Tag Archives: mauro marè

Controcielo n.4

L’uomo non può fare a meno di storicizzare e di storicizzarsi. Cristo il punto d’incidenza tra Dio e la storia. Ci siamo appropriati di Cristo, nostro simile, per esorcizzare ciò che è assolutamente altro. Incommensurabilmente lontano. Per rendere meno insopportabile tale lontananza.
Le cose non esistono se non vengono narrate. La lieta novella fa esistere Dio e lo fa nascere in una mangiatoia, luogo da dove ha inizio la nostra teofania che ha compimento nell’eucarestia.
Dio verbo dell’origine, l’essere all’infinito, noialtri i participi, presenti e passati, nella narrazione del mondo cui l’essere partecipi dell’intreccio impone alcune bizzarre vicende.
Ma è il linguaggio che urge e assurge a personaggio che agisce nel paesaggio. La nostra vita un pittoresco gioco di incontri linguistici, di relazioni sintattiche. Le consonanti sono i moti, le vocali aperte le aurore, quelle chiuse i tramonti. Dio crea nominando. Gerendo gerundi navigare l’infinito. Occorre sempre la narrazione per ripercorrere la creazione.

da Controcielo. Romanzo grottesco, Mauro Marè, All’Insegna del Pesce d’Oro

Controcielo n.3

“Io dissi Dio al dissidio tra uomo e mondo”.
Non è già una mirabile armonia d’amore a legare l’uomo e il mondo sì che Dio sia lo stesso superiore disegno onde essa promana. è invece l’insanabile dissidio tra l’empietà dell’uomo e la perfezione delle sfere celesti a generare nell’uomo il disegno di Dio. Ma se Dio è questo disegno, esso è anche l’empietà che lo genera.
La religione è desiderio d’ordine e d’armonia. è non capacitarsi dell’ingiustizia del mondo, è bisogno d’amore. Ma se la ferita che è all’origine fosse prodotta proprio da quel dissidio, nella lacerazione del suo dirsi?
Il mondo reale è limitato, l’immaginazione che suscita il desiderio di superarne i limiti è infinita. Ma non potendo ampliare l’uno, occorre restringere l’altra perché dalla loro differenza nascono le pene che ci rendono infelici.
Per migliorare il mondo occorre far buon viso al male e al fango di cui l’uomo è intriso. Spetta al poeta trarne il pianto e il riso.
L’uomo ha paura di vivere. L’uomo ha paura di pensare. Vivere significa esperire la propria morte, pensare: pensare la morte. L’accademia esorcizza l’accadere. Cristo è uno scandalo. Cristo fa paura. Perché è un infinito morire. Il cristallo è la luce ma è lo stallo del Cristo. In questo senso la Chiesa è luce. Ma la vita perenne del Cristo è nel suo infinito morire. La resurrezione uccide il Cristo perché annulla il morire che è il suo vivere eterno. Da una stalla allo stallo – ecco la traiettoria storica del Cristo. Dal Cristo al cristallo. L’amaro calice del Cristo è colmo d’aceto e fiele in cambio della sua infinita sete di giustizia. La resurrezione del Cristo precede la sua morte. La Chiesa è stallo. La Chiesa è luce. Cristo è infinita libertà. Ma la libertà genera disperazione. La disperazione di non trovare un Dio che ci illumini.

da Controcielo. Romanzo grottesco, Mauro Marè, All’insegna del Pesce d’Oro

Controcielo n.2

– Non può esistere – disse un “con” se non si configura un “contro”. Gli insonni riacquistano il sonno se si impedisce loro di dormire. Anche il sonno dunque, la più inerme delle funzioni, ha bisogno d’un contro. Così anche l’amore. Gli amori più grandi sono quelli contro: i genitori, la famiglia, la società. Un’eccessiva facilità d’amore provoca la caduta del desiderio. L’amore senza argini annega se stesso. Anche l’amicizia non esiste se non contro qualcuno o qualcosa. Ci vuole un pericolo, un nemico, un ostacolo comune. Le difficoltà iniziali della vita consentono le grandi amicizie fra i giovani. Ma l’amicizia resiste finché si mantiene l’ostacolo, il nemico, il pericolo. Finito tutto ciò, finita l’amicizia. L’unica vera amicizia tra gli uomini è quella contro Dio perché questi, essendo immortale, può garantire un’amicizia infinita.
Non vi sembrano questi – disse rivolgendosi agli amici che lo ascoltavano – motivi sufficienti per fondare un’antireligione universale capace di assicurare la fratellanza tra gli uomini?

