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andare al nòcciolo, al centro

Una penombra come quella del mondo esterno gli oscurava la mente, mentre ascoltava gli zoccoli della cavalla strepitare sulle rotaie della Rock Road e il gran recipiente dietro scuotersi e sbatacchiare.
Ritornava a Mercedes e, mentre rimuginava sulla sua immagine, gli entrava nel sangue un’inquietudine strana. Talvolta una febbre si impadroniva di lui e lo portava a vagabondare nella sera per il viale tranquillo. La pace dei giardini e le luci benevole alle finestre gli versavano un tenero influsso sul cuore irrequieto. Il rumore dei ragazzi che giocavano lo disturbava e le loro voci sciocche gli facevano sentire, anche più acutamente che non avesse sentito a Clongowes, che lui era differente dagli altri. Non aveva desiderio di giocare. Aveva desiderio d’incontrare nel mondo reale l’immagine incorporea che la sua anima contemplava tanto costantemente. Non sapeva dove cercarla o come, ma un preannuncio che lo guidava gli diceva che questa immagine, senza nessun atto aperto da parte sua, gli sarebbe venuta incontro. Si sarebbero incontrati tranquillamente come se si fossero conosciuti e avessero già fissato il loro convegno, forse a uno di quei cancelli o in qualche luogo più segreto. Sarebbero stati soli, circondati dall’oscurità e dal silenzio: e in quell’attimo di tenerezza suprema Stephen sarebbe svanito, sotto quegli occhi, in qualcosa di impalpabile e poi, in un attimo, si sarebbe trasfigurato. In quel magico istante la debolezza, la timidezza e l’inesperienza sarebbero cadute da lui.

da Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane, James Joyce, Adelphi, trad.di Cesare Pavese

belafia


Miroslav Tichy

 

Quando abbiamo davanti a noi carne o altra cosa da mangiare, abbiamo l’impressione di avere di fronte qua il corpo morto di un pesce, là quello di un uccello o di un cinghiale.

da Meditazioni, Marco Aurelio

Copula orale o, meglio, cannibalistica; e che quindi combina in un solo atto i due desideri edipici, l’uccisione del genitore e l’incesto. Il mangiare è la forma del sesso. La copula è copula orale; quando gli Aranda si chiedono “Hai mangiato?”, intendono dire “Hai fatto l’amore?”

da Corpo d’amore, Norman O.Brown

cit.tratte da Ghenos, Eros, Thanatos, Alberto Boatto, Edizioni Galleria de’Foscherari

zelah


Nudo rosso, Renzo Vespignani

– tu ti aprivi.
-…
– tu ti aprivi in un turbine di insetti di caldo.
– uno zampillo di seta. una scia. quel che è uscito da te.
– vuoi che lo asciughi?
– è già cosa vecchia. è un calmante.
– hai sete?
– ho sete.
– champagne o birra?
– birra.
– hai fame?
– ho fame.
– patè ai tartufi o patè di campagna?
– patè di campagna.
– i panini o un pezzo di pane?
– un pezzo di pane.
– dove siamo?
– in rue vaugirard.
– che cosa c’è?
– degli assiti.
– solo degli assiti?
– hanno acceso un fuoco. riscaldano le loro gamelle.
– hai visto il fuoco?
– fra le gamelle.
– torna qui.
– non mi domandi se piove?
– non starebbero intorno al fuoco.
– vuoi mangiare subito?
– …
– ti sto parlando! dove sei? chi sei, d’improvviso?
– Te. Te contento di te. Mangiamo.
– parliamo con la bocca piena. non dobbiamo lasciar perdere nulla.
– una pienezza. un raggio di sole dopo un cataclisma.
– un nulla. che acquieta.
– sono distesa. non mi muovo. sono tutta un ruscello in corsa.
– io mi spando e non desidero nulla. sono l’aria intorno.
– hai fiducia, agnellino mio, appena nata.
– l’universo è un lago.
– io ti tengo fra le mie braccia.
– tu rabbrividisci. tremi.
– è questa luce…sei tu che l’hai messa in me. a volte torna.

da Il taxi, Violette Leduc, ES, trad. di Angelo Morino

gli elementi terrestri

POEMA PRIMO
(Possessione del sogno)

Vieni,
mio Amato,

ti gusterò felice,
ti sognerò al mio fianco, questa notte.

