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il mondo da una feritoia

Insieme poi ripigliavano il cammino.
Così che, nelle due giovani che guardavano, sì, discretamente, tuttavia in punta d piedi e col collo allungato fra le spine, quello che stava accadendo sulla strada, sorse quasi di colpo un’impressione che, anziché rendersi via via più costretta e faticosa di mano in mano che si andava allargando e completando, si rivestiva invece di una spontaneità come di ricordo: ed era, l’impressione, che quella strada, così animata ora ed allegra d’uomini e ragazzi, piena di quelle grida di richiamo accennanti per lo più a facili e prossime speranze, fosse la vita stessa dopotutto e che loro due, stando al di là della strada e oltre le siepi, venissero a trovarsi anche fuori dalla vita.

da All’insegna del Buon Corsiero –  in Nostro lunedì. Racconti, poesie, saggi, Silvio D’Arzo, Vallecchi

Lo staffiere in realtà, forse perché la consuetudine di quei luoghi ormai glielo impediva, o forse anche per il suo stesso carattere, non si accorgeva infatti che la sera veniva a dare a tutta la pianura e i colli attorno una dolcezza, una soavità quasi di mare, con qualche cosa però di un poco amaro difficilmente in un mare rinvenibile.

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Ma la Marchesa non gli fece nulla, e neanche accennò, come invece era solita fare le altre volte, a quella sua diciamo distrazione, a quel suo sprofondarsi del tutto nel sogno o nel ricordo di una cosa, che il Marchese soleva chiamare scherzosamente “la poesia”, lo prendeva subito un sentimento di cupa ostilità, un bisogno, ecco di mutismo superiore alle cose ed agli uomini, come capita qualche volta ai bambini richiesti se hanno già l’innamorata.

Da All’Insegna del Buon Corsiero in Nostro lunedì. Racconti – Poesie – Saggi, Silvio D’Arzo, Vallecchi

Ezio ad Ada

19 maggio 1950

Ada,

eccoti il nostro “Lord Jim”: spero che tu mi permetta di chiamarlo così: oggi come oggi non c’è niente di più nostro di quel libro: neanche noi.
Naturalmente, non sei tenuta a leggerlo: ma se un giorno penserai di farlo, mi farai davvero un regalo. Comunque, anche senza esser letto, credo che “Lord Jim” continuerà ad essere una presenza silenziosa e comprensiva su noi due. Certi libri, per certe persone, sanno servire anche a questo: e il silenzio alle volte ha illimitate possibilità e risonanze.
E adesso vorrei dirti qualcosa. L’altro giorno, tra l’altro, hai parlato del canto del cigno. Ed io ti dico: i cigni cantano, sì, ma poi muoiono: non accettano di accovacciarsi in un cortile. Per questo ci sono le anatre. Ma sono anatre. E non cantano. E tutto quel che hanno è un continuo appetito. Nient’altro. Abbiamo parlato di fantasmi?: ma i fantasmi non sanno piangere, come fai tu: e poi sono lugubremente coerenti: e tu invece hai un mucchio di incoerenze magnifiche. Sei un’incoerenza vestita da donna. Hai detto che non c’è niente di più nobile della sofferenza: e forse è vero: ma “volere” la sofferenza, ma “scegliere” la sofferenza è un fuggire la vera sofferenza: e in definitiva è un raffinatissimo egoismo. Sei selvatica, e cerchi una gabbia. Dici che la carne non esiste, e fai dipendere invece il tuo spirito direttamente dalla carne. Un’incoerenza incarnata, ecco tutto.
Tutto questo è triste. E forse inutile. Tu sai già tutto quello che potrei dirti: e, soprattutto, quello che ti taccio. Come io di te. Io ti ho sempre parlato in questi giorni come se le tue risposte più vere tu le affidassi al silenzio, all’evasione, e perfino alla bugia: le tue parole (tranne l’ultima volta) io le ho sempre trascurate come si trascura una traduzione troppo imperfetta e infedele che tradisce completamente l’originale. Ma adesso basta. Essere noioso non piace a nessuno: specie a me.
Uno di questi giorni ti telefonerò. Non temere, però. Non voglio quello che tu chiami, e rendi, l’impossibile: l’impossibile sono abituato a chiederlo solo a me: vorrei solo renderlo consolante e operante: non così triste. E troveremo certo il modo.
Tante cose,

