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filopsichia

filopsichia

 

Così muovendosi nel giro delle cose che gli fanno piacere, l’uomo (retore) si gira sul pernio che dal dio gli è dato (…) e cura la propria continuazione senza preoccuparsene, perché il piacere preoccupa il futuro per lui. Ogni cosa ha per lui questo dolce sapore, ch’egli la sente sua perché utile alla sua continuazione, e in ognuna con la sua potenza affermandosi egli ne ritrae sempre l’adulazione ‘tu sei’.

da La persuasione e la rettorica, Carlo Michelstaedter, Adelphi

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L’uomo non vive d’altro che di religione o d’illusioni. Questa è proposizione esatta e incontrastabile: tolta la religione e le illusioni radicalmente, ogni uomo, anzi ogni fanciullo, alla prima facoltà di  ragionare (giacchè i fanciulli massimamente non vivono d’altro che d’illusioni) si ucciderebbe infallibilmente di propria mano, e la razza nostra sarebbe rimasta spenta nel suo nascere per necessità ingenita e sostanziale. Ma le illusioni, come ho detto, durano ancora a dispetto della ragione e del sapere.

pp. 213-214 Zibaldone, Giacomo Leopardi, Mondadori, I Meridiani

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Genio: – Che cosa è il piacere?

Tasso: – Non ne ho pratica da poterlo conoscere che cosa sia.

Genio: – Nessuno lo conosce per pratica, ma solo per ispeculazione: perchè il piacere è un subbietto speculativo, e non reale; un desiderio, non un fatto; un sentimento che l’uomo concepisce col pensiero, e non prova; o per dir meglio un concetto e non un sentimento.

dal Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, Giacomo Leopardi

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Il Leopardi attraverso questa scoperta, comprende anche, nel suo intimo fondamento, il desiderio e la volontà che l’animarono e che pur ancora nell’intimo lo animano. L’uomo si protende innanzi perché non ha presente, perché propriamente egli non vive in un atto presente. Il suo destino e di volgersi fuori a scoprire una vita, poiché attualmente vita egli non ha tranne il desiderio e senso di mancanza. La scoperta è capitale: la vita umana in sé propriamente non è, poiché è solo fatta di speranze e di ricordi. E conseguenza naturale di questo fatto l’assenza dell’ “atto proprio del piacere”: (p.532-2 Zibaldone)

“Il piacere umano (così probabilmente quello di ogni essere vivente in quell’ordine di cose che noi conosciamo) si può dire ch’è sempre futuro, non è se non futuro, consiste solamente nel futuro. L’atto proprio del piacere non si dà. Io spero un piacere, e questa speranza in moltissimi casi si chiama piacere… Il piacere non e mai nè passato nè presente, ma sempre e solamente futuro. E la ragione è che non può esserci piacer vero per un essere vivente se non è infinito (e infinito in ciascuno istante, cioè attualmente); e infinito non può mai essere, benchè confusamente ciascuno creda può essere e sarà, o che anche non essendo infinito sarà piacere; e questa credenza (naturalissima, essenziale ai viventi e voluta dalla natura) è quello che si chiama piacere, e tutto il piacere possibile. Quindi il piacer possibile non e altro che futuro o relativo al futuro, e non consiste che nel futuro (20 gennaio 1821)”.

Come logica e netta conclusione di una teoria (quale questa del piacere), il cui significato profondo è nella sua natura di negazione; essa stessa mette in luce alla fine unicamente la negazione che in lei è implicita, e distrugge completamente e formalmente se stessa (V. ancora p. 4126-3).

Come la teoria dell’illusione, nel suo aspetto estremo, è teoria dell’illusorio meramente piacevole di cui l’uomo, per vivere, deve riempiere la vita; così la teoria del piacere sempre più diviene teoria del non piacere, e più ancora tutta un’indagine attenta del continuo inebriamento, dell’inganno fatuo che l’uomo deve quasi, egli, creare a se stesso, e fingendoselo al tutto vivo e vero, per poter vivere di giorno in giorno, di momento in momento. L’uomo deve concorrere al proprio inganno, e vivere di motivi fittizi, poiché egli in se stesso non ha né una superior ragione d’essere, né d’altra parte ha “motivi e soggetti di piacere reali”:

(dal Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare)

“Genio. – Non vi accorgete voi che nel tempo stesso di qualunque vostro diletto, ancorchè desiderato infinitamente, e procacciato con fatica e molestia indicibili; non potendovi contentare il godere che fate in ciascuno di quei momenti, state sempre aspettando un goder maggiore e più vero, nel quale consista in somma quel tal piacere; e andate quasi riportandovi di continuo agli istanti futuri di quel medesimo diletto? Il quale finisce sempre innanzi al giungere dell’istante che vi soddisfaccia; e non vi lascia altro bene che la speranza cieca di goder meglio o più veramente in altra occasione, e il conforto di fingere e di narrare a voi medesimi di aver goduto, con raccontarlo anche agli altri, non per sola ambizione, ma per aiutarvi al persuaderlo che vorreste pur fare a voi stessi. Però chiunque consente di vivere, nol fa in sostanza ad altro effetto nè con altra utilità che di sognare; cioè credere di avere a godere, o di aver goduto; cose ambedue false e fantastiche.

