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All’immaginazione

Se stanca della lunga fatica del giorno,
e dall’avvicendarsi terreno delle pene,
e smarrita e pronta a disperare,
la tua voce gentile mi richiama –
o mia leale amica, non sarò sola
finché mi parlerai con questo tono!

Il mondo esterno è così desolato,
quello interiore mi è due volte caro,
il tuo mondo che odio inganno e dubbio
e il gelido sospetto non conosce;
dove io tu e libertà
siamo i sovrani senza discussione.

Che importa se tutt’intorno
dimorano il pericolo la tenebra e il dolore
se nel recinto del nostro cuore
risplende un cielo immacolato,
tiepido dell’intrico di diecimila raggi
di soli senza inverno?

La Ragione a buon diritto si lamenta
per la triste realtà della Natura,
e dice al cuore affranto che i suoi sogni
sempre saranno vani;
e la Verità può calpestare i fiori
appena nati della Fantasia.

Ma tu sei qui a richiamare
le ondeggianti visioni, e nuove glorie
a spirare sull’appassita primavera,
e una vita più bella evocar dalla morte,
bisbigliando con voce divina
di mondi veri che hanno il tuo splendore.

Io non credo alla tua larva di eliso,
ma nell’ora placata della sera
sempre ti sono grata, potere benigno,
e ti do il benvenuto,
consolatrice delle pene umane
speranza più lucente quando speranza dispera.

3 settembre 1844

Emily Brontë , trad. di Ginevra Bompiani

Due lettere

I

Lettera da

Anche se vi fosse stata una luna crescente
In cima a ogni nuvola per tutti i cieli,
Che inondasse la sera di luce cristallina,

Si sarebbe desiderato dell’altro, altro, altro:
Qualche interno fedele a cui ritornare,
Una casa contro il proprio io, un’oscurità,

Un agio in cui vivere la vita di un momento,
Il momento di amore e fortuna di una vita,
Libero da tutto il resto, libero soprattutto dal pensiero.

Sarebbe stato come accendere una candela,
Come appoggiarsi a un tavolo, proteggendosi gli occhi
E ascoltando un racconto che si desiderava intensamente ascoltare,

Come se fossimo tutti seduti di nuovo insieme
E uno di noi parlasse e tutti credessimo
A quel che ascoltassimo e la luce, pur poca, bastasse.

II

Lettera a

Lei voleva una vacanza
Con qualcuno che parlasse la sua dolce lingua nativa,

Nelle ombre di un bosco…
Ombre, boschi…e loro due in conversazione,

In una segretezza di parole
Apertasi entro una segretezza di luogo,

Non concernente l’amore.
Una terra l’avrebbe presa fra le braccia quel giorno

O qualcosa di molto simile a una terra.
Il cerchio non sarebbe più stato rotto ma chiuso.

Le miglia di distanza lontano
Da tutto sarebbero finite. Tutto si sarebbe incontrato.

da Il mondo come meditazione, Wallace Stevens, Guanda, a cura di Massimo Bacigalupo

 

sull’autobiografia

Georges Perec: “Quest’autobiografia dell’infanzia si è fatta partendo da descrizioni di foto, da fotografie che servivano da intermediari, da strumenti di avvicinamento a una realtà di cui sostenevo di non possedere il ricordo. In realtà si è fatta attraverso un’esplorazione minuziosa, quasi ossessiva a forza di precisazioni, di dettagli. Attraverso questa minuziosità nella scomposizione, qualcosa viene rivelato. Je me souviens si colloca in una specie di via di mezzo e potrebbe continuamente precipitare nella relazione che ho con questo ricordo. Quando scrivo “Mi ricordo che la mia prima bicicletta aveva le gomme piene”, non è un’innocente banalità! Ne ho ancora la sensazione fisica eppure, apparentemente, è una cosa neutra.”

Frank Venaille: “Sì, è per quanto riguarda questa pseudoinnocenza, questa falsa apparenza della neutralità, non pensi che avresti benissimo potuto lavorare con una scatola di fotografie portateti da qualcuno e appartenenti a una famiglia a te sconosciuta, che ti avrebbe così fornito gli elementi di una finzione?”

Georges Perec: “L’ho fatto! Ho partecipato a una trasmissione televisiva intitolata La vita filmata dei francesi, che era un montaggio di film di dilettanti degli anni ’30-’36, per il quale ho scritto il commento. Ho quindi lavorato su documenti nei quali ho ritrovato quasi la mia propria storia.”

da Sono nato – Il lavoro della memoria(intervista di Frank Venaille), Georges Perec, Bollati Boringhieri, trad.di Roberta Delbono

che cosa è reale?


foto di Milo

Ho ancora un vivido ricordo dello schock che provai al mio primo incontro con il concetto dei molti mondi. L’idea di 100¹°°+ copie leggermente imperfette di me stesso che si dividono costantemente in altre copie, che alla fine diventano irriconoscibili, non è facile da riconciliare con il senso comune. Questa è schizofrenia a oltranza.

