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la stanza della poesia ha un suo fedele piccolo guardiano

Svaniranno tutte in un colpo solo come sono svanite a milioni le immagini che erano dietro la fronte dei nonni morti da mezzo secolo, dei genitori morti anch’essi. Immagini in cui comparivamo anche noi, bambine, tra altri esseri scomparsi prima ancora che nascessimo, nella stessa maniera in cui ricordiamo i nostri figli piccoli assieme ai loro nonni già morti, ai nostri compagni di scuola. E così un giorno saremo nei ricordi dei figli in mezzo a nipoti e a persone che non sono ancora nate. Come il desiderio sessuale, la memoria non si ferma mai. Appaia i morti ai vivi, gli esseri reali a quelli immaginari, il sogno alla storia.

da Gli anni, Annie Ernaux, L’Orma Editore, trad. di Lorenzo Flabbi

 

La luna tenuta al guinzaglio
gira per il teatro si posa sulla scena
dimenticata sul pavimento
continua a raccogliere riflessi di splendore

così la stanza della poesia
ha un suo fedele piccolo guardiano
con voce d’acqua il poeta-ragno scende dal soffitto
e la sua bava luccica

La tela è finita all’alba
quando il fiume spalanca la finestra
e la voce di uno che si alza dalla scrivania
rilegge le ultime righe ancora fresche:
“Se guardiamo lo sguardo di un bambino
(sì, ora ha quasi tre anni, incredibile
credevo fosse nato la scorsa primavera)
il nostro imbarazzo aumenta a dismisura
e ci chiediamo allora se l’opera
sia mai cominciata…”

O se invece comincia in questo istante
(dentro e fuori si moltiplicano gli specchi)

aprile-maggio 1983

da Invasioni, Antonio Porta, Mondadori

 

Tutto si cancellerà in un secondo. Il dizionario costruito termine dopo termine dalla culla all’ultimo giaciglio si estinguerà. Sarà il silenzio, e nessuna parola per dirlo. Dalla bocca aperta non uscirà nulla. Né io né me. La lingua continuerà a mettere il mondo in parole. Nelle conversazioni attorno a una tavolata in festa saremo soltanto un nome, sempre più senza volto, finché scompariremo nella massa anonima di una generazione lontana.

da Gli anni, Annie Ernaux, L’Orma Editore, trad. di Lorenzo Flabbi

gli amici di julian barbour

 

Il rifiuto della “geometria piana”, di cui Proust parla, è anche rifiuto del moto uniforme. Questo nemico del tempo degli orologi, per unità successive, con moto discontinuo. L’effetto di continuo è ottenuto mediante scatti tendenzialmente isocroni, ognuno dei quali è il periodo. Un periodo mai diretto e paratattico ma avvolto su se stesso, elicoidale.

 

(…)

 

È come se guardassimo entro un grande orologio: la tensione della molla maggiore ingrana successive ruote dentate, ognuna con una frazione di ritardo sull’altra; e, quando potresti credere che non ce la faccia più, ecco lo spostamento della lancetta è avvenuto tutt’a un tratto e tutto è avanzato di una unità. Subentra allora un attimo di silenzio, prima che ricominci l’ostinato sforzo di sommuovere ancora una volta un congegno denso di parole. La tensione, o energia, di ogni singolo periodo è, come si è detto, di natura raziocinante; obbedisce ad una meccanica classica, aborre dall’imprecisione non dal vuoto, ogni incertezza rinserra nel suo decorso e ribatte nelle sue clausole. Ma dove invece Proust svela di essere davvero al di là di ogni meccanica classica è nella qualità fluida instabile della forza di coesione che lega periodo a periodo. Questi non si compenetrano: si giustappongono.