da Controcielo. Romanzo grottesco, Mauro Marè, All’insegna del Pesce d’oro

Controcielo, contro il Cielo

– Io dissi Dio al dissidio tra uomo e mondo. Questo verso – raccontava il disarcivescovato- costituisce l’unico frammento superstite di un poemetto che fu scritto da un papa nel Seicento. Incredibile, vero? Il poemetto, di non pessima fattura, come lo aveva giudicato chi ebbe la sventura di leggerlo – lettura che pagò con la morte – fu composto dal pontefice sullo scorcio di una vita di efferati misfatti e fu il risultato di una laboriosa e creativa conversione all’ateismo.
Sembra anche che il papa avesse confidato a un cardinale a lui molto vicino le sue idee e la sua coerente decisione di spaparsi e che per questo fosse stato avvelenato.
Un povero monacello, confessore del papa, venuto in possesso del manoscritto, ne andava rivelando tutti i retroscena allorché, scoperto, fu processato e mandato al rogo. Egli stesso infatti venne accusato di essere autore sia dell’eretico poemetto sia dell’assassinio del papa. Di tutto ciò il disarcivescovato era venuto a conoscenza leggendo gli atti del processo. Il poemetto purtroppo era andato perduto. Di esso restava soltanto il verso iniziale recitato dal monacello, mentre da altri brani dell’interrogatorio si poteva ricostruire il contenuto dell’eresia papale. Si trattava di una sorta di bizzarro e perverso gnosticismo: un Dio negativo e pasticcione nato dalla mente dell’uomo come induzione dall’irrazionalità del mondo. Non un Dio creatore poi suicidatosi per il fallimento della creazione. Piuttosto un dio abortito. Dio non esiste. Se esistesse bisognerebbe negarlo. Un Dio creato dall’uomo solo per dar corpo alla sua esigenza di bestemmiarlo. Un uomo malvagio a immagine e somiglianza di Dio o un Dio malvagio a immagine e somiglianza dell’uomo? Lungi dal pensare, diceva il papa, a un uomo buono in quanto gioiello della creazione, posso tuttavia pensare a un uomo non del tutto malvagio nonostante Dio o a un dio del tutto malvagio stante l’uomo.
Bisogna dire che una vita trascorsa tra benefici e venefici non poteva dar frutti più perversi. E che un papa che professava simili opinioni meritasse d’essere avvelenato?

da Controcielo. Romanzo grottesco, Mauro Marè, All’Insegna del Pesce d’Oro

la vogliamo pericolante

weegee pericolante

– In arte – principiò a dire – bisogna battere sul levare. Il poeta è un costruttore ma, a differenza dell’architetto che deve assicurare la statica dell’opera, egli deve garantirne l’instabilità. Perciò l’ingegnere-poeta si ingegnerà di lasciare la sua opera in qualche misura pericolante sì che lo spettatore o il lettore vengano sollecitati, come d’istinto, a sorreggerla, a puntellarla quasi stesse per crollare.

(…)

il bacio di weege

– Ma come… – disse l’autore – le pagine non sono numerate!
– No – disse lei – ogni pagine il fine, ognuna il comincio. Un filo rosso segreto trapunge il mio romanzo ed è il lettore che lo deve rintracciare. Il mio libro è un thrilling dove il senso, come l’assassino, si nasconde, sta sempre in agguato. Nessun nesso mi interessa, neanche quello elementare e meccanico dell’ordine numerico.

(…)

weegee_folla_a_coney_island

– Quanto le lettere dell’alfabeto sono miti e accomodanti, tanto le parole sono superbe e arroganti. Come qualsiasi aggregato è peggiore dei suoi componenti, il gruppo peggiore dell’individuo, così le parole sono peggiori delle lettere che le compongono, le frasi peggiori delle parole, i periodi peggiori delle frasi ma pur sempre migliori dei paragrafi e questi a loro volta migliori dei capitoli e così via. Se poi le parole si aggregano in un’opera, mettiamo in un romanzo, pretendono di esprimere cose più grandi di loro. Non parliamo poi delle parole chiamate a comporre trattati. Esse sono intrattabili. Non hanno più nulla della purezza dei suoni che le compongono, ma, cristallizzate nei significati, assumono una loro pedante accademica albagia. Si rivestono di austeri paludamenti a nascondere il pensiero più che a esplicitarlo. Le parole acquisiscono una loro identità, una loro apparenza sociale: si fanno piccolo-borghesi.

