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saggezza nuova

ralph steiner two men and the ocean 1921

 

A volte la mente è come il cielo
di libero mattino nell’azzurro,
nella sua volta sgombra
ogni cosa accetta e in sé comprende.

Saggezza nuova di tutto m’innamora!
nell’estate fremente ogni languore
placa in serenità senza confine.

Come la vela al ciglio d’orizzonte
vaga senza meta: lei stessa meta.

di Italo Benedetti, in Lirica, rivista di poesia in versi e prosa, Anno I Numero 2 Febbraio 1984, dir.ed. Roberto Varese

filopsichia

filopsichia

 

Così muovendosi nel giro delle cose che gli fanno piacere, l’uomo (retore) si gira sul pernio che dal dio gli è dato (…) e cura la propria continuazione senza preoccuparsene, perché il piacere preoccupa il futuro per lui. Ogni cosa ha per lui questo dolce sapore, ch’egli la sente sua perché utile alla sua continuazione, e in ognuna con la sua potenza affermandosi egli ne ritrae sempre l’adulazione ‘tu sei’.

da La persuasione e la rettorica, Carlo Michelstaedter, Adelphi

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L’uomo non vive d’altro che di religione o d’illusioni. Questa è proposizione esatta e incontrastabile: tolta la religione e le illusioni radicalmente, ogni uomo, anzi ogni fanciullo, alla prima facoltà di  ragionare (giacchè i fanciulli massimamente non vivono d’altro che d’illusioni) si ucciderebbe infallibilmente di propria mano, e la razza nostra sarebbe rimasta spenta nel suo nascere per necessità ingenita e sostanziale. Ma le illusioni, come ho detto, durano ancora a dispetto della ragione e del sapere.

pp. 213-214 Zibaldone, Giacomo Leopardi, Mondadori, I Meridiani

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Genio: – Che cosa è il piacere?

Tasso: – Non ne ho pratica da poterlo conoscere che cosa sia.

Genio: – Nessuno lo conosce per pratica, ma solo per ispeculazione: perchè il piacere è un subbietto speculativo, e non reale; un desiderio, non un fatto; un sentimento che l’uomo concepisce col pensiero, e non prova; o per dir meglio un concetto e non un sentimento.

dal Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, Giacomo Leopardi

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Il Leopardi attraverso questa scoperta, comprende anche, nel suo intimo fondamento, il desiderio e la volontà che l’animarono e che pur ancora nell’intimo lo animano. L’uomo si protende innanzi perché non ha presente, perché propriamente egli non vive in un atto presente. Il suo destino e di volgersi fuori a scoprire una vita, poiché attualmente vita egli non ha tranne il desiderio e senso di mancanza. La scoperta è capitale: la vita umana in sé propriamente non è, poiché è solo fatta di speranze e di ricordi. E conseguenza naturale di questo fatto l’assenza dell’ “atto proprio del piacere”: (p.532-2 Zibaldone)

“Il piacere umano (così probabilmente quello di ogni essere vivente in quell’ordine di cose che noi conosciamo) si può dire ch’è sempre futuro, non è se non futuro, consiste solamente nel futuro. L’atto proprio del piacere non si dà. Io spero un piacere, e questa speranza in moltissimi casi si chiama piacere… Il piacere non e mai nè passato nè presente, ma sempre e solamente futuro. E la ragione è che non può esserci piacer vero per un essere vivente se non è infinito (e infinito in ciascuno istante, cioè attualmente); e infinito non può mai essere, benchè confusamente ciascuno creda può essere e sarà, o che anche non essendo infinito sarà piacere; e questa credenza (naturalissima, essenziale ai viventi e voluta dalla natura) è quello che si chiama piacere, e tutto il piacere possibile. Quindi il piacer possibile non e altro che futuro o relativo al futuro, e non consiste che nel futuro (20 gennaio 1821)”.

Come logica e netta conclusione di una teoria (quale questa del piacere), il cui significato profondo è nella sua natura di negazione; essa stessa mette in luce alla fine unicamente la negazione che in lei è implicita, e distrugge completamente e formalmente se stessa (V. ancora p. 4126-3).

