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Moore e Stevens

Una carrozza dalla Svezia

Dicono che vi sia un’aria dolce
più della nostra, dove fu fabbricata:
un’atmosfera da castello d’Amleto.
In tutti i modi anche a Brooklyn c’è
qualcosa che mi fa sentire a casa.
Forse nessuno vede questo pezzo
da museo, messo in disparte, questo carro di campagna
che una gioia interiore ha fatto arte;
eppure, in questa città d’integrità
lentigginosa, ecco una vena
di resinata dirittura che arriva da una Svezia
indurita dal vento del Nord,
da quel suo arcipelago di rocce
che un tempo rifiutava il compromesso. Washington
e Gustavo Adolfo, perdonate la nostra decadenza.
Sedili, parafango e fiancate di un tessuto liscio
come scorza di zucca, un predellino fiorito, un freno
come cigno dardeggiante, e rotanti creature anfibio
con forme équipe e code da crostacei
a decorare l’asse della ruota! Che
stupenda cosa! È che idillio
che non dà la noia! È com’è bella, lei,
con l’ inchinarsi naturale della
sua nivea aigrette, con occhi grigi e con capelli lisci,
quella cui la carrozza è destinata –
e di cui mi richiama la presenza. I capelli
biondi come schegge di pino, gli occhi fermi
e chiari, occhi di sula, e il passo rapido, da cervo,
sopra un sentiero di aghi di pino: ecco la Svezia, paese degli
uomini liberi, suolo propizio all’abete rosso-
verticale anche quando è pianticella- tutto aghi:
e si apre da sé, da un tronco verde,
un palco verde sopra l’altro palco, come un ventaglio.
L’ago le danza delle calze bianche sopra le suole
spesse! Rifugio per gli ebrei di Danimarca!
Le rustiche caraffa e le coperte filate a mano,
il kraken con le zampe nocchierute e le forme canine,
i bottoni pendenti e gli alamari
che bordano le giunge della festa! Svezia
tu hai un corridore detto il Cervo, il quale,
quando ha vinto una corsa, vuole ancora
correre; e hai i pinnacoli rivoei
a est e ovest sotto il sole, il tavolo
imbandita come per un banchetto; e le doppie
pieghe applicate sul gilet con effetto
di pinna di pesce, quando potresti farne a meno. Svezia,
che cosa fa vestire la gente a questo modo
e ispira in chi ti vede la voglia di restare?
Il corridore forse, che non è stanco e vuol correre ancora alla fine della corsa? E quella
carrozza, che ha la grazia di un delfino? Un faro
di Dalen, che si accende da sé? – che risponde ed è
responsabile. Capisco:
non sono i sentieri di aghi di pino che danno slancio
a chi vi corre sopra, è una Svezia
di bianchi castelli conti di fossati – l’aiuola
di bianchi fiori cresciuti densamente in forma di S
A significare Svezia e saldezza,
sagacia, ed una superficie su cui è scritto:
Fabbricato in Svezia: le carrozze sono la mia specialità.

da Poesie, Marianne Moore, Adelphi, trad. di Lina Angioletti e Gilberto Forti

——

Il pregiudizio contro il passato

Il giorno è l’amico dei bambini.
È il carretto svedese di Marianna.
È questo e un cappello molto grande.
Circoscritti da quel che vedono,
i pedanti aquilini trattano il carro
come una delle reliquie del cuore.

Trattano il cappello del filosofo,
dimenticato distrattamente,
come una delle reliquie della mente…
Del giorno, dunque, i bambini fanno
quel che i pedanti prendono
per dei souvenir del tempo, tempo perso,
addii, forme, immagini…
no, non del giorno, ma di se stessi,
Non del tempo perpetuo.
E perciò i pedanti aquilini trovano
il cappello del filosofo parte della mente,
il carretto svedese parte del cuore.

da Trasporto all’estate, Wallace Stevens, trad. di Massimo Bacigalupo

cervellino d’uccello

mario giacomelli 7

Con vasti occhi innocenti di pinguino,
tre merli poliglotti, grossi ma novellini,
stanno in fila
sotto il salice glauco,
un’ala contro l’altra, teneri e solenni,
fino a quando avvistano la madre,
che ormai non sembra più grossa di loro
e che arriva portando
qualcosa che potrà a malapena
saziare uno dei tre.

Lei si dirige verso lo stridio
acuto e intermittente, uguale al suono di balestre rotte,
che sale su dalle tre forme simili,
macchiettate da miti
occhi di uccello; e se mai dal becco
di uno dei tre
sfugge lo scarabeo
ancora vivo,
lei lo raccatta e lo ricaccia
dentro.

Stando nell’ombra fino a quando indossano
le loro cappe dall’ordito fitto,
pallide e lisce, simili alle foglie
del salice, i tre spiegano la cosa
e le ali, mostrando ad uno ad uno
la modesta
striscia bianca che corre per il lungo
sopra la coda e per traverso
sotto ogni ala;
e già la fisarmonica

si è richiusa. Che deliziosa nota,
con rapidi, inattese eco di flauto
zampillanti dall’ugola
dell’ingegnoso
uccello adulto, torna alla memoria
dalla remota
aria torpida e assolata,
quando non c’era
ancora la nidiata? Come aspra
si è fatta ora la voce dell’uccello.

Un gatto bianco e nero li ha osservati,
e va strisciando adagio lungo il tronco
verso il grazioso trio.
Non avvezzi a vederlo
i tre cedono il campo – è un problema
nuovo, imbarazzante.
Un piede ciondolante che ha mancato
la presa si solleva
e trova il ramo sul quale progettava
di posarsi. Ma la madre

si tuffa come un dardo, fatta ardita
da ciò che gela il sangue, compensata
solo dalla speranza – di altre pene-
ché nulla può riempire quelle bocche
pigolanti e fameliche; e si getta
in un duello mortale e quasi uccide
col becco a baionetta
e con ali feroci
il gatto intellettuale
che sa strisciare con tanta cautela.

da Le poesie, Marianne Moore, Adelphi

 duilio cambelotti bambini

sulla scrittura (3)


abcdario di marta

a una lumaca

se “la concentrazione è il primo dono dello stile”,
tu la possiedi. la contrattilità è una virtù,
così come modestia è una virtù.
non già l’acquisizione di una cosa qualsiasi
capace di adornare,
o la qualità incidentale che per avventura
si accompagni a qualcosa di ben detto,
non questo apprezziamo nello stile,
ma il principio nascosto:
nell’assenza di piedi, “un metodo di conclusioni”;
“una conoscenza di princìpi”,
nel curioso fenomeno della tua antenna occipitale.

Marianne Moore

 


vetrina, foto di ribes sappa