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Termometria

A una certa tenera età, ho forse sentito una voce, un contralto profondamente commovente…

Questo canto dovette mettermi in uno stato di cui nessun oggetto mi aveva mai dato l’idea. Esso ha impresso dentro di me la tensione, l’attitudine suprema richiesta, senza offrire un oggetto, un’idea, una causa (come fa la musica). E io senza saperlo l’ho assunto come misura degli stati e ho mirato, per tutta la mia vita, a fare, cercare, pensare quel che avrebbe potuto direttamente riprodurre in me, esigere da me – lo stato corrispondente a quel canto fortuito; – la cosa reale, introdotta, assoluta il cui incavo era stato preparato fin dall’infanzia da quel canto – dimenticato.
Il caso vuole che io sia forse graduale. Ho l’idea di un massimo di origine nascosta, che aspetta ancora dentro di me.
Una voce che scuote fino alle lacrime, alle viscere; che funge da catastrofi e scoperte; che riesce a spremere, senza incontrare ostacoli, le mammelle sacre/ ignobili/ dell’emozione/ stolida; che in un modo artificiale, di cui il mondo reale non ha mai bisogno, risveglia degli estremi, insiste, rimesta, annoda, riassume eccessivamente, sfibra gli organi della sensibilità, …svaluta le cose osservabili…La si dimentica e non ne resta che il sentimento di un grado al quale la vita non potrà mai avvicinarsi. (1910)

da Quaderni. Volume Primo – Ego, Paul Valéry, Adelphi, trad.di Ruggero Guarini

cosmological redshift

Milo e Giorgio, Trieste 1935-36

Dopo qualche assalto infruttuoso, non rinunciare, e non insistere neppure. Ma custodisci quel problema nelle cantine della tua mente, dove esso migliora. Trasformatevi tutti e due. (Quaderni 1900-1901, Senza titolo, III, 779)

Da questi quaderni vedo che la mia mente si diletta in particolare di certe trasformazioni simili a quelle dell’analisi, e che derivano dall’attività spontanea delle analogie. (…) (1922. S, VIII, 676)

da Quaderni – Volume primo, Paul Valéry, Adelphi, a cura di Judith Robinson-Valéry, trad.di Ruggero Guarini

palinodìa

Trieste 1936, foto di Milo Müller

In primo luogo, scoprii questo. Ciò che la Fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo solo una volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai ripetersi esistenzialmente.

(…)

Procedendo così di foto in foto (finora, a dire il vero, tutte pubbliche) avevo forse appreso come procedeva il mio desiderio, ma non avevo scoperto la natura (l’eidos) della Fotografia. Dovevo convenire che il mio piacere era un mediatore imperfetto, e che una soggettività ridotta al suo solo progetto edonista non poteva riconoscere l’universale. Dovevo penetrare maggiormente dentro di me per trovare l’evidenza della Fotografia, quella cosa che è vista da chiunque guardi una foto, e che la distingue ai suoi occhi da ogni altra immagine. Io dovevo fare la mia palinodia.

da La camera chiara. Nota sulla fotografia, Roland Barthes, Einaudi, trad. di Renzo Guidieri