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Sybil Gage, mente centrale di Wallace Stevens

Qual è l’aspetto della sibilla? Non,
Una volta tanto, la donna lustrata, seduta
Fra colorazioni armoniose, rorida e gemmea
Di esse: simbolo sgargiante seduto
Sul seggio del sacro, iridato,
Che penetra lo spirito con l’apparenza,
Summa delle vite più elevate
E loro scettro reggente, corona
Ed estremo fulgore e profondo spettacolo.
È invece la sibilla dell’io,
L’io come sibilla, il cui diamante,
Il cui principale abbracciare ogni ricchezza,
È la povertà, il cui gioiello trovato
Al più esatto centro della terra
È la necessità. Per questo l’aspetto della sibilla
È una cosa cieca che cerca tentoni la sua forma,
Una forma che è zoppa, una mano, una schiena,
un sogno troppo povero, troppo indigente
Per essere ricordato, le vecchie fattezze
Consunte e chine al nulla,
Una donna che guarda giù per la strada,
Un bimbo addormentato nella sua vita.
Misurano il diritto di usare. La mancanza produce
Il diritto di usare. La mancanza nomina col suo fiato
Categorie di nuda necessità.
Le quali solo nominarle è creare
Un aiuto, un diritto all’aiuto, un diritto
A sapere cosa aiuta e a raggiungere,
Per diritto di conoscenza, un altro piano.
La donna lustra è ora vista
In un isolamento, separata
Dall’umano nell’umanità,
Parte dell’inumano più,
L’ancora inumano più, eppure
Un inumano dalle nostre fattezze, noto
E ignoto, inumano per breve tratto,
Inumano per un tempo piccolo, minore”.

La grande vela di Ulisse sembrava,
Nelle pause di questo soliloquio,
Viva del battito di un enigma…
Come se un’altra vela procedesse
Diritta attraverso un’altra notte
E ammassi di stelle pendule si tutta la via.

da La vela di Ulisse – VIII, Wallace Stevens, da Il mondo come meditazione, Guanda, trad. di Massimo Bacigalupo

 

Nel 1954, un anno prima di morire, Wallace Stevens scriveva di Sybil in sé: pensiero dominante, musa, finzione suprema, monologo interiore, mente centrale.

Per saperne di più: (http://wallacestevens.com/wp-content/uploads/2016/05/Vol.-32-No.-1-Spring-2008.pdf)

Mentre lasci la stanza

Parli. Dici: Il carattere di oggi non è
Uno scheletro uscito dall’armadio. E nemmeno io.

Quella poesia sull’ananas, quella
Sulla mente che non è mai soddisfatta,

Quella sull’eroe credibile, quell’altra
Sull’estate, non sono ciò che pensano gli scheletri.

Mi domando, ho vissuto una vita da scheletro,
Come un miscredente della realtà,

Concittadino di tutte le ossa al mondo?
Ora, qui, la neve che avevo scordato diventa

Parte di una realtà prima, parte di
Un apprezzamento della realtà

E con ciò un’elevazione, come se andassi via
Con qualcosa che potessi toccare, toccare a fondo.

Eppure nulla è stato cambiato se non ciò che è
Irreale, come se nulla fosse cambiato affatto.

da Il mondo come meditazione, Wallace Stevens, trad. di Massimo Bacigalupo

Light the first light of evening

Light the first light of evening, as in a room
In which we rest and, for small reason, think
The world imagined is the ultimate good.

This is, therefore, the intensest rendezvous.
It is in that thought that we collect ourselves,
Out of all the indifferences, into one thing:

Within a single thing, a single shawl
Wrapped tightly round us, since we are poor, a warmth,
A light, a power, the miraculous influence.

Here, now, we forget each other and ourselves.
We feel the obscurity of an order, a whole,
A knowledge, that which arranged the rendezvous.

Within its vital boundary, in the mind.
We say God and the imagination are one…
How high that highest candle lights the dark.

Out of this same light, out of the central mind,
We make a dwelling in the evening air,
In which being there together is enough.