 

(…)

 

La vittoria sul tempo non è ottenuta solo col recupero di quello “perduto” o col bronzo dell’opera ma proprio, per antifrasi, svolgendo permutazioni che nel tempo si distruggono a vicenda, che celebrano tremende ma infine futili vittorie ed evocano per converso una identità raccolta e intera, un presente istantaneo ed eterno.

da Verifica dei poteri, Franco Fortini, Garzanti

Lo Scorrevole, Vettor Pisani

configurazioni

Coro, Francesco Balsamo

Ma basta che un rumore, un odore, già sentito o respirato un’altra volta, lo siano di nuovo, a un tempo nel presente e nel passato, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, ed ecco che l’essenza permanente e abitualmente nascosta delle cose è liberata, e il nostro vero io che (da molto tempo, a volte) sembrava morto, ma non lo era del tutto, si sveglia, si anima ricevendo il nutrimento celeste che gli viene offerto. Un istante affrancato dall’ordine del tempo ha ricreato in noi, per sentirlo, l’uomo affrancato dall’ordine del tempo.

(…)

La minima parola da noi detta in un periodo della nostra vita, il gesto più insignificante da noi compiuto erano circondati, portavano su di sé il riflesso di cose che dal punto di vista logico non avevano con essi alcun rapporto, che ne sono state separate dall’intelligenza, che non sapeva che farsene di loro per le necessità del ragionamento, ma in mezzo alle quali – qui riflesso rosato della sera sul muro fiorito d’un ristorante di campagna, sensazione di fame, desiderio di donne, piacere del lusso – là volute azzurre del mare mattutino avvolgere frasi musicali che ne emergono parzialmente come le spalle delle ondine – il più semplice dei gesti, degli atti rimane racchiuso come in mille vasi riempiti ciascuno di cose d’un colore, d’un odore, d’una temperatura assolutamente diversi; senza contare che questi vasi, disposti lungo tutta l’altezza dei nostri anni (anni durante i quali non abbiamo mai smesso di cambiare, fosse solo nel sogno e nel pensiero), sono situati a quote molto diverse, e ci danno la sensazione di atmosfere singolarmente visitate. è vero che li abbiamo fatti, questi cambiamenti, in modo insensibile; ma fra il ricordo che ci torna repentinamente e il nostro stato attuale, così come fra due ricordi di anni, di luoghi, di ore differenti, c’è una tale distanza che basterebbe, anche in assenza d’un’originalità specifica, a renderli incomparabili fra loro. Sì, se il ricordo, grazie all’oblio, non a potuto contrarre nessun legame, gettare nessuna catena fra sé e l’istante presente, se è rimasto al suo posto, alla sua data, se ha mantenuto le sue distanze, il suo isolamento nella profondità d’una valle o in cima a una vetta, ci fa respirare di colpo un’aria nuova per la precisa ragione che è un’aria respirata in altri tempi, quell’aria più pura che i poeti hanno cercato invano di far regnare nel paradiso e che non potrebbe dare la sensazione profonda di rinnovamento che ci dà se non fosse già stata respirata, giacché i veri paradisi sono i paradisi che abbiamo perduti.

da Alla ricerca del tempo perduto. Il tempo ritrovato, Marcel Proust, Mondadori, trad.Giovanni Raboni

scisti, micascisti, filladi


la fioritura a Castelluccio di Norcia

 

