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Ore

Elemosina al malandrino in caccia!
occhio feroce ad occhio d’assassino!
ferro sul ferro dello spadaccino!
– l’anima mia non è in stato di grazia!-

Io sono lo svitato di Pamplona,
ho paura del riso della luna,
luna spiona in crespo nero…Orrore!
su tutto incombe un grande spegnitoio.

Mi sembra quasi un gracidar di rane…
è la malora che mi chiama, giù
nel cavo della notte: …due rintocchi.

Più di quattordici ore ho già contato…
Un’ora, una lacrima – Tu piangi, cuore mio.
Su, canta ancora – Smetti di contare.

Tristan Corbiere in Poesia. Mensile di Cultura Poetica. Anno 1 – Numero 2- Febbraio 1988, trad. di Clemente Fusero

Gente di mare

Non ho girato un mucchio d’oceani
come i Signori d’Orléans,
Ulissi a vapore alla ricerca…
né l’Arcipelago da spaccone;
né il Transatlantico così
come una cantante d’operetta.

Ma fu galleggiante la mia culla,
fatta come il nido dell’uccello
che cova le sue uova sull’onda.
Fu un’amaca il mio letto d’amore
e mi aspetto, tra breve, un sacco
con un pietrone per zavorra che affondi.

– Uomo di mare, capisco il mio marinaio
come quel bravuomo di Callot
capiva il suo illustre buonuomo…
– Va, buonuomo di mare malfatto!
Va, Musa con voce da alcolizzata!
Va, Capolavoro da taverna!

Incipit della poesia Gente di mare in Tutte le poesie, Tristan Corbière, Newton Compton Editori, trad. di Claudio Rendina

abc – bac – cba – acb – bca – cab di tristan corbière

Rondello

È tardi, bimbo, ladro di scintille!
E non ci sono né giorni né notti;
dormi…in attesa che vengano quelle
che dissero: Mai! che dissero: Sempre!

Senti i loro passi? Non sono gravi:
ah, piedi leggeri! -l’Amore ha le ali…

È tardi, bimbo, ladro di scintille!

Odi le loro voci…? Le tombe sono sorde.
Dormi: pesano poco i semprevivi:
gli orsi tuoi amici non verranno
a gettare la selce sulle tue damigelle:
è tardi, bimbo, ladro di scintille!

.-.-.

Ore

Elemosina al malandrino in caccia!
Occhio cattivo contro occhio assassino!
Dal ferro il ferro dello spadaccino!
– L’anima mia non è in stato di grazia!-
Io sono il pazzerello d Pamplona
che ha paura del riso della Luna
bigotta, con quel crespo così nero…
Sotto uno spegnitoio – orrore!- è tutto?

Sento come un limio di raganella…
Dal fondo delle notti è la malora
che mi chiama con un tocco, due tocchi.

Ho contato più di quattordici ore…
Ogni ora è una lacrima. – Tu piangi,
mio cuore…Canta – e non contare più!

.-.-.

Bastardo d’una Creola e d’un Bretone
venne anche là – formicario,
bazar dove niente è di pietra,
dove il sole non ha alcun vigore.

– Coraggio, ci si accoda…” Un piantone
vi spinge alla catena: indietro!
…Incendio spento, senza bagliore;
passano secchi, ora vuoti ora pieni.

Là, la sua povera Musa pulzella
batteva il marciapiede come quella
a cui chiedevano: Che cosa vende?

– Nulla. – Restava lì, rincretinita,
non udendo suonare il vuoto
mentre guardava passare solo il vento…

.-.-.

È la bohème, ragazzo: rinnega
la tua landa e il tuo campanile traforato,
le montagnole della tua colonia
e le danze primitive al rullo di tamburo.

Canzone sciupata e ormai finita
la tua giovinezza…Va bene per un giorno!
Ecco, questo è sempre nuovo: calunnia
i tuoi poveri amori…e l’amore.