Wallace Stevens e Kenneth Patchen

19 aprile 1941

Caro Patchen,

   Si renderà conto senz’altro che quello che lei propone è che io paghi per la stampa del suo libro e che prenda il libro come garanzia. Però, il libro non è per niente una garanzia; se per qualsiasi motivo la sua vendita dovesse essere impedita (posso dedurre che chi ha pensato per primo di pubblicarlo possa aver avuto un simile timore), come potrei fare per riavere i miei soldi? Se, anziché darne via delle copie, le distruggessi, lei probabilmente direbbe che io l’ho assassinata. […]

  Vorrei aiutarla, ma l’ultima cosa al mondo che posso pensare di fare è di farmi carico dei suoi problemi; ho già i miei. Se riesce a trovare diciannove persone disposte a mettere 50$ a testa, io sarò la ventesima. Non capisco come io sia potuto arrivare ad essere così coinvolto dalle sue faccende. Francamente devo dire che mi interessa quel che scrive solo in quanto letteratura e basta. […]

                                                                                            Sinceramente suo,

WS

traduzione di Aldo Bandinelli per Emiliano degli Orfini

Kenneth Patchen, uno dei padri della beat generation: per saperne di più

Wallace e Sybil

TO THE ROARING WIND

What syllable are you seeking,
Vocalissimus,
In the distances of sleep?
Speak it

da Harmonium, Wallace Stevens

dalla lettera n.760 a Richard Eberhart del 4 dicembre 1950:

(…) After leaving you, I walked through Hilliard Street, the name of which seemed to be familiar, until it came out in Cambridge Common by Radcliff. At the point where it comes out Radcliff is on the left. At the right there is an old dwelling where one of the most attractive girls in Cambridge used to live: Sybil Gage. If your wife is native of Cambridge, she may have heard of Sybil Gage, although I am speaking of a time long before your wife was born. Her father was a friend of W.G.Peckham, a New York lawyer, in whose office I used to work at one time, and the two of them, and some others, were, I believe, the founders of the Harvard Adovcate. But my principal interest in Mr.Gage, who was dead when I lived in Cambridge, was the fact that he was the founder of Sybil. A few years after I had left Cambridge I was a guest at Peckham’s place in the Adirondacks and who should turn up but this angel; so that instead of being a street that I had never heard of Hillard Street turns out to be a street that I passed every day.

.-.-.

(…) in “Anecdote of the Jar,” Stevens does something similar. He had previously read Dante’s A New Life, where the poet speaks of his initial meeting with the nine-year-old Beatrice Portinari, including the Latin phrase “ecce deus fortior me, qui beniens dominabitur mihi” [the god of love, greater than I, came and took dominion over me]. This was Dante’s first meeting with his muse. In “Anecdote of the Jar,” a poem composed in 1919, when Stevens was still part of the Arensberg group, Stevens writes:

The jar was round upon the ground
And tall and of a port in air.
It took dominion everywhere.

This wordplay on the name Port-in-ari seems obvious (once you see it), but commentators have puzzled over “port in air” since the poem was published. Ford’s discovery that “Anecdote of the Jar” contains Beatrice Portinari’s name coupled with the phrase “took dominion” that Dante used to describe his falling in love with Beatrice is key to our discussion of the extent to which Stevens may have experimented with including ciphers and other hidden messages in some of his poems during this stage of his poetic development. Once we see that he almost certainly concealed a secret message in “Anecdote of the Jar,” it becomes even more likely that the apparent wordplay in some of his other poems did not occur by chance. And it is especially relevant that this cipher is the name of the most famous muse in literary history. Stevens’s inclusion of the name of Dante’s muse, Beatrice Portinari, in a poem in Harmonium could be his private way of announcing that elsewhere in Harmonium he had included concealed messages about his own muse—Sybil Gage

