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proprietà emergenti


Apparentemente i sistemi con proprietà emergenti o strutture emergenti sembrano superare il principio entropico e sconfiggere la seconda legge della termodinamica, in quanto creano e aumentano l’ordine nonostante la mancanza di un controllo centrale. Questo è possibile perché i sistemi aperti possono estrarre informazione e ordine dall’ambiente.

L’emergenza contribuisce a spiegare perché la fallacia della divisione è una fallacia. Secondo una prospettiva emergente l’intelligenza emerge dalle connessioni tra i neuroni, senza la necessità di ipotizzare un’anima per spiegare come il cervello possa essere intelligente, mentre i singoli neuroni di cui esso è costituito non lo sono.

Il comportamento emergente è importante anche nei giochi e nella loro struttura. Ad esempio il gioco del poker, in particolare nella sua forma priva di un sistema rigido di puntate, è essenzialmente guidato dall’emergenza. Ciò significa che giocare ad un tavolo piuttosto che ad un altro può essere radicalmente differente, nonostante le regole di base siano le stesse. Le variazioni che si sviluppano sono esempi di metagioco emergente, il catalizzatore principale dell’evoluzione di nuovi giochi.

  • Thomas C. Schelling, Micromotives and Macrobehavior (1978) W. W. Norton and Company
  • Harold J. Morowitz, The Emergence of Everything: How the World Became Complex (2002) Oxford University Press, ISBN 019513513X
  • Morris Mitchell Waldrop, Complessità. Uomini e idee al confine tra ordine e caos (2002) Instar Libri
  • Edgar Morin, Il metodo 2. La vita della vita (2002) Raffaello Cortina Editore

serie delle proprietà emergenti-al parco. mila dicembre 2006

com’è terso il sole se visto nell’idea


Peter Fendi

Comincia, efebo, col percepire l’idea
Di questa invenzione, questo mondo inventato,
L’idea inconcepibile del sole.

Devi tornare l’uomo ingenuo che eri
E vedere il sole con l’occhio ingenuo
E vederlo chiaramente nell’idea.

Non presupporre una mente che crea all’origine
Dell’idea, non creare per quella mente un ingombrante
Padrone avvolto in lingue di fuoco.

Com’è terso il sole se visto nell’idea,
Purificato nella remota chiarità di un cielo
Liberatosi delle nostre immagini e di noi…

La morte di un Dio è la morte di tutti.
Lascia che Febo purpureo riposi nel raccolto ombroso,
Che dorma e muoia in ombre autunnali.

Febo è morto, efebo. Ma Febo non era che un nome
Per dire qualcosa che non poteva essere detto.
C’era un progetto del sole e c’è ancora.

C’è un progetto del sole. Il sole, ghirigoro d’oro,
Non sopporta alcun nome, ma è
Nella difficoltà di ciò che essere è.

da Note verso la finzione suprema-Deve essere astratta, Wallace Stevens, Arsenale Editrice, trad.di Nadia Fusini

intorno a un plesso solare aperto

xilo di Emilio Mantelli
 

 

Per un minuto, per un’ora, il mio amore riesce a ricoprire tutto, tutti: le pietre del selciato, John che piange sul suo sgabello invece di analizzare i suoi errori, David che mi offre un biglietto della metropolitana come se fosse un biglietto per Cipro, strade morte dove non potrebbe succedere nulla, e buie strade vuote piene di un’eccitazione incipiente; potrei perfino prendermi cura di un ego turbolento, essere instancabile, sempre a portata di mano, immensamente cauta.
Quell’uomo, quando glielo domandarono, non seppe dire perché si fosse alzato la mattina.
“Energia vitale? Così la gente penserà bene di me?”
Oh, ma esultare alle strisce pedonali! Sentire il cuore spezzarsi per i chili di troppo di quella grassona!

da Il riconoscimento delle affinità, di Elizabeth Smart

III


Notturno, Osvaldo Licini

La poesia rinnova la vita, sì che per un attimo
Riviviamo la prima idea…Placa in noi
La fede in un principio immacolato.

E ci sospinge, sulle ali di una volontà inconsapevole,
Verso una fine immacolata. Muoviamo tra questi due punti:
Da quel sempre infante candore alle sue più tarde varietà.

