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eccoti tornato

Eccoti tornato, la mente sempre piena di quest’agitazione che ha continuato a crescere e incupirsi da quando questo treno è partito, il corpo formicolante di queste fitte di stanchezza che di quarto d’ora in quarto d’ora diventano più acute, intervenendo sempre più violente nel corso dei tuoi pensieri, disturbando il tuo sguardo quando ti sforzi di applicarlo a un oggetto o a una faccia, stimolandoti bruscamente verso una di quelle zone dei tuoi ricordi o dei tuoi progetti che prudentemente desideri evitare, che ribollono, fermentano, si agitano in questa riorganizzazione delle immagini di te stesso e della tua vita che si sta compiendo, scorre implacabilmente senza che la tua volontà vi prenda parte, questa metamorfosi oscura di cui, lo senti perfettamente, percepisci solo una minima parte, di cui i movimenti originari e quelli conclusivi ti restano in gran parte sconosciuti e sui quali ti sarebbe tanto necessario proiettare qualche lume, neanche i più duri studi, la più minuziosa pazienza costituirebbe eccessivi sforzi per far retrocedere anche un tantino di ombra, per darti sia pure un minimo di presa e di libertà su questo determinismo che per il momento si massacra nella notte, questo gran lavorio che si produce in te, distruggendo a poco a poco il tuo personaggio, questo cambiamento di luce e di prospettiva, questa rotazione dei fatti e dei significativi, fonte della tua stanchezza e delle circostanze, fonte di questa decisione che tu immaginavi appartenerti, della tua situazione nello spazio delle condotte umane, e traducendosi in stanchezza che è come il suo rumore e il suo ansimare, ed essendo cosparso di questo sudore quasi secco che fa attaccare la biancheria alla tua pelle, scavando questa specie di vertigine, questa disfunzione del tuo sistema digestivo e respiratorio, di questo malessere, di questa debolezza improvvisa, di questa titubanza che ti fa stare sul chi va là, di questo appesantimento delle palpebre e della testa che ti fa non proprio sedere ma crollare al tuo posto senza preoccuparti di ritirare il libro che avevi lasciato e che tiri fuori di sotto le cosce penosamente, appoggiandoti all’angolo (…)

da La modificazione, Michel Butor, Mondadori, trad. autorizzata di Oreste del Buono

Sogno del 22 maggio 2016:

Libreria senza pareti né scaffali (la posizione del mio corpo stabilisce la funzione di questo spazio) e davanti alla scrivania alla quale siedo si trova un lungo viale alberato: un caro amico alla sinistra, un molesto cliente alla destra ed entrambi invitati a lasciarmi al comparire del Principe di Danimarca;
Occhiali rosa piccoli e stretti con impressa la data 1 marzo 1951;
Inquadratura, nel sogno, delle mani durante il dono degli occhiali e del libro dal mesto (parola presente nel sogno o al piatto di copertina del libro) principe;
Altissima gioia.

Sulla giornata lavorativa del 24 maggio 2016:

Casa d’altri, Sansoni, 1953: venduta chissà quando;
Non ho avuto voglia di assumere la configurazione di libraia chiarendo che il libro Chien blanc di Romain Gary è in catalogo presso Neri Pozza con la traduzione letterale del titolo, né ho avuto voglia di raccontare la trama del libro e di dire la ragione per cui l’ho esposto in vetrina;
Ancora una volta niente Chris Marker;
Ho scordato La modificazione di Michel Butor;
Questua d’amicizia, a colui che si dichiara cliente storico ma non assiduo, respinta;
Fatica, solitudine, sindrome d’abbandono;
Felice visita di Habté;
Felice scoperta, grazie alla visita di Michelino, di un’interpretazione di Leopardi nel volume di Rime del Petrarca: albero maestro della giornata.

appunti per Mi chiamo M.M. n.10

xilografia di mila

In realtà, dopo un quarto d’ora di posa, il modello non era più in grado di guardare l’artista in quel modo, ed era appunto dal momento in cui lo sguardo si assentava che occorreva ritrovarlo vivente sulla tela.

da Ritratto dell’artista scimmiotto, di Michel Butor, Einaudi, trad.di Oreste del Buono

appunti per Trentasei e dieci vedute n.6

who's coming?

