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storia di Isacco

La porta si aprì lentamente,
mio padre entrò,
avevo nove anni.
Si fermò, tanto alto nei miei confronti,
con gli occhi blu che luccicavano
e la voce molto fredda.
Disse:”Ho avuto una visione,
e tu sai che sono forte e santo.
Devo fare quello che mi è stato detto”.
Così partì per la montagna,
io correvo, lui camminava,
e la sua scia era fatta d’oro.

Gli alberi rimpicciolivano,
il lago somgiliava a uno specchio di donna,
ci fermammo a bere un po’ di vino.
Poi gettò la bottiglia,
la ruppe un minuto più tardi
e mise la sua mano nella mia.
Benché avessi visto un’aquila
(ma poteva essere un avvoltoio)
non avrei mai potuto decidere.
Allora mio padre costruì un altare,
guardò una sola volta dietro di sé.
Sapeva che non mi sarei nascosto.

Tu, che costruisci altari, oggi,
per sacrificare nuovi figli,
non devi farlo mai più.
Uno schema non è una visione
e non sei mai stato tentato
da un demone o da un dio.
Tu che stai sopra di loro, adesso,
con la accetta spuntata, sanguinante,
non eri là, prima,
quando io giacevo su una montagna
e la mano di mio padre tremava
con la bellezza della parola.

E se tu ora mi chiami fratello,
scusa la mia domanda,
per quale macchinazione lo fai?
Quando ogni cosa diventa confusa
ti ucciderò se così devo,
ti aiuterò se posso.
E pietà per la nostra uniforme,
uomo di pace e uomo di guerra –
un pavone apre la sua ruota.

da Songs from a Room, Leonard Cohen, 1969, trad.di Riccardo Bertoncelli