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segni

Ogni segno ha due metà: designa un oggetto, significa qualche cosa di differente. La faccia oggettiva, è la faccia del piacere, della fruizione immediata e della pratica. Prendendo questa strada, abbiamo già sacrificato la faccia “verità”. Riconosciamo le cose, ma non le conosciamo mai. Confondiamo ciò che il segno significa con l’essere o con l’oggetto da esso designato. Passiamo accanto agli incontri più belli, sottraendoci agli imperativi che ne emanano: all’approfondimento degli incontri abbiamo preferito la facilità delle ricognizioni. E quando proviamo il piacere di un’impressione, come lo splendore d’un segno, non sappiamo far altro che rendere omaggio all’oggetto con espressioni di stupore o di entusiasmo.

da Marcel Proust e i segni, Gilles Deleuze, Einaudi

attenzione e poesia

Jan Saudek

Poesia è anch’essa attenzione, cioè lettura su molteplici piani della realtà intorno a noi, che è in verità in figure. E il poeta, che scioglie e ricompone quelle figure, è anch’egli un mediatore: tra l’uomo e il dio, tra l’uomo e l’altro uomo, tra l’uomo e le regole segrete della natura. I Greci furono esseri sdegnosi di immaginazione: la fantasticheria non trovò posto nel loro spirito. La loro attenzione eroica, irremovibile (di cui l’esempio estremo è forse Sofocle) di continuo stabiliva rapporti, di continuo separava ed univa, in uno sforzo incessante di decifrazione così della realtà come del mistero. I Cinesi meditarono per millenni allo stesso modo, intorno al meraviglioso Libro delle Mutazioni. Dante non è, per quanto scandaloso possa suonare, un poeta dell’immaginazione, ma dell’attenzione: vedere le anime torcersi nel fuoco e nell’olivo, ravvisare nell’orgoglio un manto di piombo, è una suprema forza di attenzione, che lascia puri e incontaminati gli elementi dell’idea. L’arte di oggi è in grandissima parte immaginazione, cioè contaminazione caotica di elementi e di piani. Tutto questo, naturalmente, si oppone alla giustizia (che infatti non interessa all’arte di oggi). Se dunque l’attenzione è attesa, accettazione fervente, impavida del reale, l’immaginazione è impazienza, fuga nell’arbitrario: eterno labirinto senza filo di Arianna. Per questo l’arte antica è sintetica, l’arte moderna analitica; un’arte in gran parte di pura scomposizione, come si conviene ad un tempo nutrito di terrore. Poiché la vera attenzione non conduce, come potrebbe sembrare, all’analisi, ma alla sintesi che la risolve, al simbolo e alla figura – in una parola, al destino. L’analisi può diventare destino quando l’attenzione, riuscendo a compiere una sovrapposizione perfetta di tempi e di spazi, li sappia ricomporre, volta per volta, nella pura bellezza della figura. È l’attenzione di Marcel Proust.

da Gli imperdonabili – Attenzione e poesia, Cristina Campo, Adelphi

georges perec e la macchina del tempo

La data: 20 ottobre 1974 (domenica)
L’ora: 11.30
Il luogo: Café de la Mairie
Il tempo: Piove, strade bagnate. Schiarite passeggere. Per un bel po’ di tempo, nessun autobus, nessuna automobile.
Uscita dalla messa
La pioggia riprende a cadere
Giornata Nazionale delle Persone Anziane: molte persone portano sul bavero dei loro cappotti o dei loro impermeabili piccoli distintivi di carta: è la prova che hanno già fatto un’offerta
Passa un 63
Passa una signora che porta una scatola di dolci
(immagine classica all’uscita delle messe della domenica qui effettivamente verificata)
Qualche bambino
Qualche carrello per la spesa
Una due-cavalli con il parabrezza ornato con un caduceo condotta da un vecchio signore si sistema a lato del marciapiede; il vecchio signore viene a cercare nel caffè una vecchia signora che beveva un caffè leggendo “Le Monde”
Passa una signora elegante che tiene, con gli steli in alto, un grande mazzo di fiori.
Passa un 63
Passa una ragazzina che porta due grandi sacchetti della spesa
Un uccello viene a posarsi in cima a un lampione
è mezzogiorno
Temporale
Passa un 63
Passa un 96
Passa una due-cavalli verde mela
La pioggia diventa violenta. Una signora si fa un cappello con un sacchetto di plastica con la scritta “Nicolas”
Degli ombrelli si infilano in chiesa.

da Tentativo di esaurimento di un luogo parigino TELP.1, Georges Perec, Voland, a cura di Alberto Lecaldano,

Poiché nel post http://milaaudaci.oltreilibri.it/?p=145 ho giocato con una macchina del tempo, generata dalla minuziosa indicizzazione delle immagini (foto/video), àncoro il mio braccio a quello di Georges Perec che nell’elencazione oggettiva (o iper-indicizzazione) di una giornata fa del suo TELP.1 anche una macchina del tempo: per la signora con il sacchetto in testa, per coloro che nel ’74 subivano a ogni incrocio la vista di una due-cavalli verde mela, per tutti quelli che hanno preso un 63…

