si dimensionino con le parole. In poesia la parola non dice, non comunica, non significa, non enumera, la parola semplicemente “è”.
I fatti, le circostanze, i nomi sono gratuiti, arbitrari, volgari, possono essere o non essere, non hanno la necessità sublime e ineludibile della parola poetica.
La sfida è quella di creare un racconto che sopprima i nomi, senza tempo, senza luoghi, senza personaggi. Questi non si affaccino altro che per negare se stessi e le circostanze che li determinano e li negano a loro volta. Compito del libro, di qualsiasi libro, non può essere che quello di significare la ferita immarginabile tra l’immaginabile e l’impaginabile.

da Controcielo. Romanzo grottesco, Mauro Marè, All’Insegna del Pesce d’oro

 

a tu per tu

Weegee

Colle persone colle quali penso di poter convenire, non amo di parlare in compagnia, parte perché i circostanti non conoscendomi bene (giacché io non soglio farmi conoscer da tutti) darebbero di me a queste persone sia direttamente che indirettamente una idea falsa; parte perché io stesso per non entrare in dispute ch’io sfuggo a più potere con quelli che hanno diversi principii, e per non obbligare quella stessa tal persona ch’io stimassi, ad entrarvi, dissimulerei necessariamente, e così cercando d’ingannar gli altri, ingannerei anche colui, il quale mi crederebbe uno di quei tanti coi quali egli non può convenire.

dalla p.71 dello Zibaldone di Giacomo Leopardi

senza parsimonia

weegee

Quanti ricordi vanno a baciarsi con i pensieri! Il pensiero ha origine del fine: chi non si pone mete non pone mente. L’origine è da sempre incominciata ma la fine è già iscritta nell’origine. Dunque la fine è ciò che era in principio. La vita è il trascurabile scarto rispetto a ciò che già da sempre è finito. Per questo va vissuta senza parsimonia.

(…)

Una torma di bruchi che dorma sognando farfalle. Brulichio di esserini intercambiabili, ognun dei quali sogna d’esser unico, inconfondibile.
Ciò che ci muove è la domanda di senso. Non potendo ottenerlo come significato, lo cerchiamo come direzione.
Eppure la vita è gioco per noialtri, noi in quanto altri, altri di volta in volta, gioco del farsi altri per provocare il comico, per sottrarci al tragico.
Fuggire l’identità. Essere sempre altri in un teatro mutevole. Questo gioco del teatro e questo teatro del gioco oltre il senso del limite e oltre il limite del senso è fuori del romanzo: il romanzo è borghese perché abbisogna dell’identità che nasce solo dall’appartenenza, dalla necessità sociale. Il romanzo è incompatibile con la filosofia e con la poesia perché queste sono cosmiche e antiborghesi, in quanto attingono direttamente l’universale. Il romanzo ha germinato nell ferita che ha separato la filosofia dalla poesia.
Un romanzo che sia post-moderno e che nello stesso tempo superi il post-moderno in direzione speri-mentale dev’essere in grado di ricreare la suprema sintesi dei valori universali poetico-filosofici ma non può essere altro che un romanzo che assiomaticamente si neghi come romanzo.

da Controcielo. Romanzo grottesco, Mauro Marè, All’Insegna del pesce d’oro

vento di marzo

weegee telefono

Mi trascini a fine inverno in un diluvio
(sgrondano gl’incerati negli androni)
la neve che non è più rivedo;
ancora ritardano le gemme.
Dimmi non sarà derisorio
il vento di marzo per carità di un
demone tormento
ridicolo di lucciola. Ah,
tu, presto una mattina vattene.
Lasciami. Dopotutto so
di avere ricevuta in aggiunta
alla morte la vita. Potrei
renderla in qualunque momento
svenata del suo incanto.
Non nel vento di marzo quando
macera una grazia sugli alberi,
pavide gocciano le foglie.
Non nel vento di marzo.
Anche se da ieri i tuoi occhi
di un giorno muoiono raggiando.

da Sguardo dalla finestra d’inverno, Ferruccio Benzoni, All’Insegna del Pesce d’Oro

lost words

weegee lost children

L’idea di una filosofia per immagini, che Benjamin sembra talvolta evocare, non è una metafora, ma va presa alla lettera. L’ immagine di pensiero, come l’allegoria rinascimentale, è un mistero, in cui ciò che non può essere esposto discorsivamente per un attimo brilla attraverso le rovine del linguaggio.

da La ragazza indicibile. Mito e mistero di Kore, Giorgio Agamben, Monica Ferrando, Electa