Ezio

P.S. Conosco la tua antipatia per scrivere lettere, e anch’io la condivido. Ma se una volta tanto ti decidi a scegliere una sofferenza che fa piacere a me, scrivimi due righe di risposta. Se no, si ha la sensazione di aver gettato un sasso nel pozzo: senza neppure, per di più, sentirne il tonfo.

da Lettere, Silvio D’Arzo, MUP, a cura di Alberto Sebastiani

D’Arzo e la Vallecchi

Firenze, 22 maggio 1939 XVII°

Egregio Signore,
abbiamo ricevuto, con la cortesissima Vostra del 12 corr., il dattiloscritto di “Ragazzo in città”, e teniamo ad assicurarVi che lo abbiamo letto con simpatia e piacere, riscontrandovi doti di delicata osservazione e di sensibile scrittura. Purtroppo la nostra pratica impossibilità ad assumere nuovi impegni è assoluta e irrimediabile, perciò dobbiamo restituirVi il lavoro tanto gentilemente favoritoci. Lavoro che  – concedeteci dirlo – è meritevolissimo di pubblicazione ma è, anche, di un genere così lirico e lieve (a parte la mole anche materialmente esigua) da adattarsi, piuttosto che ad una casa editrice come la nostra, a editori – come per esempio il Guanda di Modena – che possono considerarsi quasi specializzati in edizioni di volumetti, di plaquettes di buona e giovanile letteratura lirica.
Gradite i nostri più cordiali ringraziamenti e saluti,

Società Anonima Vallecchi
Attilio Vallecchi

Egr. Sig. Silvio D’Arzo
presso Comparoni
Via Aschieri, 4
Reggio Emilia

 

Firenze, 18 dicembre 1941 XX

Illustre Sig. Silvio D’Arzo
Via Aschieri, 4
Reggio Emilia

Se è con grande ritardo che rispondiamo oggi alla Vs. lettera con la quale accompagnaste il manoscritto del “Buon corsiero”, ciò è dovuto al fatto che abbiamo voluto dedicare al Vostro lavoro quell’attento esame che esso ci pareva meritare.
Il risultato di tale esame non potrebbe essere più lusinghiero; e il lavoro ci sembra senz’altro degno di far parte delle ns. edizioni.
Noi saremmo quindi disposti a stamparlo, se Voi sarete d’accordo; non possiamo assicurarVi che la stampa sia fatta molto presto, ma noi faremo il possibile perché la pubblicazione non vada troppo in lungo nel tempo.
Le condizioni sarebbero quelle normali di contratto editoriale, cioè il 15% sulle copie vendute (prezzo di copertina).
Così, nell’attesa che il “Buon corsiero” si vesta della nostra insegna, sollecitiamo una Vs. risposta circa le condizioni suddette, e cordialmente vi salutiamo.

Enrico Vallecchi

da Lettere, Silvio D’Arzo, MUP, a cura di Andrea Sebastiani

tre sorelle

Ritratto dell'Eterno 1935 Manuel Alvarez Bravo

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Era tardi, era freddo, ero ancora per strada: dovevo scendere a casa ecco tutto.
L’ombra proprio ancora non era scesa: campanacci di pecore e capre si sentivano a tratti qua e là un po’ prima della prata dei pascoli. Proprio l’ora, capite, che la tristezza di vivere sembra venir su assieme al buio e non sapete a chi darne la colpa: brutt’ora. […] In mezzo a tutto quel silenzio e quel freddo e a quel livido e a quel immobilità un poco tragica, l’unica cosa viva era lei. Si chinava, e mi pare anche a fatica, affondava gli stracci nell’acqua, li torceva e sbatteva su un sasso: poi li affondava, torceva e sbatteva, e via ancora così. Né lentamente né in fretta, e senza mai alzare la testa.

da Casa d’altri, Silvio D’Arzo

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Spento il diurno raggio in occidente,
e queto il fumo delle ville, e queta
de’cani era la voce e della gente;

quand’ella, volta all’amorosa meta,
si ritrovò nel mezzo ad una landa
quanto foss’altra mai vezzosa e lieta.