Alberto Lecaldano nella postfazione scrive:

(…)Il 18 ottobre 1974 nella piazza oltre a Getzler (intorno a mezzogiorno) si aggira Luigi Grazioli a quei tempi studente all’ècole Normale Supérieure e occasionalmente fotografo. In una foto inedita di Perec (pubblicato su “Riga”n.4, giugno 1993, dedicato a Georges Perec), racconta che dopo tanti anni riprende in mano e guarda le foto scattate quel giorno alle due e mezza (proprio mentre la campana della chiesa suonava a morto) e lì seduto a un tavolino tra gli altri avventori scopre che ce n’è “uno che scrive: un uomo con la capigliatura e la barbetta molto folte…Sembrerebbe proprio Perec”.

TELP.1 più che un’indagine etnologica è la vittoria sul tempo, sulla morte!
Quanto mi piace, questo nipote di Proust!

gli amici di julian barbour

 

Il rifiuto della “geometria piana”, di cui Proust parla, è anche rifiuto del moto uniforme. Questo nemico del tempo degli orologi, per unità successive, con moto discontinuo. L’effetto di continuo è ottenuto mediante scatti tendenzialmente isocroni, ognuno dei quali è il periodo. Un periodo mai diretto e paratattico ma avvolto su se stesso, elicoidale.

 

(…)

 

È come se guardassimo entro un grande orologio: la tensione della molla maggiore ingrana successive ruote dentate, ognuna con una frazione di ritardo sull’altra; e, quando potresti credere che non ce la faccia più, ecco lo spostamento della lancetta è avvenuto tutt’a un tratto e tutto è avanzato di una unità. Subentra allora un attimo di silenzio, prima che ricominci l’ostinato sforzo di sommuovere ancora una volta un congegno denso di parole. La tensione, o energia, di ogni singolo periodo è, come si è detto, di natura raziocinante; obbedisce ad una meccanica classica, aborre dall’imprecisione non dal vuoto, ogni incertezza rinserra nel suo decorso e ribatte nelle sue clausole. Ma dove invece Proust svela di essere davvero al di là di ogni meccanica classica è nella qualità fluida instabile della forza di coesione che lega periodo a periodo. Questi non si compenetrano: si giustappongono.

 

(…)

 

La vittoria sul tempo non è ottenuta solo col recupero di quello “perduto” o col bronzo dell’opera ma proprio, per antifrasi, svolgendo permutazioni che nel tempo si distruggono a vicenda, che celebrano tremende ma infine futili vittorie ed evocano per converso una identità raccolta e intera, un presente istantaneo ed eterno.

da Verifica dei poteri, Franco Fortini, Garzanti

Lo Scorrevole, Vettor Pisani

configurazioni

Coro, Francesco Balsamo

Ma basta che un rumore, un odore, già sentito o respirato un’altra volta, lo siano di nuovo, a un tempo nel presente e nel passato, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, ed ecco che l’essenza permanente e abitualmente nascosta delle cose è liberata, e il nostro vero io che (da molto tempo, a volte) sembrava morto, ma non lo era del tutto, si sveglia, si anima ricevendo il nutrimento celeste che gli viene offerto. Un istante affrancato dall’ordine del tempo ha ricreato in noi, per sentirlo, l’uomo affrancato dall’ordine del tempo.

(…)

La minima parola da noi detta in un periodo della nostra vita, il gesto più insignificante da noi compiuto erano circondati, portavano su di sé il riflesso di cose che dal punto di vista logico non avevano con essi alcun rapporto, che ne sono state separate dall’intelligenza, che non sapeva che farsene di loro per le necessità del ragionamento, ma in mezzo alle quali – qui riflesso rosato della sera sul muro fiorito d’un ristorante di campagna, sensazione di fame, desiderio di donne, piacere del lusso – là volute azzurre del mare mattutino avvolgere frasi musicali che ne emergono parzialmente come le spalle delle ondine – il più semplice dei gesti, degli atti rimane racchiuso come in mille vasi riempiti ciascuno di cose d’un colore, d’un odore, d’una temperatura assolutamente diversi; senza contare che questi vasi, disposti lungo tutta l’altezza dei nostri anni (anni durante i quali non abbiamo mai smesso di cambiare, fosse solo nel sogno e nel pensiero), sono situati a quote molto diverse, e ci danno la sensazione di atmosfere singolarmente visitate. è vero che li abbiamo fatti, questi cambiamenti, in modo insensibile; ma fra il ricordo che ci torna repentinamente e il nostro stato attuale, così come fra due ricordi di anni, di luoghi, di ore differenti, c’è una tale distanza che basterebbe, anche in assenza d’un’originalità specifica, a renderli incomparabili fra loro. Sì, se il ricordo, grazie all’oblio, non a potuto contrarre nessun legame, gettare nessuna catena fra sé e l’istante presente, se è rimasto al suo posto, alla sua data, se ha mantenuto le sue distanze, il suo isolamento nella profondità d’una valle o in cima a una vetta, ci fa respirare di colpo un’aria nuova per la precisa ragione che è un’aria respirata in altri tempi, quell’aria più pura che i poeti hanno cercato invano di far regnare nel paradiso e che non potrebbe dare la sensazione profonda di rinnovamento che ci dà se non fosse già stata respirata, giacché i veri paradisi sono i paradisi che abbiamo perduti.