Sollevando un angolo del pesante velo dell’abitudine (l’abitudine instupidente che per tutto il corso della vita ci nasconde pressoché l’intero universo e che in una notte profonda, lasciando immutate le etichette, sostituisce ai veleni più pericolosi o più inebrianti della vita qualcosa di anodino che non produce alcuna delizia), essi tornavano a me come il primo giorno, con quella novità fresca e penetrante di una stagione che riappare, di un cambiamento nella tranquilla monotonia delle nostre ore, che anche nel campo dei piaceri-se saliamo in vettura nella prima bella giornata di primavera, o usciamo di casa all’alba-ci fanno avvertire le nostre insignificanti azioni con un’esaltazione lucida grazie alla quale quell’intenso minuto prevale sul totale dei giorni anteriori. I vecchi giorni coprono a poco a poco quelli che li hanno preceduti, e vengono a loro volta sepolti da quelli che li seguono. Ma ciascuno dei giorni passati è rimasto depositato in noi come un’immensa biblioteca dove dei libri più antichi c’è un esemplare di cui nessuno, probabilmente, farà mai richiesta. E tuttavia basta che questo giorno, attraverso la traslucidità delle epoche successive, risalga alla superficie e si distenda nel nostro essere, coprendolo per intero, perché per un istante i nomi riprendano il loro significato, gli esseri il loro vecchio volto e noi il nostro animo d’allora, e sentiamo con una sofferenza vaga, ma fattasi sopportabile e destinata a non durare, i problemi da molto tempo divenuti irresolubili che allora ci angosciavano tanto. Il nostro io è fatto dalla sovrapposizione dei nostri stati successivi. Ma questa sovrapposizione non è immutabile come la stratificazione di una montagna. Incessanti sollevamenti fanno affiorare alla superficie strati più antichi. 

da Alla ricerca del tempo perduto – Albertine scomparsa, Marcel Proust, Mondadori, trad.di Giovanni Raboni

configurazione mergnanese

 

Ai disturbi della memoria, infatti, sono legate le intermittenze del cuore. è sicuramente l’esistenza del nostro corpo, simile per noi a un vaso in cui fosse racchiusa la nostra spiritualità, a farci supporre che tutti i nostri beni interiori, le nostre gioie passate, tutti i nostri dolori, siano perennemente in nostro possesso. Forse, è altrettanto inesatto credere che se ne vadano e ritornino. In ogni caso, se rimangono dentro di noi, rimangono per la maggior parte del tempo in una regione sconosciuta, dove non ci sono di alcun giovamento e dove anche i più usuali vengono ricacciati indietro da ricordi di diversa natura, che escludono ogni simultaneità con essi all’interno della coscienza. Ma non appena si ricostruisce la cornice di sensazioni in cui si sono conservati, essi acquistano a loro volta il medesimo potere d’espellere tutto quanto sia incompatibile con loro, installando in noi, solitario, l’io che li ha vissuti.

(…)

L’io che io ero allora, e che da tanto era scomparso, m’era di nuovo così vicino che mi sembrava ancora di sentire le parole pronunciate subito prima e che, tuttavia, non erano più che un sogno, così come un uomo non ancora ben desto crede di percepire proprio accanto a sé i rumori del suo sogno che svanisce.

da Sodoma e Gomorra- Le intermittenze del cuore, Marcel Proust, Mondadori, trad.di Giovanni Raboni

configurazione monegliese

 

Passato, futuro, ora, giorno, mese, anno: sono tutt’uno per me. Le varie fasi dell’infanzia e della maturità sono per me nient’altro che parole inutili. Significano qualcosa solo per la gente comune, per la marmaglia-sì, questa è la parola che cercavo- la marmaglia, per cui la vita, come l’anno, ha i suoi periodi definiti, le sue stagioni, e si inserisce nella zona temperata dell’esistenza. Ma la mia vita ha conosciuto sempre una sola stagione e un solo modo di essere.

da La civetta cieca, Sadègh Hedayat, Feltrinelli

la chiocciola

 

Le vive, le eterne
colonne di luce
ti reggono, o terra,
sul gurgite d’aria,
te, piccola sfera,
sostengono in cima
al duomo dei mondi.

Discendono i cieli
nell’architettura
sacrata del cosmo
per lunga spirale,
in fughe di scale
che girano avvolte
la chiocciola enorme;

e giungono al fondo
del tempio vivente
laggiù dove dormono
in tombe di sonno
supini gli dei.

da Linea della vita, Giorgio Vigolo, Mondadori

diottrica

“Comincia una sorda lotta: uscire dal disegno.

