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il mio lettore (appunti per 24 scatti n.9)

Da un po’ di anni dormo sonni agitati e sogno un vecchio che impazzisce per la solitudine. Soltanto il sogno riesce ancora a raffigurarmi in modo realistico. Mi sveglio in un pianto di solitudine, persino quando di giorno mi sento più a mio agio in mezzo agli amici che ancora mi restano. Non sopportò più la mia vita, e il fatto che oggi o domani entrerò nella morte infinita mi porta a pensare. Per ciò, dal momento che devo pensare, così come chi, gettato in un labirinto, deve cercare una via d’uscita tra pareti lucide di stallatico, sia pure attraverso la tana di una pantegana, per ciò soltanto scrivo ancora queste righe. Purtroppo non sono mai stato, nonostante i miei tanti sforzi, credente, non ho avuto crisi di dubbio o di rifiuto. Sarebbe stato forse meglio che lo fossi, poiché la scrittura richiede una condizione drammatica e il dramma nasce dalla lotta estenuante tra speranza e sconforto, dove la fede immagino abbia un ruolo essenziale. Ai tempi della mia giovinezza metà degli scrittori si convertiva, mentre l’altra metà perdeva la fede, il che, ai fini della loro produzione letteraria, aveva quasi gli stessi effetti. Quanto li invidiavo, per il fuoco che i loro demoni attizzavano sotto i paioli in cui crogiolavano in quanto artisti! Ed eccomi ora nel mio cantuccio, un groviglio di cenci e cartilagini, sulla cui mente o cuore o fede non scommetterebbe nessuno, perché non avrebbe null’altro da prendermi.
Me ne sto qui, in poltrona, atterrito al pensiero che fuori non esiste più nulla, se non una notte densa come un infinito blocco di pece, una nebbia scura che ha inghiottito lentamente a mano a mano che crescevo in età, case, strade, volti. L’unico sole dell’intero universo sembra essere ormai la lampada abat-jour, e l’unica cosa che illumina un viso raggrinzito di vecchio.
Dopo la mia morte, la mia bara, il mio cantuccio, continuerà a scivolare nella nebbia scura e densa, non portando da nessuna parte questi fogli perché qualcuno li legga. In essi c’è però, finalmente, tutto. Ho scritto alcune migliaia di pagine di letteratura: tutto in fumo. Trame narrate magistralmente, fantocci dai sorrisi elettrizzati, ma come dire qualcosa, per quanto minima, in questa convenzione dell’arte? Vorresti stravolgere il cuore del lettore, e lui cosa fa? Alle tre termina il tuo libro, e alle quattro comincia a leggerne un altro, indipendentemente da quanto valesse il libro che tu gli hai messo fra le mani. Questa quindicina di fogli sono però un’altra cosa, un altro gioco. Il mio lettore adesso non è altri se non la morte. Vedo perfino i suoi occhi scuri, umidi, concentrati come quelli delle bambine, intenti a leggere a mano a mano che scrivo, rigo dopo rigo. Questi fogli contengono il mio progetti di immortalità.

da L’uomo della roulette in Nostalgia, Mircea Cartarescu, Voland, a cura di Bruno Mazzini