Eccoti tornato, la mente sempre piena di quest’agitazione che ha continuato a crescere e incupirsi da quando questo treno è partito, il corpo formicolante di queste fitte di stanchezza che di quarto d’ora in quarto d’ora diventano più acute, intervenendo sempre più violente nel corso dei tuoi pensieri, disturbando il tuo sguardo quando ti sforzi di applicarlo a un oggetto o a una faccia, stimolandoti bruscamente verso una di quelle zone dei tuoi ricordi o dei tuoi progetti che prudentemente desideri evitare, che ribollono, fermentano, si agitano in questa riorganizzazione delle immagini di te stesso e della tua vita che si sta compiendo, scorre implacabilmente senza che la tua volontà vi prenda parte, questa metamorfosi oscura di cui, lo senti perfettamente, percepisci solo una minima parte, di cui i movimenti originari e quelli conclusivi ti restano in gran parte sconosciuti e sui quali ti sarebbe tanto necessario proiettare qualche lume, neanche i più duri studi, la più minuziosa pazienza costituirebbe eccessivi sforzi per far retrocedere anche un tantino di ombra, per darti sia pure un minimo di presa e di libertà su questo determinismo che per il momento si massacra nella notte, questo gran lavorio che si produce in te, distruggendo a poco a poco il tuo personaggio, questo cambiamento di luce e di prospettiva, questa rotazione dei fatti e dei significativi, fonte della tua stanchezza e delle circostanze, fonte di questa decisione che tu immaginavi appartenerti, della tua situazione nello spazio delle condotte umane, e traducendosi in stanchezza che è come il suo rumore e il suo ansimare, ed essendo cosparso di questo sudore quasi secco che fa attaccare la biancheria alla tua pelle, scavando questa specie di vertigine, questa disfunzione del tuo sistema digestivo e respiratorio, di questo malessere, di questa debolezza improvvisa, di questa titubanza che ti fa stare sul chi va là, di questo appesantimento delle palpebre e della testa che ti fa non proprio sedere ma crollare al tuo posto senza preoccuparti di ritirare il libro che avevi lasciato e che tiri fuori di sotto le cosce penosamente, appoggiandoti all’angolo (…)
da La modificazione, Michel Butor, Mondadori, trad. autorizzata di Oreste del Buono