Bryce DeWitt a proposito della Interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica di Hugh Everett III

14 aprile 1956

L’orizzonte che vedo è limitato dal mio sguardo e sfuma dal centro verso i confini del mio occhio, ma non per questo io dubito di altri orizzonti, quelli che so che potrei vedere voltandomi o guardando da altre posizioni. Orizzonti che sono sempre presenti nella stessa percezione dell’orizzonte che ora vedo e senza i quali esso non sarebbe quello che è, orizzonti che non solo posso e potrò raggiungere ma anche che non posso più o non potrò mai raggiungere. In ciò che io ora percepisco sono innestati altri tempi e passati irrecuperabili, che fanno il presente che si apre al futuro. Il presente vive del passato che muore e non può far morire che un passato realmente esistito.

dalle pagine del 28 marzo 1958

Esperienza e visione razionale sono infinite come infinito è il passato e infinito l’avvenire: l’infinito ci circonda come qualcosa di potenziale e di oscuro e vive tuttavia nella concretezza del nostro tempo finito. Questa suggestione derivata da Husserl è organica e orientata: da questo punto di vista non è priva di analogie con la prospettiva filosofica di Whitehead. Oggi so come, anni fa, avrei dovuto scrivere su Whitehead.
Il feeling di Whitehead è la Lebenswelt. Nel feeling l’universo non si chiude in una teoria compiuta. Si attua in un processo, nella storia delle varie vite, in ogni interrelazione degli eventi nel tempo. Le cose diventano monadi aperte, nel passato e nel futuro, collegate ad infinite altre monadi. Queste monadi, proprio perché sono centri spazio-temporali, non monadi chiuse, si intersecano e si incontrano. Socialità di eventi che si relazionano con altri gruppi di eventi nel tempo e nello spazio. L’intenzionalità di Husserl è analoga al sentimento estetico di Whitehead.

da Diario fenomenologico di Enzo Paci, Il Saggiatore

 

Che cosa è reale?

 

“Per Everett la risposta è: l’unica entità fisica reale è la funzione d’onda. Il prezzo di questo monismo è il problema della base privilegiata. Poiché la funzione d’onda di un sistema composto si può rapprensentare in tanti mondi diversi, l’applicazione delle idee di Everett a generi diversi di rappresentazioni suggerisce che la medesima funzione d’onda contiene non solo molte storie, ma anche molti generi diversi di storie. Questo conduce a un’intepretazione dei molti mondi

“Io (Julian Barbour) rispondo: le configurazioni”

da La fine del tempo, Julian Barbour, Einaudi

 

 

la falsa morta


emma 1916

Sulla tomba incantevole umilmente,
teneramente, sopra l’insensibile
monumento che prodiga d’amore
e d’ombre e d’abbandoni la tua grazia
compone stanca, muoio,
io muoio su di te, cado e mi prostro,

ma sul basso sepolcro
di te prostrato appena, la cui chiusa
estensione alle ceneri m’invita,
la falsa morta in cui torna la vita
freme, riapre gli occhi,
m’illumina, mi morde e mi rapisce
sempre una nuova morte
più rara della vita.

da Gli Incanti, Poesie, Paul Valéry, Feltrinelli, trad.di Beniamino Dal Fabbro

 


edmond baudoin

la sicurezza fisica

La sicurezza fisica si manifesta in tutti nello stesso modo, quella morale presuppone invece uno stato d’animo che non è rintracciabile in ogni soggetto. Ma poiché la sicurezza fisica ha solo valore per i sensi, essa non ha nulla che possa di per sé piacere alla ragione e il suo influsso è puramente negativo, servendo solo ad impedire che non si spaventi l’istinto di conservazione e non si vanifichi la libertà dell’animo.
Ben diversamente accade con la sicurezza interiore o morale. Essa è sì immediata fonte di tranquillità per i sensi, (diversamente risulterebbe essa stessa sublime), ma lo è solo in virtù delle idee della ragione. Noi contempliamo lo spaventoso senza timore, poiché ci sentiamo sottratti, in virtù della coscienza della nostra innocenza o dell’idea di indistruttibilità del nostro essere, al potere che ha su di noi in quanto esseri naturali.

da Del sublime, Friedrich Schiller, SE Studio Editoriale, a cura di Luigi Reitani