Sarà il tuo corpo fertile confine
al mio sgorgare nella tua agonia;
e giacché siamo pieni di cordoglio
il mio amore per te, nato al tuo seno,
ama il tuo labbro più di ogni altra cosa.

Vieni,
mangiamo all’ombra del mio cuore.

Prima di me ti si aprirà il mio corpo
come mare precipite e rigonfio
di pesci, sino all’ora del crepuscolo.
Perché sei bello, tu,
fratello mio,
eerno mio dolcissimo.

La tua cintura, palpebra del giorno
che ogni cosa ricolma del suo odore,
il tuo voler amarmi,
in fretta, adesso,
inondando d’un tratto la mia anima,
il tuo sesso aurorale che comincia,
ove riposa il ciglio
del mondo, e si dilata.

Vieni,
ti proverò con allegria.

Come fascio di lumi, la voce tua ai miei piedi.

Discorreremo insieme del tuo corpo
con purissimo giubilo,
come i bambini insonni dal cui moto
fu scoperto, da poco, un altro bimbo
e denudato al suo incipiente arrivo,
e noto nella sua futura età, forma totale, priva di diametro,
nella sua più immediata corrente genitale,
privo di fonte, contenuto, solo.

Vieni,
ti proverò con allegria.

Tu sognerai d’esser con me, stanotte,
e allaccerai fragranze cadute al nostro labbro.

Ti colmerò di allodole e di lunghe
settimane profonde, denudate.

Eunice Odio, Poesia n.259 Aprile 2011 Crocetti Editore, trad.di Cristina Sparagna

tristano e isotta

L’opera di Wagner Tristano e Isotta è generalmente considerata il culmine del movimento romantico nella musica. La relatività generale è il non plus ultra della dinamica. Detto più esplicitamente, il modo in cui due 3-spazi sono incastrati nel suo nucleo dinamico ricorda due amanti che cerchino l’abbraccio più stretto possibile. Questo è il livello di perfezionamento nel lavoro sui principii che creano il tessuto dello spazio-tempo. è molto più semplice di un blocco quadridimensionale. Ovunque guardiamo, ci racconta la stessa grande storia, ma in innumerevoli varianti, tutte intrecciate in un arazzo di dimensione superiore. Questo è ciò che Einstein ha ricavato dal mazzo di carte magiche di Minkowski. Guardando lo spazio-tempo in un modo, vediamo Tristano e Isotta sospesi in cielo, come in un quadro di Chagall. Guardando in un altro modo, vediamo Romeo e Giulietta, e in un altro ancora Eloisa e Abelardo. Tutte queste coppie, ognuna delle quali perfetta in sé, risultano l’una dall’altra. Esse e le loro storie scorrono l’una attraverso l’altra. creano un tessuto reticolato dello spazio-tempo.
Il concetto di sostanza è portato al limite. Infatti il corpo dello spazio-tempo, il suo ingorssarsi nel tempo, è solo il modo che noi scegliamo di tenere distanti le cose in modo che la storia si sviluppi semplicemente. Almeno è nello spazio-tempo newtoniano. Tutta la dinamica -ciò che effetivamente succede- è disposta in orizzontale. Separiamo le carte in una direzione verticale che chiamiamo tempo per ottenere una rappresentazione semplice. Il tempo è semplificatore distinto. la sostanza è nelle carte. Queste sono le cose; il resto è nella nostra mente.
La relatività generale aggiunge un tocco sorprendente a questa teoria del tempo, apparentemente definitiva. Se considerati da soli, Tristano e Isotta sono sostanza, e la separazione tra di loro è solo la misura della loro differenza. Non possono unirsi del tutto semplicemente perché sono diversi. Questa differenza è ciò che chiamiamo tempo. Ma ciò che è la rappresentazione della differenza tra gli amanti di Wagner fa parte della sostanza stessa degli amanti di Shakespeare. Romeo e Giulietta non sarebbero ciò che sono se Tristano e Isotta non fossero tenuti separati dalla loro differenza. Il tempo che separa Tristano da Isotta è il corpo di Romeo. Questo intrecciarsi di essenza e differenza tutto in uno spazio-tempo è ancora più straordinario del diagramma di Minkowski con due aste, una più breve dell’altra.

