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l’angelo ribelle (osvaldo licini – wallace stevens – harold bloom)

Poiché ogni poeta comincia (per quanto “inconsciamente”) con il ribellarsi contro la coscienza della necessità della morte assai più recisamente di quanto non facciano gli altri uomini e donne. Il giovane militante della poesia, o efèbo, come l’avrebbero chiamato gli ateniesi, è già l’uomo antinaturale o antitetico, e fin dai suoi inizi come poeta egli va alla ricerca di un oggetto impossibile, così come prima di lui aveva fatto il suo precursore.

(…)

Il poeta che sta in ogni lettore non esperisce la stessa separatezza da ciò che legge che invece sente necessariamente il critico che sta in ogni lettore. Ciò che dà piacere al critico che sta nel lettore può dare invece angoscia al poeta che sta in lui, un’angoscia che abbiamo imparato a trascurare, in quanto lettori, a nostro rischio e pericolo. Questa angoscia, questa modalità di melanconia, è l’angoscia dell’influenza, l’oscuro, demonico terreno in cui stiamo per addentrarci.
Com’è che gli uomini diventano poeti, o per usare una fraseologia più antiquata, com’è che s’incarna il temperamento poetico? Quando un potenziale poeta scopre inizialmente (o viene scoperto dalla) dialettica dell’influenza, quando scopre inizialmente  che la poesia è insieme esterna e interna a lui, egli intraprende un processo che terminerà soltanto quando non avrà più poesia dentro di sé, molto dopo aver perduto il potere (o il desiderio) di scoprirla ancora fuori di sé.

(…)

L’influenza per noi è motivo di angoscia quanto lo era per Johnson e Hume, ma il pathos aumenta in questa storia a mano a mano che ne diminuisce la dignità.

(…)

L’Influenza Poetica – quando interessa due autentici, forti poeti – procede sempre attraverso il travisamento di un poeta precedente, attraverso un atto di correzione creativa che è di fatto e necessariamente un’interpretazione sbagliata. La storia della fruttuosa influenza poetica, che costituisce la principale tradizione della poesia occidentale dal Rinascimento a oggi, è una storia di angosce e di caricature autoliberatorie, di distorisioni, di revisionismi perversi e ostinati senza i quali la poesia moderna in quanto tale non potrebbe esistere.

(…)

La poesia può realizzare o no la propria salvezza in un uomo, ma essa si concede solo a quelli che ne hanno un estremo bisogno immaginativo, anche se può allora arrivare portando terrore. E tale bisogno emerge dapprima attraverso l’esperienza che l’efèbo o giovane poeta fa di un altro poeta, dell’Altro la cui pericolosa grandezza è accresciuta dal fatto che l’efèbo lo vede come uno splendore bruciante a fronte di una oscurità limitante, in qualche modo come il Bardo dell’Esperienza di Blake vede la tigre, o Giobbe vede il Leviatano e Behemot o il capitano Achab vede la Balena Bianca o Ezechiele il Cherubino Protettore, che sono tutte visioni di una Creazione diventata malvagia e inceppante, di uno splendore che minaccia il Cercatore Prometeico che ogni efèbo si avvia a diventare.

da L’angoscia dell’influenza. Una teoria della poesia, Harold Bloom, Abscondita, trad.di Mario Diacono

Schiocco di frusta. Pameelen apre la porta. Vede un ambulatorio

Osvaldo Licini

Pameelen (appoggia la mano alla maniglia della porta, poi la lascia ricadere): Oh, questo appassire del mondo nel mio cervello! Queste stanchezze periferiche, ma innanzitutto questo sfiorire corticale…

da Doppia vita, Gottfried Benn, Guanda, a cura di Elena Agazzi

Legenda:

Schiocco di frusta: intuizione
Pameelen apre la porta: pensiero
Vede un ambulatorio:“Egli cerca di rivedere sperimentalmente questo attraverso la funzione logica generale del giudizio e del confronto, con il fulminante metodo dell’osservazione scientifica, con l’analisi causale, con trapianti,- con i derniers cris di tutte le psicologie. Cerca di saggiare i propri limiti, di determinare la propria sfera.”

 

Integrazione di categoria e tag del 13/03/2024: plusdotazione, neurodivergenze

III


Notturno, Osvaldo Licini

La poesia rinnova la vita, sì che per un attimo
Riviviamo la prima idea…Placa in noi
La fede in un principio immacolato.

E ci sospinge, sulle ali di una volontà inconsapevole,
Verso una fine immacolata. Muoviamo tra questi due punti:
Da quel sempre infante candore alle sue più tarde varietà.

Da quel candore nasce la potente euforia
Di ciò che proviamo quando il pensiero ci pulsa
Nel cuore, come sangue che appena sia giunto,

Un elisir, una tensione, un puro potere.
La poesia, grazie al candore, ci dà sempre di nuovo la forza
Di ritrovare di ogni cosa l’immacolata natura.

Ad esempio: di notte un arabo intonando
Infernali ubla-ubla-ubla-ahh inscrive
Nella mia stanza un’astronomia primitiva

Attraverso gli informi presagi che lancia il futuro
E scaglia le stelle sul pavimento. Di giorno
Era la colomba a gorgheggiare ubla-uh,

E sempre l’oceano gonfio d’iridescenza continua a tuonare uh,
E gonfia e tuona uh, e gonfia e ricade.
La vita insensata ci trafigge coi suoi misteriosi rapporti.

da Note verso la finzione suprema, Wallace Stevens, Arsenale Editrice, a cura di Nadia Fusini

Il non tempo del mare di Biagio Marin

Una sera de magio
color perla rosagia
la luna la spiasa
la veva basao.

El mar anche élo
s’ha fato putelo
vogioso de basi
persuasi,

de longo respiro.
Cussì ‘l s’ha disteso
sonando su éla
a l’antica maniera.

Un grando respiro
comosso ha le stele
za fisse in levante
a luna calante.

istae – estate; a sie – a scie; tu son – tu sei; gno – mia; zogia – gioia

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Per una volta incora istae xe blu:
qua su la porta de la note negra
dame quela to boca alegra
de luse e zoventù.

Ché, incora la me tenta
cussì piena de rie,
co’ tanto sol a sie
che l’aria fa contenta.

El càlisse tu son de la gno zogia
che bevo a sorso a sorso
co’ l’ultima passion, senza rimorso,
fiaba d’amor che ‘l tempo me desfogia.

Za splende sora ‘l mar la prima stela.
in ponente xe rosso duto ‘l siel,
xe dolse tanto l’ultimo to miel
e la to luse a l’anema dà vela.

 

rosagia – rosata; basato – baciato

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Tu sa dute de sal e de salmastro
comò l’erba volàiga là in marina
e l’ocio tovo brusa comò un astro
nel supio blu de la tramontanina.

E no t’ha pase soto la brusera
del sol de lugio che te manda in fiame
né te calma ‘l maestral che vien da tera
né la luna rinfresca le to brame.

Che tu sirchi smaniosa duto ‘l zorno
tra sielo e mar comò ‘na corcalina?
Vento gagiardo sufia e ‘l porta intorno
l’anima tova, vela pelegrina.

Tu sa de sal – senti di sale; l’erba volàiga – l’alga; l’ocio tovo – il tuo occhio; brusa – brucia; la brusera – la caldana; supio – soffio; sirchi – cerchi; corcalina – gabbianella; gagiardo – gagliardo

Il non tempo del mare di Biagio Marin, Mondadori 1964