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E la montagna è nera

E la montagna è grigia e la montagna è rosa
la guardo e mi spaventa perché ci stanno i morti
ma sol che m’avvicini, ma sol che io vi salga
risento la pienezza dei corpi che son vivi
del corpo mio che pena
del corpo suo che regge

e la montagna è verde e la montagna è bianca
la guardo e mi spaventa perché c’è la pazzia
ma sol che m’avvicini, ma sol che io vi salga
risento la carezza che dava la mia mamma
la mia mamma lontana
la mamma e la sua pace

e la montagna è azzurra e la montagna è nera
la guardo e mi spaventa perché non è per l’uomo
ma sol che m’avvicini, ma sol che io vi salga
risento le parole di tutti i miei compagni
di quelli che son vivi
di quelli che son morti

e la montagna è grigia e la montagna è rosa
e la montagna è verde e la montagna è bianca
e la montagna è azzurra e la montagna è nera
e la montagna è nera.

(canzone libera, 2006)

Michele Mari, Dalla cripta, Einaudi, 2019

Sonetto alieutico

Solo solingo va lo pescatore
inteso alla cattura di gran pesce,
eppure alquanto quell’andar gl’incresce
ché troppo si lontana dal suo amore.

Immensa ei sente serpeggiargli in cuore
vaghezza di sua donna, e s’ancor cresce
l’acerbo duol ch’al suo pescar si mesce,
ahi meschinel! lo struggerà il languore.

Già a mezzo corso è ‘l Carro, e ‘l galleggiante
ancora non si scote, e tutto tace,
e ‘l filo  calmo, e l’acqua tremolante:

tu nella percezion di questo istante
scopri commosso che non sai la pace
di vita ferma che non sia d’amante.

(1984)

da Dalla cripta, Michele Mari, Einaudi

III

Io ero tu dicevi, ed imperfetto
sentenziava il didàscalo severo,
ché quello che tu eri era leggero
come una casa cui non copra ’l tetto.

Sarò farò insistevi pargoletto,
ma potrà mai il futuro farsi vero
se un atomo soltanto, un punto mero
diversi son dall’esito concetto?

Passati invece siamo di diritto,
passanti un giorno e trapassati poi
senza tensione, senza più tragitto;

frammenti di memoria, noi e voi,
precipiti nel nulla a capofitto
perché il passato è tutto, e siamo suoi.

 

da Ghirlanda, sette sonetti di Michele Mari, pubblicati nell’antologia Chi ha tempo. Storie di giorni che corrono, a cura di Alessandra Urbani, Marcos Y Marcos, 2016

Festa romana per Michele Mari

Sabato 5 maggio dalle 17.30 alle 20.00

FESTA ROMANA PER MICHELE MARI

c/o Apollo Undici, Via Bixio 80/A – Roma

(xilografia di R.L. Stevenson)

Tempo fa il Mucògeno mi leccò la faccia nel sonno: ridestandomi nel raccapriccio, capii immediatamente che la sua flegmatica bava, impregnandomi la pelle, mi stava trasmettendo dei dati. Fra questi un apologo, corrispondente a un dipresso al testo che segue:

“Ogne conchiglia ha lo càlcare secreto e formato dalle medulla sue; e tutto e congruo e verace. Ma se il mollusco defunge, e l’asilo deserto viene occupato da l’infingardo Paguro, questa l’addimandiamo Menzogna, poiché tutto è distorto: epperò la natura stessa del parassito la denuncia per tale, sicché a noi sape tuttavia di socratica Verità. Ma dessi anche il caso, ch’è il tertium, per cui il mollusco maliziosamente dia al proprio alloggio forma non necessaria, com’è dire bivalve allora che sia d’uopo di una, oppure in guisa di coclea allor che sua stirpe vorrebbe cuspide ovver cannolicchio: dove non è chi non veda come lo starsi dell’informe mollurie nel càlcare strutturato partecipi eziandio e del falso (poiché mentita è la forma) e del vero (poiché essa è nella Storia). Diximus”.