da Alla ricerca del tempo perduto. Il tempo ritrovato, Marcel Proust, Mondadori, trad.Giovanni Raboni

scisti, micascisti, filladi


la fioritura a Castelluccio di Norcia

 

Sollevando un angolo del pesante velo dell’abitudine (l’abitudine instupidente che per tutto il corso della vita ci nasconde pressoché l’intero universo e che in una notte profonda, lasciando immutate le etichette, sostituisce ai veleni più pericolosi o più inebrianti della vita qualcosa di anodino che non produce alcuna delizia), essi tornavano a me come il primo giorno, con quella novità fresca e penetrante di una stagione che riappare, di un cambiamento nella tranquilla monotonia delle nostre ore, che anche nel campo dei piaceri-se saliamo in vettura nella prima bella giornata di primavera, o usciamo di casa all’alba-ci fanno avvertire le nostre insignificanti azioni con un’esaltazione lucida grazie alla quale quell’intenso minuto prevale sul totale dei giorni anteriori. I vecchi giorni coprono a poco a poco quelli che li hanno preceduti, e vengono a loro volta sepolti da quelli che li seguono. Ma ciascuno dei giorni passati è rimasto depositato in noi come un’immensa biblioteca dove dei libri più antichi c’è un esemplare di cui nessuno, probabilmente, farà mai richiesta. E tuttavia basta che questo giorno, attraverso la traslucidità delle epoche successive, risalga alla superficie e si distenda nel nostro essere, coprendolo per intero, perché per un istante i nomi riprendano il loro significato, gli esseri il loro vecchio volto e noi il nostro animo d’allora, e sentiamo con una sofferenza vaga, ma fattasi sopportabile e destinata a non durare, i problemi da molto tempo divenuti irresolubili che allora ci angosciavano tanto. Il nostro io è fatto dalla sovrapposizione dei nostri stati successivi. Ma questa sovrapposizione non è immutabile come la stratificazione di una montagna. Incessanti sollevamenti fanno affiorare alla superficie strati più antichi. 

da Alla ricerca del tempo perduto – Albertine scomparsa, Marcel Proust, Mondadori, trad.di Giovanni Raboni

configurazione mergnanese

 

Ai disturbi della memoria, infatti, sono legate le intermittenze del cuore. è sicuramente l’esistenza del nostro corpo, simile per noi a un vaso in cui fosse racchiusa la nostra spiritualità, a farci supporre che tutti i nostri beni interiori, le nostre gioie passate, tutti i nostri dolori, siano perennemente in nostro possesso. Forse, è altrettanto inesatto credere che se ne vadano e ritornino. In ogni caso, se rimangono dentro di noi, rimangono per la maggior parte del tempo in una regione sconosciuta, dove non ci sono di alcun giovamento e dove anche i più usuali vengono ricacciati indietro da ricordi di diversa natura, che escludono ogni simultaneità con essi all’interno della coscienza. Ma non appena si ricostruisce la cornice di sensazioni in cui si sono conservati, essi acquistano a loro volta il medesimo potere d’espellere tutto quanto sia incompatibile con loro, installando in noi, solitario, l’io che li ha vissuti.

(…)

L’io che io ero allora, e che da tanto era scomparso, m’era di nuovo così vicino che mi sembrava ancora di sentire le parole pronunciate subito prima e che, tuttavia, non erano più che un sogno, così come un uomo non ancora ben desto crede di percepire proprio accanto a sé i rumori del suo sogno che svanisce.

da Sodoma e Gomorra- Le intermittenze del cuore, Marcel Proust, Mondadori, trad.di Giovanni Raboni

sulla lettura


Balbec

 

Esiste un margine di mistero, nel procedimento artistico, che nessuna critica e nessuna filologia riusciranno mai ad annullare del tutto. Della realtà, nella sua metamorfosi estetica, qualcosa si perde, qualcosa si altera, qualcosa si invera: tutto si stilizza cristallizzandosi nella convenzione formale, tutto lievita nell’affabulazione, nulla di ciò che era immediato rimane tale. Di fronte all’opera d’arte si danno pertanto due atteggiamenti fondamentali: uno di abbandono alla sua pienezza, e uno di curiosità analitica. Per chi Combray resta un luogo ideale dello spirito o un pezzo della propria carne o un flatus musicale è incomprensibile che ci siano stati uomini che, Recherche ed epistolario di Proust alla mano, abbiano girato la Francia per determinare l’esatta ubicazione e denominazione di quel luogo. Eppure è inevitabile, che nella difficoltà di comprendere come sia stata realizzata l’opera, qualcuno cerchi di scoprire almeno alcuni ingredienti originari.

da I demoni e la pasta sfoglia, Michele Mari, Quiritta

 

Illiers-Combray, il sentiero dei biancospini