Da quel candore nasce la potente euforia
Di ciò che proviamo quando il pensiero ci pulsa
Nel cuore, come sangue che appena sia giunto,

Un elisir, una tensione, un puro potere.
La poesia, grazie al candore, ci dà sempre di nuovo la forza
Di ritrovare di ogni cosa l’immacolata natura.

Ad esempio: di notte un arabo intonando
Infernali ubla-ubla-ubla-ahh inscrive
Nella mia stanza un’astronomia primitiva

Attraverso gli informi presagi che lancia il futuro
E scaglia le stelle sul pavimento. Di giorno
Era la colomba a gorgheggiare ubla-uh,

E sempre l’oceano gonfio d’iridescenza continua a tuonare uh,
E gonfia e tuona uh, e gonfia e ricade.
La vita insensata ci trafigge coi suoi misteriosi rapporti.

da Note verso la finzione suprema, Wallace Stevens, Arsenale Editrice, a cura di Nadia Fusini

del barzottismo

Primavera cresciuta a mezzo inverno
è la sola stagione sempiterna,
sebbene inumidita nel tramonto.
Sospesa nel tempo, fra il tropico e il polo.
E quando il breve giorno si rischiara, con gelo e con fuoco,
ed il tiepido sole infiamma il ghiaccio…

da Quattro quartetti, Thomase Sterns Eliot, Faber & Faber, London 1944 trad. da Roberto Sanesi

E sia “religione” sia “cultura”, oltre a significare cose diverse, dovrebbero significare per l’individuo o per il gruppo qualcosa cui essi tendono, non solamente qualcosa che essi posseggono.

da I Tre significati di “cultura”-Appunti per una definizione della cultura, Thomas Stearns Eliot, Bompiani

Spesso lascio che un’immagine “si produca” in me emozionalmente, e quindi applico ad essa quanto posseggo di forza critica e intellettuale-, lascio che questa immagine contraddica la prima, già sorta, e che una terza immagine generi dalle altre due insieme una quarta immagine contraddittoria, e lascio quindi che tutte restino in conflitto al di fuori dei limiti formali da me imposti… Al di fuori dell’inevitabile conflitto delle immagini – inevitabile perché appartenente alla natura creativa, ricreativa, distruttrice e contraddittoria del centro motivante, cioè del centro della lotta-cerco di pervenire a quella pace momentanea che è una poesia.

Dylan Thomas tradotto da Roberto Sanesi

andare al nòcciolo, al centro

Una penombra come quella del mondo esterno gli oscurava la mente, mentre ascoltava gli zoccoli della cavalla strepitare sulle rotaie della Rock Road e il gran recipiente dietro scuotersi e sbatacchiare.
Ritornava a Mercedes e, mentre rimuginava sulla sua immagine, gli entrava nel sangue un’inquietudine strana. Talvolta una febbre si impadroniva di lui e lo portava a vagabondare nella sera per il viale tranquillo. La pace dei giardini e le luci benevole alle finestre gli versavano un tenero influsso sul cuore irrequieto. Il rumore dei ragazzi che giocavano lo disturbava e le loro voci sciocche gli facevano sentire, anche più acutamente che non avesse sentito a Clongowes, che lui era differente dagli altri. Non aveva desiderio di giocare. Aveva desiderio d’incontrare nel mondo reale l’immagine incorporea che la sua anima contemplava tanto costantemente. Non sapeva dove cercarla o come, ma un preannuncio che lo guidava gli diceva che questa immagine, senza nessun atto aperto da parte sua, gli sarebbe venuta incontro. Si sarebbero incontrati tranquillamente come se si fossero conosciuti e avessero già fissato il loro convegno, forse a uno di quei cancelli o in qualche luogo più segreto. Sarebbero stati soli, circondati dall’oscurità e dal silenzio: e in quell’attimo di tenerezza suprema Stephen sarebbe svanito, sotto quegli occhi, in qualcosa di impalpabile e poi, in un attimo, si sarebbe trasfigurato. In quel magico istante la debolezza, la timidezza e l’inesperienza sarebbero cadute da lui.

da Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane, James Joyce, Adelphi, trad.di Cesare Pavese

gli amici di julian barbour

 

Il rifiuto della “geometria piana”, di cui Proust parla, è anche rifiuto del moto uniforme. Questo nemico del tempo degli orologi, per unità successive, con moto discontinuo. L’effetto di continuo è ottenuto mediante scatti tendenzialmente isocroni, ognuno dei quali è il periodo. Un periodo mai diretto e paratattico ma avvolto su se stesso, elicoidale.

