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Direttive precise

Caro Kaspar. Sono di nuovo nella città che tu sai e sono seduto a un bello scrittoio scuro, in una stanza bene illuminata, mentre giù per strada, nella notte estiva, la gente passeggia sotto gli alberi folti di foglie spioventi. Purtroppo non posso passeggiare con loro perché sono legato a una casa, non proprio legato mani e piedi, ma dalla coscienza del dovere, che mi sta formando a poco a poco e che alla fine ci sarà pure. Sono diventato il servitore di una signora che ha un figlioletto malato, che io devo accudire non molto diversamente da come una madre accudisce suo figlio, perché sua madre, la mia padrone, sorveglia ogni mio movimento, come se il suo occhio fosse la guida dei miei atti, come se lei infondesse in me, quando mi occupo del ragazzo, la sua stessa sollecitudine. Adesso, mentre ti scrivo, è seduta vicino a me in una poltrona, poiché è nel suo salottino che sto seduto anch’io, con il suo permesso. Le cose stanno in modo che ogni volta che io devo uscire per una faccenda personale bisogna prima domandare: posso uscire? come un apprendista che deve domandare al suo maestro. Comunque, per lo meno è una signora quella a cui devo chiedere, e questo addolcisce un poco la cosa. Per servire s’intende stare attento agli ordini, indovinare i desideri, essere svelti e abili, abili e svelti nel preparare la tavola e nello spazzolare i tappeti, devi saperlo se ancora non lo sai. Ho già raggiunto una certa perfezione nel pulire le scarpe alla mia signora, che chiamo semplicemente la mia signora. E’ solo una faccenda di poco conto, eppure richiede anch’essa, come le cose più grandi, l’anelito alla perfezione. Con il mio giovane padroncino dovrò in futuro, quando ci sarà bel tempo, andare a passeggio. A questo scopo c’è una carrozzella marrone nella quale potrò portar fuori il ragazzo, cosa che, a pensarci bene, non mi rallegra davvero molto, perché sarà noioso. Buon Dio, lo dovrò fare. La mia padrona appartiene a quella specie di donne nelle quali ciò che spicca maggiormente e la contraddistingue è il carattere borghese. E’ donna di casa dalla testa ai piedi, ma in senso così schietto e rigoroso da poter dire: è qualcosa di nobile. Sa andare in collera in modo magistrale, e io a mia volta sono maestro nel dargliene l’occasione.

da I fratelli Tanner, Robert Walser, Adelphi, a cura di Vittoria Roveri Ruberl

Il bosco è proprio meraviglioso

Il bosco è proprio meraviglioso, pensò,  e appoggiandosi alla ringhiera, delicatamente lavorata, si piegò in avanti per avvicinarsi al suo profumo. “Come se ne sta là disteso il bosco, quasi già sonnecchiasse aspettando la notte. Di giorno, quando splende il sole, si entra in un bosco come in n mondo serale, dove i rumori sono più nitidi e più lievi e gli effluvi più umidi e sensibili, dove si può riposare e pregare. Nel bosco si prega senza volerlo, ed è anche l’unico posto al mondo dove Dio è vicino; Dio sembra aver creato i boschi affinché vi si preghi come in templi sacri; chi prega in un modo e chi in un altro, ma tutti pregano. Quando si è sdraiati sotto un abete e si legge un libro, allora si prega, se pregare è lo stesso che perdersi nei pensieri. Ovunque Dio possa mai essere, nel bosco lo si intuisce e gli si dona quel poco di fede con silenzioso trasporto. Dio non vuole che si creda troppo in lui, vuole che lo si dimentichi, è persino contento quando viene ingiuriato: perché è buono e grande più di quanto si possa concepire; Dio è quel che c’è di più arrendevole nell’universo. Egli non si ostina su nulla, non vuole nulla, non ha bisogno di nulla. Volere qualcosa, questo potrà avere un senso per noi uomini, ma per lui ciò è niente. Per lui è niente. E’ contento quando lo si adora. Oh, questo Dio è estasiato, non sta più in sé dalla beatitudine se io adesso vado a ringraziarlo solo un poco, anche del tutto superficialmente. Dio è così grato. Vorrei sapere chi è più grato di lui. Lui ci ha dato tutto, l’incauto, il benigno, e adesso si trova a dover essere contento se le sue creature si ricordano un poco di lui. Questa è la cosa unica del nostro Dio, che vuole essere Dio soltanto quando a noi piace innalzarlo a nostro Dio. Chi insegna la modestia più di Lui? Chi intuisce di più ed è più silenzioso? Forse pure Dio ha solo intuizioni su di noi, così come noi su di lui, e io per esempio esprimo qui soltanto le mie intuizioni su di lui. Intuisce pire che io ora sto seduta qui sul balcone e trovo il suo bosco meraviglioso? Se sapesse come è bello il suo bosco. Ma credo che Dio abbia dimenticato la sua creazione, non già per rancore, perché come potrebbe essere capace di rancore, no, ha semplicemente dimenticato, o almeno sembra che abbia dimenticato noi. Si può provare ogni sentimento riguardo a Dio: egli permette tutti i pensieri. Ma lo si perde facilmente se si riflette su di lui, è proprio per questo che lo si prega. (…)”

da I fratelli Tanner, Robert Walser, Adelphi, trad. di Vittoria Rovelli Ruberl

Are you happy?

Le cattive madri, Giovanni Segantini, 1894

Provava un doloroso bisogno di offrirsi, di donarsi agli altri, di appartenere a qualcuno, come un servo, o un cane, o una cosa: voleva appartenere loro anche dopo la loro scomparsa, affinché il dono potesse piangere la perdita del suo possessore. Sperava che la sua dedizione non fosse corrisposta, che il dono non venisse accolto, che il suo amore restasse infelice perché essere abbandonati non ha forse un suono morbido, carezzevole e benefico?. E mai nessuno straniero fu così felice come Walser e la sua controfigura, Simon Tanner. Accoglieva negli occhi e nel cuore, l’ immensa felicità che vibra sulla superficie del mondo, e il dolore che si annida nelle sue pieghe. Viveva nella felicità, come in una casa accogliente e bene ammobiliata. Il mondo, per lui, era un’ eterna domenica, un paradiso di gioia.

dall’articolo di Pietro Citati su La Repubblica del 18/10/1990

Je t’aime

da lbv212 su flickr