Come la teoria dell’illusione, nel suo aspetto estremo, è teoria dell’illusorio meramente piacevole di cui l’uomo, per vivere, deve riempiere la vita; così la teoria del piacere sempre più diviene teoria del non piacere, e più ancora tutta un’indagine attenta del continuo inebriamento, dell’inganno fatuo che l’uomo deve quasi, egli, creare a se stesso, e fingendoselo al tutto vivo e vero, per poter vivere di giorno in giorno, di momento in momento. L’uomo deve concorrere al proprio inganno, e vivere di motivi fittizi, poiché egli in se stesso non ha né una superior ragione d’essere, né d’altra parte ha “motivi e soggetti di piacere reali”:

(dal Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare)

“Genio. – Non vi accorgete voi che nel tempo stesso di qualunque vostro diletto, ancorchè desiderato infinitamente, e procacciato con fatica e molestia indicibili; non potendovi contentare il godere che fate in ciascuno di quei momenti, state sempre aspettando un goder maggiore e più vero, nel quale consista in somma quel tal piacere; e andate quasi riportandovi di continuo agli istanti futuri di quel medesimo diletto? Il quale finisce sempre innanzi al giungere dell’istante che vi soddisfaccia; e non vi lascia altro bene che la speranza cieca di goder meglio o più veramente in altra occasione, e il conforto di fingere e di narrare a voi medesimi di aver goduto, con raccontarlo anche agli altri, non per sola ambizione, ma per aiutarvi al persuaderlo che vorreste pur fare a voi stessi. Però chiunque consente di vivere, nol fa in sostanza ad altro effetto nè con altra utilità che di sognare; cioè credere di avere a godere, o di aver goduto; cose ambedue false e fantastiche.

Tasso. – Non possono gli uomini credere mai di godere presentemente?

Genio. –  Sempre che credessero cotesto godrebbero in fatti. Ma narrami tu se in alcun istante della tua vita, ti ricordi di aver detto con piena sincerità ed opinione: io godo. Ben tutto il giorno dicesti e dici sinceramente: io godrò; e parecchie volte, ma con sincerità minore: ho goduto. Di modo che il piacere è sempre o passato o futuro, e non mai presente.

Tasso. – Che è quanto dire è sempre nulla.

Genio. – Così pare.

Tasso. – Anche nei sogni.

Genio. – Propriamente parlando.

da La filosofia di Leopardi, Giovanni Amelotti, Arti Grafiche R.Fabris – Genova, 1937

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Due poesie

Mare scrigno d’oro
Che occultamente sveli
La trama dei tuoi inganni,
Libera queste voci lasciale
Che gli annegati cantano
E avvinti alla ruota si muovono
Eternamente come noi
Bambini.

Uccelli, vastità del mondo
Che dorme sotto le campane ferme;
Nella pianura bianca il sole è freddo
E mai c’è nulla da spiegare.
Gli animali sono tristi,
E le donne, e le cose sospinte tutte
E divorate.

da Due poesie, in “Prato pagano. Giornale di nuova letteratura”, n.1, primavera 1985, Roberto Varese

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L’uomo ha bisogno di illusioni; di fronte alla negazione, se vuol essere in qualche modo vivo, deve illudersi. Il dilemma estremo è questo: o illusioni o senso del nulla e della vanità di ogni cosa; o riconoscere un valore qualsiasi alla cosa, o sentirne tutto il peso delle putri e lente ore.

da La filosofia del Leopardi, Giovanni Amelotti, Arti Grafiche R. Fabris – Genova 1937

il re del bosco

Miroslav Tichy

(…) pensavo che non sarebbe più tornata l’epoca degli déi ma l’acqua di questa fonte, così limpida e fresca, per il semplice fatto di essere tale in mezzo alle tante impurità prodotte dall’umanità devastatrice dell’ambiente naturale, forse un giorno non lontano sarebbe stata considerata di nuovo sacra in ragione della sua inaspettata purezza: una rinnovata passione e devozione verso ciò che è bello e salutare, proprio in quanto cosa rara, porterà gli stessi distruttori a ritrovare un’autentica dimensione del sacro, che forse non vuol dire altro che una riconciliazione con la propria natura e perciò con la Natura stessa. Nulla avvertivo di quelle presenze immaginarie che a loro modo avevano affollato la mia mente frastornandola con nomi e sembianze ma da quella confusa moltitudine sorgevano inaspettati i lineamenti della ragazza vista in mattinata in riva al lago, non simulacro inventato ma volto chiaro e riconoscibile di una divina creatura. L’era degli déi non tornerà mai più, pensavo, ma forse ritroveremo il significato perduto delle cose. Non dentro un tempio troveremo la dea ma nell’acqua del lago, mentre nuota allegramente, o guardandola distesa sulla ghiaia.

da Il re del bosco, Roberto Varese, ilredelbosco@hotmail.it

nave di Nemi