Spandeva il suo chiaror per ogni banda
la sorella del sole, e fea d’argento
gli arbori ch’a quel loco eran ghirlanda.

I ramuscelli ivan cantando al vento,
e in un con l’usignol che sempre piagne
fra i tronchi un rivo fea dolce lamento.

Limpido il mar da lungi, e le campagne
e le foreste, e tutte ad una ad una
le cime si scoprian delle montagne.

In queta ombra giacea la valle bruna,
e i collicelli intorno rivestia
del suo candor la rugiadosa luna.

Sola tenea la taciturna via
la donna, e il vento che gli odori spande,
molle passar sul volto si sentia.

Se lieta fosse, è van che tu dimande:
piacer prendea di quella vista, e il bene
che il cor le prometteva era più grande.

Come fuggiste, o belle ore serene!
Dilettevol quaggiù null’altro dura,
né si ferma giammai, se non la speme.

Ecco turbar la notte, e farsi oscura
la sembianza del ciel, ch’era sì bella,
e il piacer in colei farsi paura.

Un nugol torbo, padre di procella,
sorgea di dietro ai monti, e crescea tanto,
che più non si scopria luna né stella.

Spiegarsi ella il vedea per ogni canto,
e salir su per l’aria a poco a poco,
e far sovra il suo capo a quella ammanto.

Veniva il poco lume ognor più fioco;
e intanto al bosco si destava il vento,
al bosco là del dilettoso loco.

E si fea più gagliardo ogni momento,
tal che a forza era desto e svolazzava
tra le frondi ogni augel per lo spavento.

E la nube, crescendo, in giù calava
ver la marina sì, che l’un suo lembo
toccava i monti e l’altro il mar toccava.

Già tutto a cieca oscuritade in grembo,
s’incominciava udir fremer la pioggia,
e il suon cresceva all’appressar del nembo.

Dentro le nubi in paurosa foggia
guizzavan lampi, e la fean batter gli occhi;
e n’era il terren tristo, e l’aria roggia.

Discior sentia la misera i ginocchi;
e già muggiva il tuon simile al metro
di torrente che d’alto in giù trabocchi.

Talvolta ella restava, e l’aer tetro
guardava sbigottita, e poi correa,
sì che i panni e le chiome ivano addietro.

E il duro vento col petto rompea,
che gocce fredde giù per l’aria nera
in sul volto soffiando le spingea.

E il tuon veniale incontro come fera,
rugghiando orribilmente e senza posa;
e cresceva la pioggia e la bufera.

E d’ogn’intorno era terribil cosa
il volar polve e frondi e rami e sassi,
e il suon che immaginar l’alma non osa.

Ella dal lampo affaticati e lassi
coprendo gli occhi, e stretti i panni al seno,
gìa pur tra il nembo accelerando i passi.

Ma nella vista ancor l’era il baleno
ardendo sì, ch’alfin dallo spavento
fermò l’andare, e il cuor le venne meno.

E si rivolse indietro. E in quel momento
si spense il lampo, e tornò buio l’etra,
ed acchetossi il tuono, e stette il vento.

Taceva il tutto; ed ella era di pietra.

Frammento XXXIX della cantica giovanile Appressamento della morte, Giacomo Leopardi, Einaudi, a cura di Niccolò Gallo e Cesare Garboli

 

 

gioco della dispersione

 

 

Tommaso Landolfi

Carlo Emilio Gadda

Achille

Carmelo Bene

Danilo Dolci

il silenzio di Dio in Dostoevskij e D’Arzo di Silvio Castiglioni

Jean Cocteau

La Coquille et le Clergyman di Antonin Artaud parte 1 , parte 2 e parte 3