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Appunti per CAPSULA PETRI n.11

Esiste una “retorica dell’indicibile” di cui invano si ricercheranno le prime manifestazioni tanto è antica. Fa la sua comparsa là dove, nonostante il carattere preliminare della manifestazione del sacro, coloro i quali ne hanno fatto esperienza, abbandonano il “silenzio” a favore della “parola”.  Studi relativamente recenti, tra i quali soprattutto quelli di Michel de Certeau, hanno dimostrato che la lingua dell’esperienza religiosa è attraversata da una tensione concernente la ricerca dei procedimenti attraverso i quali si cerca di esprimere “ciò che non può essere detto” (Certeau 1982). Nel XVII secolo si riconosce l’esistenza di uno “stile mistico”, di cui Sandaeus, ad esempio, fornisce una descrizione. Egli ritiene che i mistici abbiano uno stile proprio, con proprie formule linguistiche, una specifica dizione e una propria maniera di costruire le frasi (Sandaeus 1640).  Hanno in comune – prosegue l’autore – un determinato numero di segni espressivi, tra i quali l’oscurità, l’accentuata astrazione, l’eccesso iperbolico, l’invenzione di parole magniloquenti, l’affettazione. (…)

La mancanza di chiarezza, la “nebulosità” dello stile mistico pertanto non è altro che la conseguenza di una concordanza tra il discorso e il suo oggetto. In effetti si tratta di un altro, diverso, “linguaggio”, che parla di una realtà “altra”.

da Cieli in cornice, Victor I Stoichita, Meltemi