Evoè, la tua coppa è colma!
Versa il vino e conserva la feccia…
Così…Nessuno ha visto il gesto

E che un giorno il candido signore
dica di te: – Ah, splendido! Infetto!
…O non dica nulla. È più breve.

traduzione a cura di Pasquale Di Palmo per il n.71 nell’Anno VII di Marzo 1994 della rivista Poesia, Crocetti Editore

 

o della casa come tana

Specchio della mente del suo proprietario, la casa ne sarà anche il corpo: un corpo adeso e catafratto come un carapace, formidabile baluardo ma anche strumento di tortura quale esempligratia la Vergine di Norimberga.
Maggiore la coesione, anzi l’identificazione, fra l’uomo e la casa, maggiore l’intolleranza per ogni intromissione mondana, automaticamente percepita come violenta ed incivile aggressione: laonde, nel vivo, nel moribondo e nel morto, la nota ostilità nei confronti degli intrusi e dei curiosi: ostilità destinata a scurirsi in odio feroce qualora gli intrusi non passino a volo come uccelli migranti, ma accampino ragioni per accampare se stessi nelle adiacenze della casa. Già la mera nozione della loro esistenza è cagione di tumulto quando gli adiacenti diano memento acustico di sé, della loro inopportuna e inutile vita. Donde più scarlatti sogni di sangue nella mente dell’interessato, più frequenti affezioni somatiche quali possono essere un travaso di bile o un’ulcera perforante: e surtutto l’insonnia, un’insonnia così esatta e precisa, date le concause che insistono nello schema generale, da diventare assolutamente connaturale a colui che sarà dunque un insonne a prescindere, sia o non sia l’ora del sonno, ottenga o non ottenga da perigliosi farmaci e da un generoso liquore il breve solacio di una spudorata parvenza di sonno.
Più dovrà difendersi dal rumore mondano, più l’uomo-talpa dovrà rintanarsi: più si rintanerà, più pretenderà la quiete che gli è dovuta: più questa ingenua e commovente equazione verrà smentita, più a fondo dovrà interrarsi sbarrando anditi porte finestre passaggi, rinunciando alla luce e intasando i propri padiglioni auricolari di ogni combinazione di cera, gommapiuma e fibre disvarie. Finché, un giorno, egli vedrà la soluzione, e da quel giorno, a poco a poco, vi si avvicinerà con sistematica volizione: morire, sottrarsi, convertire l’annullamento del mondo nell’annullamento di sé. Immaginare millenni e millenni di solitudine perfetta e di silenzio assoluto, allora, sarà l’unico balsamo alla sua vita riarsa: all’ultimo segmento, della sua vita riarsa.

da Fantasmagonia, Michele Mari, Einaudi

 

TETTO

Ebbene, no! Attenderò tranquillo,
piantato sotto il tetto,
che mi piombi qualche tegola,
per tuo ricordo.

Falciata ho l’erba e lecco
la pietra – sitibondo
come la Colica secca
del Miserere!

Sfonderò – Dio mi danni! –
il tuo timpano o la pelle d’asino
del mio buon tamburo.

Nei tuoi recessi, o Finestra
calma e pura, giace forse

un vecchio signore ignorante e sordo!

da Poesie, Tristan Corbière, Dall’Oglio, a cura di Clemente Fusero

tu ridi.- bene. – fai dell’amarezza

fernando botero

Tu ridi.- Bene. – Fai dell’amarezza,
prendi la piega, Mefisto burlone,
dell’assenzio! e il tuo labbro sbava…
Dirai che ti viene dal cuore.

Fai di te la tua opera postuma,
mutila l’amore…l’amore-lungaggine!
Il tuo polmone cicatrizzato aspira
miasmi di gloria, o vincitore!

Basta, non è vero? Vattene. Lascia
la tua borsa – ultima amante –
la tua pistola – ultima amica…

Tipo buffo di fallito!
… O resta e bevi la feccia di vita
sopra una tavola sparecchiata…

da Morticino per ridere e altre poesie da Gli amori gialli, Tristan Corbière, Via del Vento Edizioni, a cura di Pasquale di Palmo
prendiprendi la piega