Tag Archives: umberto saba

brevimiranza n.1

I vari Betocchi, Vigorelli, Villa si sono dati ad un singolarissimo culto del nome Montale (dico singolarissimo, perché si sta perdendo il senso delle proporzioni. Nessuno sa meglio di me che ci sono -con un non lieve residuo intellettualistico- cose molto belle negli Ossi di seppia. ma è altrettanto vero che, da quando scrisse Arsenio, Montale, come poeta è finito. La sua seconda raccolta, La casa dei doganieri, è totalmente negativa, e peggio che mai le cose posteriori!). Ungaretti vien ridotto ad annunziatore di una poesia, che in Montale è totalmente matura!
Io sono ignorato, e Betti attaccato. Ciò che Montale deve alle “petrosità” di Sbarbaro, e anche di Rebora, è taciuto. Di Saba non si parla più,è in fondo ignorato anche lui. Moscardelli, la cui ascesa è continua, è ignorato del pari. Onofri? Ignorato anche lui. La poesia moderna si chiama Montale!

da una lettera di Aldo Capasso a Luigi Fallacara del 1937

 

le feste in libreria

A Linuccia

 Trieste, 2 dicembre (ma gennaio) 1953

Mia cara Nucci, ti mando alcune cartoline della zia Regina, anche quasi a caso, nelle quali ho sottolineate le parole che ti riguardano.
Natale non è andato tanto male; ma ieri è stata una giornata atroce: tutto colpa quella strega della quale ti ho parlato al telefono, e, più ancora, mamma, che dava a me la colpa di tutto e, dopo tutto quello che avevo fatto perché passasse un buon primo dell’anno, è venuta in camera mia la mattina, dopo una notte per entrambi insonne, a farmi i più pungenti rimproveri per il mio contegno, ecc. Il mio contegno consisteva solo nell’aver parlato male con Goldstein delle feste, degli auguri, della mancanza d’immaginazione della gente che li fa a fuoco continuo, ecc. ecc. (Ero esasperato della giornata in Libreria, dei “buon fine e buon principio” ecc.ecc.); e quando, arrivato a casa, per mangiare le solite due uova in pace con mamma, ho sentito suonare la porta di casa. Erano Goldstein e sua moglie con in mano uno scovolo (1). Non dissi nulla contro di lei: dissi solo che anche il suo parente, il dott.Corsi, odia le feste e gli auguri. Lei capì (deve essere matta del tutto) che…il dott.Corsi aveva parlato male di lei a me. E a mamma si può ancora lasciare il portafoglio degli interni, ma non quello degli esteri (2).
A Carlo (benché non abbia risposto all’ultima mia) scriverò probabilmente oggi stesso per i ricordi-racconti.
Saluta Nello. Sono il tuo

papà

(1) In triestino la parola indica anche, per estensione scherzosa, un mazzo di fiori

(2) Saba tornerà sull’argomento in una lettera a Linuccia del 5 gennaio “Mamma sta bene; ma – come ti ho detto – mi ha completamente avvelenato il primo giorno dell’anno, ed anche la sera della vigilia (…) E pensare che avevo fatto tutto il possibile perché passasse un buon primo giorno dell’anno: avevo appagati tutti i suoi “ghee” e fatto venire da Bologna un bel tartufo. Ma pare avesse più importanza la suscettibilità della Goldstein (che io non offesi in alcun modo) che non la mia povera vita. Adesso è tutto passato e , al solito, tutto perdonato. C’è – c’è sempre stata- (anche in te) quella maledizione dell’estero”.

da Atroce paese che amo. Lettere famigliari (1945-1953), Umberto Saba, Bompiani

naviganti

Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore 
.

Umberto Saba