Non ci vuole molto a cogliere l’antifona: cristallizzandomi, mi sono falsificato: e vivendo e scrivendo, e scrivendo della mia vita e vivendo nella mia scrittura.

da Leggenda privata, Michele Mari, Einaudi

Oggi alle 18 incontro con M.M.

’Associazione Civita – Piazza Venezia, 11 – Roma

Bestia

Bestia è il violento e l’arrogante ma anche l’incompetente e l’ottuso; soprattutto lo è chi comunque suscita antipatia nel narratore, largo di ingiurie tanto “a quelle bestie di quegli Inghilesi” (p.104) quanto a “quelle bestie di quei Franciosi” (p.511) e “alle bestialità” commesse da quattro cavalieri tedeschi (p.324), tanto ai popolani quanto ai signori. Da questo punto di vista lo sguardo di Benvenuto è davvero ecumenico, abbracciando in un’unica famiglia locandieri e guide (“quella bestia di quell’oste”, p.251; “quella pazza bestia” di un maestro delle poste che “è il più bestia uomo che avessi mai questa città; e ha quivi due figliuoli (…) più bestiali di lui”; un cavallante più bestia del suo animale), occasionali compagni di viaggio come “quella bestia” di un milanese “il quale aveva viso di pazzo” (pp.418-421), militari (da un capitano lombardo “presuntuoso e ignorantissimo” detto a breve distanza “questa bestia”, “questa villana bestia” e “quel bestion”, pp.589-591, al citato Annebaut), artigiani come “quella bestia” di uno stampatore francesce (p.464) o “questa bestia” del Bandinelli (pp.529,551), poeti come Mattio Franzesi (“cotesta bestia”, p.290) o il Manetti (“quella bestia de l’Iuvinale”, p.307), pubblici funzionari (il notaio Ser Benedetto, percosso da Benvenuto “perché questa bestia se l’ha cerche”, p.248; il segretario di Cosimo I Pier Francesco Riccio, così epitetato numerose volte per la sua stupidità e il suo “impazzare”, fra pp.524 e 580), fino a un “cardinal bestia” (Giovanni Salviati) “che aveva più viso di asino che di uomo” (p.223) e, in cima alla piramide, nientemeno che il papa (“veduto io il Papa diventato così pessima bestia”, p.225; “il Papa, entrato in bestial furore…”, p.231). Ma a tanta bestialità è Benvenuto stesso a non poter restare indifferente, perché il contagio, nella vita prima che nella scrittura, è reciproco.

da Da alcune ossessioni celliniane, Michele Mari, ACME Annuali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, Vol.LV – Fascicolo III – Settembre/Dicembre 2002

I numeri di pagina indicati dopo le citazioni si riferiscono a:
Benvenuto Cellini, Vita, a cura di E. Camesasca, Milano, Rizzoli, 1985

c’è un’estasi che indica il culmine della vita

C’è un’estasi che indica il culmine della vita, quello oltre il quale la vita non può ergersi. Ed è tale il paradosso della vita, che quest’estasi arriva sì quando si è più vivi, ma presentandosi nella forma del completo oblio di essere vivi. Quest’estasi, questo oblio di essere vivi visitano l’artista, rapito a se stesso da una cortina di fiamme, visitano il soldato, ebbro di guerra nel campo di battaglia; e visitavano Buck, che guidava il branco elevando l’antico grido di lupi, proteso al cibo che era vivo e che fuggiva velocemente davanti a lui nel chiaro di luna.

Il richiamo della foresta, Jack London, Bompiani, traduzione di Michele Mari

Quando l’autunno carco di presagi

Quando l’autunno carco di presagi
s’appresta ad incontrare il duro inverno
tutta è già scritta in natural quaderno
l’onta dei giorni suoi mesti e randagi.

Ma se un arcano con sue torte ambagi
svelle dell’anno l’inconcusso perno
le stagioni sciogliendo dall’Averno
che le rilega in sempiterne stragi:

vedresti allora il tempo declinante
riconfortarsi ai zefiri orientali,
e il rosso della foglia vacillante

ritingersi di verde, ché son tali
nel sogno d’ogni core che sia amante
d’autunno e primavera gli sponsali.

Poesia di Michele Mari da 50 ANNI DI BIANCA (1964-2014), AA.VV., Einaudi