SCRIPTOR

La costruzione è il dialogo dell’artista con la propria morte.

Un cane nero viene a farsi carezzare.

PICTOR

Si tratta di non morire

VIATOR

Si tratta di morire bene.

PICTOR

Si tratta di imparare a morire.

SCRIPTOR

Dipingere sarebbe imparare a morire.

PICTOR

Dipingere, scrivere.

da Vanità, Michel Butor, SE Studio Editoriale, trad.di Roberto Rossi

Ulteriore debito con Maurice Sans Terre per la foto

appunti per Trentasei e dieci vedute n.2

venere di mila

A sessantatré anni comincia le sue Trentasei e dieci vedute del monte Fuji; le porta a termine a settantadue con l’aggiunta di Dieci vedute. A settantaquattro, nella prefazione alle Cento vedute della stessa montagna, dichiara:

Fin dall’età di sei anni, avevo la mania di disegnare la forma degli oggetti. Verso l’età di cinquant’anni, avevo pubblicato un’infinità di disegni, ma tutto ciò che ho prodotto prima dei settant’anni non vale la pena di essere tenuto in conto. Solo all’età di settantatré anni ho capito più o meno la struttura dell’autentica natura degli animali, delle erbe, degli alberi, degli uccelli, dei pesci e degli insetti. Di conseguenza, all’età di ottant’anni avrò fatto ancora più progressi; a novant’anni avrò penetrato il mistero delle cose; a cento, sarò certamente giunto a una fase meravigliosa, e quando ne avrò centodieci, tutto ciò che farò, un punto, una linea, sarà vivo. Prego coloro che vivranno a lungo quanto me di vedere se manterrò la promessa.
Scritto nel mio settantacinquesimo anno d’età, da me medesimo, un tempo Hokusai, oggi Gwakio Rojin, il vecchio innamorato pazzo del disegno.

(…)

Quando, nel 1862, Claude Monet si installa al primo piano di un edificio di Rouen per dipingere le sue Venti cedute della cattedrale, ricorda le Trentasei e dieci vedute del Monte Fuji, ma resta sempre alla stessa finestra.

(…)

Hokusai, invece, per ogni trasformazione apportata dal passare delle ore e dal cambiamento del tempo, vento, pioggia, cielo sereno o foschia, cerca sempre altri punti di vista.

(…)

è impossibile immaginare Hokusai mentre riprende venti volte lo stesso disegno accontentandosi di cambiare solo i suoi inchiostri (si potrebbe fare una mostra con una sola stampa, in base alle sue sottili differenze di tiratura): il Fuji non è solo un pretesto, ma il soggetto vero e proprio, la montagna sacra, immensamente importante per lui e per quello che lo circondano, ed egli desidera studiarne tutti gli aspetti.

Il Fuji è un punto di riferimento topografico straordinario, poiché mette in collegamento tutti gli elementi della regione che esso domina con la sua altissima presenza.

(…)

L’itinerario al quale ci invita Hokusai è un pellegrinaggio, e a ognuna delle sue stazioni la divina montagna ci svela qualcosa di nuovo.

(…)

All’esplorazione oraria, topografica, formale, si aggiunge un’esplorazione poetica. Nella liturgia cattolica si aggiunge al nome della Vergine tutta una serie di epiteti:

Rosa mistica,
Torre di Davide,
Torre d’avorio,
Casa d’oro,
Arca dell’Alleanza,
Porta del cielo,
Stella mattutina,
Salvezza degli infermi,
ecc.

e così, analogamente, le Trentasei e dieci vedute sono le litanie del Fuji; come nel culto della Vergine, che in Italia si frammenta in tutta una serie di Madonne e di apparizioni tanto diverse nei loro aspetti e nelle loro influenze quasi quanto le dee dell’antichità, ognuna col suo santuario che si può visitare, al quale si possono portare le proprie particolari devozioni, così in ciascuna stazione del suo pellegrinaggio Hokusai propone per la usa montagna santa un nome ogni volta diverso.

da Saggi sulla pittura. Holbein, Caravaggio, Hokusai, Picasso, Mondrian, Rothko, Michel Butor, Abscondita, trad.di Massimo Porfido