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Recentemente i miei rapporti con l’ambienza sono stati offuscati da qualche nuvolone moraleggiante, dato che le seggiole giubborossistiche insufflano, tramite il condotto intestinale, nell’anima dei seduti, la disposizione a occuparsi con giusto rigore agli affari del prossimo: e la precingono del laticlavio di sufficienza sive autarkeia.
In quella nicchia ogni più raro fante[1] si sente santo, e nimbato di un alto silenzo e’ fa pùf pùf con la sigheretta, ciài una sigaretta, mi dài una sigaretta, prestami una sigaretta, ecc. ecc. = A procurarmi qualche urticazione è valsa la mia simpatia (letteraria) per il poeta delle ortiche, cioè Dante: (non Dante Alighieri ma Dante Giampieri, da San Miniato, quello del Carducci e delle cicale che non frinivano ma viceversa cantavano). Il Giampieri è un taciturno e povero insegnante amico di Piero Santi: esecrato dai direttori di riviste: che dispongono di ben altri poeti, come tu vedi, e che interpellano per l’accettazione il corpo completo delle loro Sibille. Le Sibille hanno decretato che Dante non vale nulla: anche se fosse,  dico io, musica di provincia, musica di operetta, o non c’è chi ama le operette? Una tesi di laurea sulle “operette” sarebbe, come corrispettivo di vita, qualche cosa di più importante che una tesi di laurea su la poesia di Falla-a-buon-mercato[2].

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se le mie scarpe non fossero più vergognose di quelle di Beethoven e la mia casa non vedesse girare in pigiama il Rosamarcello e la menopausa della su’ signora e donna! I lavori polluti dal Marcello (piccolo borghese adorno del senso del diritto e di forza d’animo di tipo italiota-rivendicativo) non trovano burro di cacao valevole a imbesciamellargli l’esulcerato ano. Per sbrattar la casa da così eccitante pigiama, bisognerebbe essere un membro della direzione del Partito d’Azione, Raffaello Ramat o Piero Pantalamandrei in persona. Ma io non Piero io non Raffaello sono, e devo rassegnarmi ad essere il Calapantalamandrei del nuovo jus della res pubblica de’ mia zebedei. Bà.

 

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dalla lettera di Carlo Emilio Gadda a Gianfranco Contini del 10 dicembre 1946

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[1] Alludo a pittorastri, scrittorelli, ecc. (nota dell’A.)

[2] Allude a Luigi Fallacara, scrittore e poeta di potere (nota di Mila)

brevimiranza 2

Adriano Grande non è un poeta di molto valore, ma val meglio di Quasimodo, checché sembri credere Betocchi. E certi giovani (Sinisgalli, De Libero, ecc) continuano la perniciosa opera di Quasimodo nella loro passiva idolatria della musica verbale, e sull’insufficienza di spina dorsale che distingue la loro poesia.

da una lettera di Aldo Capasso a Luigi Fallacara, senza data ma risalente più o meno al 1937

brevimiranza n.1

I vari Betocchi, Vigorelli, Villa si sono dati ad un singolarissimo culto del nome Montale (dico singolarissimo, perché si sta perdendo il senso delle proporzioni. Nessuno sa meglio di me che ci sono -con un non lieve residuo intellettualistico- cose molto belle negli Ossi di seppia. ma è altrettanto vero che, da quando scrisse Arsenio, Montale, come poeta è finito. La sua seconda raccolta, La casa dei doganieri, è totalmente negativa, e peggio che mai le cose posteriori!). Ungaretti vien ridotto ad annunziatore di una poesia, che in Montale è totalmente matura!
Io sono ignorato, e Betti attaccato. Ciò che Montale deve alle “petrosità” di Sbarbaro, e anche di Rebora, è taciuto. Di Saba non si parla più,è in fondo ignorato anche lui. Moscardelli, la cui ascesa è continua, è ignorato del pari. Onofri? Ignorato anche lui. La poesia moderna si chiama Montale!

da una lettera di Aldo Capasso a Luigi Fallacara del 1937