 

(…)

 

È come se guardassimo entro un grande orologio: la tensione della molla maggiore ingrana successive ruote dentate, ognuna con una frazione di ritardo sull’altra; e, quando potresti credere che non ce la faccia più, ecco lo spostamento della lancetta è avvenuto tutt’a un tratto e tutto è avanzato di una unità. Subentra allora un attimo di silenzio, prima che ricominci l’ostinato sforzo di sommuovere ancora una volta un congegno denso di parole. La tensione, o energia, di ogni singolo periodo è, come si è detto, di natura raziocinante; obbedisce ad una meccanica classica, aborre dall’imprecisione non dal vuoto, ogni incertezza rinserra nel suo decorso e ribatte nelle sue clausole. Ma dove invece Proust svela di essere davvero al di là di ogni meccanica classica è nella qualità fluida instabile della forza di coesione che lega periodo a periodo. Questi non si compenetrano: si giustappongono.

 

(…)

 

La vittoria sul tempo non è ottenuta solo col recupero di quello “perduto” o col bronzo dell’opera ma proprio, per antifrasi, svolgendo permutazioni che nel tempo si distruggono a vicenda, che celebrano tremende ma infine futili vittorie ed evocano per converso una identità raccolta e intera, un presente istantaneo ed eterno.

da Verifica dei poteri, Franco Fortini, Garzanti

Lo Scorrevole, Vettor Pisani

configurazione mergnanese

 

Ai disturbi della memoria, infatti, sono legate le intermittenze del cuore. è sicuramente l’esistenza del nostro corpo, simile per noi a un vaso in cui fosse racchiusa la nostra spiritualità, a farci supporre che tutti i nostri beni interiori, le nostre gioie passate, tutti i nostri dolori, siano perennemente in nostro possesso. Forse, è altrettanto inesatto credere che se ne vadano e ritornino. In ogni caso, se rimangono dentro di noi, rimangono per la maggior parte del tempo in una regione sconosciuta, dove non ci sono di alcun giovamento e dove anche i più usuali vengono ricacciati indietro da ricordi di diversa natura, che escludono ogni simultaneità con essi all’interno della coscienza. Ma non appena si ricostruisce la cornice di sensazioni in cui si sono conservati, essi acquistano a loro volta il medesimo potere d’espellere tutto quanto sia incompatibile con loro, installando in noi, solitario, l’io che li ha vissuti.

(…)

L’io che io ero allora, e che da tanto era scomparso, m’era di nuovo così vicino che mi sembrava ancora di sentire le parole pronunciate subito prima e che, tuttavia, non erano più che un sogno, così come un uomo non ancora ben desto crede di percepire proprio accanto a sé i rumori del suo sogno che svanisce.

da Sodoma e Gomorra- Le intermittenze del cuore, Marcel Proust, Mondadori, trad.di Giovanni Raboni

passaggi


André Kertesz

III.

Così non si dirà la nostra povertà
di cose guardate di sfuggita,
di alberi, di pesche e di ginestre,

del mare la scia dell’acqua e della valle
le bilance sul Foglia grigio di melma…
Mai si dirà la nostra ansia dell’oggetto,

del guardare le cose con parole
così attenti alle parole del linguaggio
da scordare: la brocca d’acqua fresca

sulle scale, le bocche dei fanciulli
nelle viole, i granchi di luna
affumicati nel fuoco, nella brace

nera della notte, della nostra ora!

da Trentennio. Versi scelti e inediti 1977-2007, Gianni d’Elia, Einaudi

 


Edward Steichen

perché non guardi

Perché non guardi quasi mai dalla finestra
giù chi per la strada passa
che è così bello?
Io da quando abito qui a pian terreno
come seguo tutti e immagino
e che bellezza poi
quando uno guarda fin dentro il giardino
e non fa finta di niente ma persino sorride!

(ma lo sai poi davvero che ho cambiato casa?)

da L’amore mio è buonissimo, Vivian Lamarque, Quaderni della Fenice, Guanda 1978

 


Borgo San Giuliano, Rimini