(…)

weegee murder is my business

– La letteratura, come la vita – dice l’Autrice – è l’esigenza mai risolta di sovrapporre la razionalità della causa alla violenza del caso. Ma è questo che domina comunque. Scrivere un romanzo è voler assumere la violenza della casualità, l’arbitrio del nominare come quello del nascere e del morire, del creare e dell’uccidere: la ferocia di Dio.
L’immoralità è propria del romanzo: “la signora uscì alle cinque”. Ella dovrà avere un nome, avrà al guinzaglio un cagnolino, in testa un cappello da cui spunterà qualche ciocca rossa.
Perché così e non altrimenti? Perché la mia e non altra mente! Diversamente, diversa mente. Scriver romanzi…un’etica profonda lo dovrebbe vietar serenamente. Se veramente fosse così!
E allora la realtà delle cose, delle persone e dei personaggi è questo mediocre gioco di parole, niente di più, niente altro che questo.
Un poeta non può scrivere un romanzo. Perché non può misurarsi con fatti che non si dimensionino con le parole. In poesia la parola non dice, non comunica, non significa, non enumera, la parola semplicemente “è”.
I fatti, le circostanze, i nomi sono gratuiti, arbitrari, volgari, possono essere o non essere, non hanno la necessità sublime e ineludibile della parola poetica.
La sfida è quella di creare un racconto che sopprima i nomi, senza tempo, senza luoghi, senza personaggi. Questi non si affaccino altro che per negare se stessi e le circostanze che li determinano e li negano a loro volta. Compito del libro, di qualsiasi libro, non può essere che quello di significare la ferita immarginabile tra l’immaginabile e l’impaginabile.

da Controcielo. Romanzo grottesco, Mauro Marè, All’Insegna del Pesce d’oro

 

Cacchi e ricacchi

Polloni dell'ulivo

Pò esse ch’io so’ morto da mill’anni
e quello che vedete nun so’ io,
ma un artro che sta dentro ar grugno mio
e che se veste de l’istessi panni.

Qualunque omo è un frigantò d’inganni
e cià dentro a la panza un buggerìo
d’anime come pesci da cottìo,
tutte ribbelli all’anni e a li malanni.

Tu pure, fatte conto, nun esisti
perché de nasce te ne sei scordato,
perciò me guardi co quell’occhi tristi.

Er futuro è un ricacchio der passato
e tu che legghi è inutile che insisti:
sei omo antico, morto e aricacchiato.

da Er mantello e la rota, Mauro Marè, Fratelli Palombi Editori, 1982 e poi nella raccolta Dentro a millanta Rome. Poesie 1974-1993, a cura di Marcello Teodonio, Rendina Editore

ciò che verso la vita spinge forte

Giulia Zingali

Ciò che verso la vita spinge forte, è concausa di morte.
– Se or copro il tuo corpo e ne fo scempio, all’empio esempio adempio più ampio del creato ch’è un tempio.
Le guardò intensamente la colmezza del seno. Nel volume convesso il richiamo del sesso. Eppur che tenerezza in quel latteo biancore, qual speranza, che amore! E ancor più forte chiama il recondito sito, al centro del candore il bersaglio brunito, la macchia cespugliosa che nasconde la rosa, mirabil fonte di vita futura, segno di sepoltura.
In quel pelo si vince per un pelo l’ampio sbilancio tra cielo e sfacelo.

da Controcielo. Romanzo grottesco, Mauro Marè, All’insegna del pesce d’oro

senza parsimonia

weegee

Quanti ricordi vanno a baciarsi con i pensieri! Il pensiero ha origine del fine: chi non si pone mete non pone mente. L’origine è da sempre incominciata ma la fine è già iscritta nell’origine. Dunque la fine è ciò che era in principio. La vita è il trascurabile scarto rispetto a ciò che già da sempre è finito. Per questo va vissuta senza parsimonia.

(…)

Una torma di bruchi che dorma sognando farfalle. Brulichio di esserini intercambiabili, ognun dei quali sogna d’esser unico, inconfondibile.
Ciò che ci muove è la domanda di senso. Non potendo ottenerlo come significato, lo cerchiamo come direzione.
Eppure la vita è gioco per noialtri, noi in quanto altri, altri di volta in volta, gioco del farsi altri per provocare il comico, per sottrarci al tragico.
Fuggire l’identità. Essere sempre altri in un teatro mutevole. Questo gioco del teatro e questo teatro del gioco oltre il senso del limite e oltre il limite del senso è fuori del romanzo: il romanzo è borghese perché abbisogna dell’identità che nasce solo dall’appartenenza, dalla necessità sociale. Il romanzo è incompatibile con la filosofia e con la poesia perché queste sono cosmiche e antiborghesi, in quanto attingono direttamente l’universale. Il romanzo ha germinato nell ferita che ha separato la filosofia dalla poesia.
Un romanzo che sia post-moderno e che nello stesso tempo superi il post-moderno in direzione speri-mentale dev’essere in grado di ricreare la suprema sintesi dei valori universali poetico-filosofici ma non può essere altro che un romanzo che assiomaticamente si neghi come romanzo.

da Controcielo. Romanzo grottesco, Mauro Marè, All’Insegna del pesce d’oro