Per saperne di più di Sybil Gage per Wallace Stevens

Moore e Stevens

Una carrozza dalla Svezia

Dicono che vi sia un’aria dolce
più della nostra, dove fu fabbricata:
un’atmosfera da castello d’Amleto.
In tutti i modi anche a Brooklyn c’è
qualcosa che mi fa sentire a casa.
Forse nessuno vede questo pezzo
da museo, messo in disparte, questo carro di campagna
che una gioia interiore ha fatto arte;
eppure, in questa città d’integrità
lentigginosa, ecco una vena
di resinata dirittura che arriva da una Svezia
indurita dal vento del Nord,
da quel suo arcipelago di rocce
che un tempo rifiutava il compromesso. Washington
e Gustavo Adolfo, perdonate la nostra decadenza.
Sedili, parafango e fiancate di un tessuto liscio
come scorza di zucca, un predellino fiorito, un freno
come cigno dardeggiante, e rotanti creature anfibio
con forme équipe e code da crostacei
a decorare l’asse della ruota! Che
stupenda cosa! È che idillio
che non dà la noia! È com’è bella, lei,
con l’ inchinarsi naturale della
sua nivea aigrette, con occhi grigi e con capelli lisci,
quella cui la carrozza è destinata –
e di cui mi richiama la presenza. I capelli
biondi come schegge di pino, gli occhi fermi
e chiari, occhi di sula, e il passo rapido, da cervo,
sopra un sentiero di aghi di pino: ecco la Svezia, paese degli
uomini liberi, suolo propizio all’abete rosso-
verticale anche quando è pianticella- tutto aghi:
e si apre da sé, da un tronco verde,
un palco verde sopra l’altro palco, come un ventaglio.
L’ago le danza delle calze bianche sopra le suole
spesse! Rifugio per gli ebrei di Danimarca!
Le rustiche caraffa e le coperte filate a mano,
il kraken con le zampe nocchierute e le forme canine,
i bottoni pendenti e gli alamari
che bordano le giunge della festa! Svezia
tu hai un corridore detto il Cervo, il quale,
quando ha vinto una corsa, vuole ancora
correre; e hai i pinnacoli rivoei
a est e ovest sotto il sole, il tavolo
imbandita come per un banchetto; e le doppie
pieghe applicate sul gilet con effetto
di pinna di pesce, quando potresti farne a meno. Svezia,
che cosa fa vestire la gente a questo modo
e ispira in chi ti vede la voglia di restare?
Il corridore forse, che non è stanco e vuol correre ancora alla fine della corsa? E quella
carrozza, che ha la grazia di un delfino? Un faro
di Dalen, che si accende da sé? – che risponde ed è
responsabile. Capisco:
non sono i sentieri di aghi di pino che danno slancio
a chi vi corre sopra, è una Svezia
di bianchi castelli conti di fossati – l’aiuola
di bianchi fiori cresciuti densamente in forma di S
A significare Svezia e saldezza,
sagacia, ed una superficie su cui è scritto:
Fabbricato in Svezia: le carrozze sono la mia specialità.

da Poesie, Marianne Moore, Adelphi, trad. di Lina Angioletti e Gilberto Forti

——

Il pregiudizio contro il passato

Il giorno è l’amico dei bambini.
È il carretto svedese di Marianna.
È questo e un cappello molto grande.
Circoscritti da quel che vedono,
i pedanti aquilini trattano il carro
come una delle reliquie del cuore.

Trattano il cappello del filosofo,
dimenticato distrattamente,
come una delle reliquie della mente…
Del giorno, dunque, i bambini fanno
quel che i pedanti prendono
per dei souvenir del tempo, tempo perso,
addii, forme, immagini…
no, non del giorno, ma di se stessi,
Non del tempo perpetuo.
E perciò i pedanti aquilini trovano
il cappello del filosofo parte della mente,
il carretto svedese parte del cuore.

da Trasporto all’estate, Wallace Stevens, trad. di Massimo Bacigalupo

Il barbaro verde in blu

In cosa crederò? Se l’angelo dalla sua nube,
Mentre sereno fissa l’abisso violento, tocca
Le corde e gli strappa la gloria abissale,

Si slancia quaggiù tra le rivelazioni della sera,
E ad ali spiegate, solo lo spazio profondo gli manca,
Dimentico del centro d’oro, del destino dorato,

S’infiamma nel moto immoto del suo volo,
Sono io che immagino l’angelo insoddisfatto?
Sono sue le ali, l’aria di lapislazzulo?

E’ lui o sono io che sento così?
Sono io che dico e ripeto che c’è un’ora
Di grazia dicibile, in cui di nulla ho bisogno,

Nessun desiderio, sono felice, e scordo la mano dorata
Del bisogno, soddisfatto senza maestà che consoli,
E se c’è un’ora così, ci sarà un giorno,

Ci sarà un mese, un anno, un tempo
Quando la maestà è uno specchio dell’io:
Io non ho, ma sono, e poiché sono, io sono.

Queste regioni esterne come le riempiremo,
Se non di riflessioni, evasioni della morte,
Cenerentola che s’appaga al riparo del tetto?

da Note verso la finzione suprema – Deve dare piacere, VIII, Wallace Stevens, Arsenale Editrice, trad. di Nadia Fusini

Poesia con ritmi

La mano fra la candela e il muro
diviene grande sul muro.

La mente fra questa o quella luce e lo spazio
(quest’uomo in una stanza con un’immagine del mondo,
quella donna in attesa dell’uomo che ama)
diviene grande proiettata nello spazio:

Là l’uomo vede l’immagine finalmente chiara.
Là la donna riceve l’amante nel cuore
e piange sul suo petto, per quanto egli non giunga mai.

Deve essere che la mano
vuole divenire più grande sul muro,
divenire più grande e pesante e forte
del muro; e che la mente
si volge alle proprie figurazioni e dichiara:
“Quest’immagine, quest’amore, di questi
compongo me stessa. In questi emergo esternamente.
In questi indosso una freschezza vitale,
non come nell’aria, che sembra azzurro vivo,
ma come nello specchio potente del mio desiderio e volere.”

da Parti di un mondo  –  Poesie, Wallace Stevens, Mondadori, a cura di Massimo Bacigalupo