da La fine del tempo. la rivoluzione fisica prossima ventura, Julian Barbour, Einaudi

dalla via purgativa all’unione

Così, in questo passaggio, patisce l’anima quanto all’intelletto grandi tenebre, quanto alla volontà grandi aridità e angustie, e nella memoria grave cognizione delle sue miserie, poiché nella visione che ha di sé l’occhio spirituale è chiarissimo

da Fiamma d’amore viva, San Giovanni della Croce, Se Studio Editoriale, a cura di Cesare Greppi

Augusto capì d’essersi perso, d’aver smarrito la strada. La sua vera tragedia, cominciava a capire, stava nel fatto d’essere incapace di comunicare agli altri quella scoperta: che esisteva un altro mondo, un mondo al di là dell’ignoranza, al di là del caduco, al di là del pianto e del riso. Era quello l’ostacolo che lo costringeva a rinchiudersi nella maschera del clown: giullare di Dio, magari, perché nessuno al mondo avrebbe saputo sciogliere il suo dilemma.

E a questo punto gli fu chiaro – oh, com’era semplice!- che nessuno, nessuno, neanche il mondo intero, avrebbe potuto impedirgli d’esser se stesso. Se davvero era un clown, allora doveva esserlo fino in fondo, da quando apriva gli occhi al mattino, fino a sera, quando li richiudeva. In stagione e fuori stagione, a pagamento o per il semplice piacere. Ora sì che era incrollabilmente sicuro della verità di questa idea: e ardeva dal desiderio di cominciare subito…senza cerone, senza trucco, senza costume, senza neppure l’accompagnamento di quel vecchio violino stridulo…Essere così totalmente se stesso che si sarebbe vista solo la verità, che ora gli bruciava dentro come un fuoco.

Richiuse gli occhi, ricadde nelle tenebre. Rimase così, a lungo, respirando piano e quietamente al capezzale di se stesso. E quando alfine riaprì gli occhi, vide un mondo dal quale il velo era stato strappato via. Un mondo esistito da sempre nel suo cuore, sempre sul punto di manifestarsi, ma che solo nell’attimo in cui il cuore batte finalmente all’unisono, comincia a pulsare di vita.

Augusto ne fu così commosso da non credere ai propri occhi. Se li sfregò col dorso della mano, ma soltanto per sentirseli ancora umidi delle lagrime di gioia che inavvertitamente gli erano sgorgate. Stette diritto, impettito sulla panchina, con gli occhi sbarrati, fissi davanti a sé, sforzandosi di adattare la visione alla visione. Dal profondo di se stesso saliva incessante un mormorio di ringraziamento.

Quando il sole soffuse la terra dell’ultima febbre dorata, egli s’alzò dalla panchina. Forza e desio gli correvano per le vene. Rinasceva, moveva i primi passi nel magico mondo della luce. D’istinto, proprio come gli uccelli spiegano le ali, egli spalancò le braccia nel gesto di abbracciare tutto il creato.

La terra svaniva lentamente nel rosso scuro che annuncia e precede il crepuscolo. Augusto camminava barcollando, estasiato.

“Finalmente! Finalmente!” urlò, ma in realtà il suo grido era solo un pallido riverbero dell’immensa gioia che lo sconvolgeva.

 

da Il sorriso ai piedi della scala, Henry Miller, Feltrinelli, trad.di Valerio Riva

il centro

Santa Teresa in estasi, Gian Battista Piazzetta

 

Io so qual è la parola giusta.
Io lo so e tu non lo sai
non lo sai perché hai paura
io lo so perché ho il coraggio.
Non è mio questo coraggio
però è mio quando ce l’ho.

da Pigre divinità e pigra sorte, Patrizia Cavalli, Einaudi