Tasso. – Non possono gli uomini credere mai di godere presentemente?

Genio. –  Sempre che credessero cotesto godrebbero in fatti. Ma narrami tu se in alcun istante della tua vita, ti ricordi di aver detto con piena sincerità ed opinione: io godo. Ben tutto il giorno dicesti e dici sinceramente: io godrò; e parecchie volte, ma con sincerità minore: ho goduto. Di modo che il piacere è sempre o passato o futuro, e non mai presente.

Tasso. – Che è quanto dire è sempre nulla.

Genio. – Così pare.

Tasso. – Anche nei sogni.

Genio. – Propriamente parlando.

da La filosofia di Leopardi, Giovanni Amelotti, Arti Grafiche R.Fabris – Genova, 1937

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Due poesie

Mare scrigno d’oro
Che occultamente sveli
La trama dei tuoi inganni,
Libera queste voci lasciale
Che gli annegati cantano
E avvinti alla ruota si muovono
Eternamente come noi
Bambini.

Uccelli, vastità del mondo
Che dorme sotto le campane ferme;
Nella pianura bianca il sole è freddo
E mai c’è nulla da spiegare.
Gli animali sono tristi,
E le donne, e le cose sospinte tutte
E divorate.

da Due poesie, in “Prato pagano. Giornale di nuova letteratura”, n.1, primavera 1985, Roberto Varese

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L’uomo ha bisogno di illusioni; di fronte alla negazione, se vuol essere in qualche modo vivo, deve illudersi. Il dilemma estremo è questo: o illusioni o senso del nulla e della vanità di ogni cosa; o riconoscere un valore qualsiasi alla cosa, o sentirne tutto il peso delle putri e lente ore.

da La filosofia del Leopardi, Giovanni Amelotti, Arti Grafiche R. Fabris – Genova 1937

la chiocciola

 

Le vive, le eterne
colonne di luce
ti reggono, o terra,
sul gurgite d’aria,
te, piccola sfera,
sostengono in cima
al duomo dei mondi.

Discendono i cieli
nell’architettura
sacrata del cosmo
per lunga spirale,
in fughe di scale
che girano avvolte
la chiocciola enorme;

e giungono al fondo
del tempio vivente
laggiù dove dormono
in tombe di sonno
supini gli dei.

da Linea della vita, Giorgio Vigolo, Mondadori

e all’ultima porta

Ribes Sappa

 

E all’ultima porta,
al penultimo passo,
quando ancora il pensiero
se spunta ha un dove per ritornare,
un attimo prima che il cielo
si sveli per sempre o si copra
non lo daresti un seme
della tua eternità
per ritornarci sopra,
non cercheresti il fiato
per poche parole diminuite
tipo buongiorno quattro tre sì d’accordo mi
sentite?

da Il bene materiale, Paolo Febbraro, Scheiwiller

momento con mimo


Stefano della Bella

Adesso nel momento che mi sento
mi vedo a piedi scalzi steso in letto,
le braccia con le mani sopra il petto
le braccia con le mani sotto il capo;

adesso che ti penso, dove sei?
(se sei ed hai un corpo, un corpo immenso
adesso che ti penso) dove voli?
se voli ed hai le ali, grandi ali?

gran vele strabilianti, immense vele

bianchissime in un mare azzurro denso
un cielo e bianche nuvole più bianche
di nuvole più bianche quando estate
le accumula a far monti in alti cieli.

Mi dici che tu voli bianchi cieli
in chiari e immensi spazi eternamente
e parli, dici sempre e fai l’eterno
che nasce e sempre muove nel gran vento.

da Nella grande pianura, Umberto Bellintani, Mondadori

 


Stefano della Bella

sonetto

Lungo spettro d’argento commosso
il vento della notte che sospira
aprì con mano grigia la mia ferita antica
e fuggì via: io desideravo.

Piaga d’amore che mi darà la vita
con sangue perpetuo e pura luce.
Crepa dove Filomena ammutolita
metterà bosco, dolore e nido bianco.

Ah, che dolce rumore nella mia testa!
Mi coricherò vicino al fiore semplice
dove vive senz’anima la tua bellezza.

E l’acqua errante diventerà gialla
mentre scorre il mio sangue nella macchia
odorosa e bagnata della riva.

da Romancero gitano e altre poesie, Federico Garcia Lorca, Guanda, trad.di Carlo Bo

 

ho sognato un nuovo maestro

Da ieri notte Michele Mari è diventato insegnante di ruolo in una scuola elementare romana. Ho orecchiato mentre il nuovo maestro iniziava i bambini alle meraviglie della geometria leggendo loro Flatlandia di Edwin Abbott: quando sono andata – con la nomina di Rappresentante di Classe e di Consiglio Interclasse per l’anno scolastico 2010/2011 in mano- a complimentarmi con il maestro Mari per la brillante scelta e per chiedergli conto della programmazione educativa e didattica dei discenti, ha annunciato che dopo le festività natalizie i fanciulli godranno di 5 incontri con Michel Serres. Mi sono offerta come merenda.