Ieri, tornando con l’anfora al fiume, d’un tratto feci un saltello, improvviso anche per me; sperando d’aver sorpreso in velocità il pensiero di Dio. Sperando che almeno quel piccolo salto possa restare fuori del grande disegno.”

da Vangelo secondo Maria, Barbara Alberti, CdE

“Tu ti guardi allo specchio” egli scrive, dopo aver parlato della reciproca implicazione fra Io e Simultaneità “gesticoli, tiri fuori la lingua…Bene. Supponi ora che un dio maligno si diverta a diminuire follemente la velocità della luce.
Tu sei a 40 cm dal tuo specchio. Prima ricevevi la tua immagine dopo 2,666…miliardesimi di secondo. Ma il dio si è divertito a ispessire l’etere. E ora tu ti vedi dopo un minuto, un giorno, un secolo, ad libitum.
Tu ti vedi obbedire con ritardo. Paragona questo con quel che succede quando cerchi una parola, un nome ‘dimenticato’.
Questo ritardo è tutta la psicologia,-che si potrebbe definire paradossalmente: ciò che avviene fra una cosa…e se stessa!”

da Lettre à Pierre Louys, Paul Valéry, Morceaux choisis, Paris 1930, p.298, trad.di Giorgio Agamben

 

che cosa è reale?


foto di Milo

Ho ancora un vivido ricordo dello schock che provai al mio primo incontro con il concetto dei molti mondi. L’idea di 100¹°°+ copie leggermente imperfette di me stesso che si dividono costantemente in altre copie, che alla fine diventano irriconoscibili, non è facile da riconciliare con il senso comune. Questa è schizofrenia a oltranza.

Bryce DeWitt a proposito della Interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica di Hugh Everett III

14 aprile 1956

L’orizzonte che vedo è limitato dal mio sguardo e sfuma dal centro verso i confini del mio occhio, ma non per questo io dubito di altri orizzonti, quelli che so che potrei vedere voltandomi o guardando da altre posizioni. Orizzonti che sono sempre presenti nella stessa percezione dell’orizzonte che ora vedo e senza i quali esso non sarebbe quello che è, orizzonti che non solo posso e potrò raggiungere ma anche che non posso più o non potrò mai raggiungere. In ciò che io ora percepisco sono innestati altri tempi e passati irrecuperabili, che fanno il presente che si apre al futuro. Il presente vive del passato che muore e non può far morire che un passato realmente esistito.

dalle pagine del 28 marzo 1958

Esperienza e visione razionale sono infinite come infinito è il passato e infinito l’avvenire: l’infinito ci circonda come qualcosa di potenziale e di oscuro e vive tuttavia nella concretezza del nostro tempo finito. Questa suggestione derivata da Husserl è organica e orientata: da questo punto di vista non è priva di analogie con la prospettiva filosofica di Whitehead. Oggi so come, anni fa, avrei dovuto scrivere su Whitehead.
Il feeling di Whitehead è la Lebenswelt. Nel feeling l’universo non si chiude in una teoria compiuta. Si attua in un processo, nella storia delle varie vite, in ogni interrelazione degli eventi nel tempo. Le cose diventano monadi aperte, nel passato e nel futuro, collegate ad infinite altre monadi. Queste monadi, proprio perché sono centri spazio-temporali, non monadi chiuse, si intersecano e si incontrano. Socialità di eventi che si relazionano con altri gruppi di eventi nel tempo e nello spazio. L’intenzionalità di Husserl è analoga al sentimento estetico di Whitehead.

da Diario fenomenologico di Enzo Paci, Il Saggiatore

 

Che cosa è reale?

 

“Per Everett la risposta è: l’unica entità fisica reale è la funzione d’onda. Il prezzo di questo monismo è il problema della base privilegiata. Poiché la funzione d’onda di un sistema composto si può rapprensentare in tanti mondi diversi, l’applicazione delle idee di Everett a generi diversi di rappresentazioni suggerisce che la medesima funzione d’onda contiene non solo molte storie, ma anche molti generi diversi di storie. Questo conduce a un’intepretazione dei molti mondi

“Io (Julian Barbour) rispondo: le configurazioni”

da La fine del tempo, Julian Barbour, Einaudi