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il mostro è solo

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un portento corredato di ipotesi esplicativa non è più tale: ha perduto la singolarità, e con essa la mostruosità.
Infatti, proprio la singolarità caratterizza il mostro meglio di ogni altra cosa, poiché, di fronte al gigante o al nano, non sono le dimensioni che ci impressionano; piuttosto l’improvvisa, inaudita interruzione di un assetto che sino ad allora si era creduto inviolabile. Eugenio D’Ors scrisse: “Non si è minotauri nella stessa maniera in cui si è idropici; la descrizione di un minotauro dipinge un ritratto che appartiene a un essere soltanto – non importa se leggendario o storico…Il mostro è solo”.
Proprio così. D’Ors giustamente rileva che la condizione di mostro non è rappresentativa né emblematica di alcunché, perché tale condizione non discende dal fatto che un particolare individuo possieda in misura straordinaria le medesime qualità rintracciabili nel mondo della quotidiana esperienza.

(…)

“l’autentico mostro non rappresenta che sé medesimo”. Non è il portabandiera di una schiera di suoi più o meno simili: è l’eccezione. Perciò, dice D’Ors, egli impersona il disertore piuttosto che il portabandiera ufficiale. Il mostro è solo.
Questo senso di isolamento, di irreparabile solitudine, non potrebbe costituire la cagione della tristezza che si prova alla vista di una persona deforme? Infatti, la visione di un essere umano malformato può riempirci di turbamento, o di paura, ma innanzi tutto ci grava d’insopprimibile sconforto, un’afflizione intollerabile che si deve vincere prima che possano subentrare curiosità intellettuale, sgomento, o pregiudiziale ostilità.

da Note di un anatomopatologo, F.Gonzalez-Crussi, Adelphi, trad.di Gabriele Castellari

questi riferimenti, queste equivalenze, queste analogie…

marta a milano

Qualche lettore tenuto al guinzaglio dall’abitudine domanderà “Ma questo cosa c’entra?”. Il nostro procedimento letterario, antimichelangiolesco per eccellenza, cerca di circondare ogni oggetto dell’ambiente più ricco, più completo, più “inaspettato”. Si tratta, per mezzo di altre cose e di cose diverse, di far conoscere la cosa meglio che si può, di illuminarla con la luce più intensa, penetrarla più profondamente. Il passo letterario è per noi un camminare sulla corda. Questi riferimenti, queste equivalenze, queste analogie che noi poniamo ora a destra ora a sinistra della nostra via, hanno lo scopo di mantenerci in equilibrio: hanno la funzione per noi che il bilanciere o le braccia tese lateralmente hanno per l’equilibrista che cammina sulla corda.

dalla Nota n.49 in Maupassant e ” l’altro”, di Alberto Savinio, Il Saggiatore, Biblioteca delle Silerchie