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Idea del silenzio

helena almeida

In una raccolta di favole tardo-antiche, si legge questo apologo:

“Era costume presso gli ateniesi che chi volesse essere considerato filosofo doveva lasciarsi frustare a dovere e, se sopportava pazientemente i colpi, allora poteva essere considerato filosofo. Un tale una volta si era sottoposto alla fustigazione e, dopo aver sopportato in silenzio le busse, esclamò: ‘ Son ben degno, dunque, di essere chiamato filosofo!’ Ma gli fu risposto a ragione: ‘Lo saresti stato, se solo avessi taciuto.’ “.

La favola insegna che certamente la filosofia ha a che fare con l’esperienza del silenzio, ma che l’assunzione di questa esperienza non costituisce in alcun modo l’identità della filosofia. Essa sta esposta nel silenzio assolutamente senza identità, sopporta il senza nome senza trovare, in questo, il proprio nome. Il silenzio non è la sua parola segreta – piuttosto la sua parola tace perfettamente il proprio silenzio.

da Idea della prosa, Giorgio Agamben, Feltrinelli

lost words

weegee lost children

L’idea di una filosofia per immagini, che Benjamin sembra talvolta evocare, non è una metafora, ma va presa alla lettera. L’ immagine di pensiero, come l’allegoria rinascimentale, è un mistero, in cui ciò che non può essere esposto discorsivamente per un attimo brilla attraverso le rovine del linguaggio.

da La ragazza indicibile. Mito e mistero di Kore, Giorgio Agamben, Monica Ferrando, Electa

Idea del linguaggio

Marta

II. Solo la parola ci mette in contatto con le cose mute. Mentre la natura e gli animali sono sempre già presi in una lingua e, pur tacendo, incessantemente parlano e rispondono a segni, solo l’uomo riesce a interrompere, nella parola, la lingua infinita della natura e a porsi per un attimo di fronte alle mute cose. Solo per l’uomo esiste la rosa indelibata, l’idea della rosa.

da Idea della prosa, Giorgio Agamben, Feltrinelli, 1985

segnature

foto di Luca Donnini

Di cosa è fatto uno spettro? Di segni, anzi, più precisamente, di segnature, cioè di quei segni, cifre o monogrammi che il tempo scalfisce sulle cose.
Uno spettro porta sempre con sé una data, è, cioè, un essere intimamente storico. Per questo le città vecchie sono il luogo eminente delle segnature che il flâneur  legge quasi distrattamente nel corso delle sue derive e delle sue passeggiate; per questo i cattivi restauri, che confettano e uniformano le città europee, ne cancellano le segnature, le rendono illeggibili. E per questo le città – e in special modo Venezia- assomigliano ai sogni. Nel sogno, infatti, ogni cosa strizza l’occhio a colui che la sogna, ogni creatura esibisce una segnatura, attraverso la quale significa di più di quanto i suoi tratti, i suoi gesti, le sue parole potrebbero mai esprimere. Eppure, anche chi cerca ostinatamente di interpretare i suoi sogni, da qualche parte è convinto che essi non vogliano dir nulla. Così nella città tutto ciò che è accaduto in quella calle, in quella piazza, in quella ruga, di colpo si condensa e cristallizza in figura, insieme labile ed esigente, muta e ammiccante, risentita e distante. Quella figura è lo spettro o il genio del luogo.

da Nudità, Giorgio Agamben, Nottetempo

persona

Edward Steichen

Il desiderio di essere riconosciuti dagli altri è inseparabile dall’essere umano. Questo riconoscimento gli è, anzi, così essenziale, che, secondo Hegel, ciascuno è disposto a mettere in gioco la propria vita. Non si tratta, infatti, semplicemente di soddisfazione o di amor proprio: piuttosto è soltanto attraverso il riconoscimento degli altri che l’uomo può costituirsi come persona.

Persona significa in origine “maschera” ed è attraverso la maschera che l’individuo acquista un ruolo e un’identità sociale. Così, a Roma, ogni individuo era identificato da un nome che esprimeva la sua appartenenza a una gens, a una stirpe, ma questa era, a sua volta, definita dalla maschera di cera dell’antenato che ogni famiglia patrizia custodiva nell’atrio della propria casa. Di qui a fare della persona la “personalità” che definisce il posto dell’individuo nei drammi e nei riti della vita sociale, il passo è breve e persona finì col significare la capacità giuridica e la dignità politica dell’uomo libero. Quanto allo schiavo, così come non aveva né antenati, né nome, non poteva nemmeno avere una “persona”, una capacità giuridica (servus non habet personam). La lotta per il riconoscimento è, dunque, lotta per una maschera, ma questa maschera coincide con la “personalità” che la società riconosce a ogni individuo (o col “personaggio” che, con la sua connivenza a volte reticente, essa fa di lui).

Non stupisce che il riconoscimento della propria persona sia stato per millenni il possesso più geloso e significiativo. Gli altri esseri umani sono importanti e necessari innanzitutto perché possono riconoscermi. Anche il potere, anche la gloria, anche le ricchezze, a cui gli “altri” sembrano essere così sensibili, hanno senso, in ultima analisi, solo in vista di questo riconoscimento dell’identità personale. Si può certo, come si dice amasse fare il califfo Baghdad Hārūn al-Rashid, camminare in incongnito per le vie della città vestiti come mendicanti; ma se non ci fosse mai un momento in cui il nome, la gloria, le ricchezze e il potere fossero riconosciuti come “miei”, se, come certi santi raccomandano di fare, io vivessi tutta la vita nel non-riconoscimento, allora anche la mia identità personale sarebbe perduta per sempre.

da Nudità, Giorgio Agamben, Nottetempo

creazione e redenzione

Jan Saudek

E come la potenza anticipa l’atto e lo eccede, così l’opera della redenzione precede quella della creazione; e, tuttavia, la redenzione non è che una potenza di creare rimasta inevasa che si rivolge a se stessa, si “salva”. Ma che significa, qui, salvare? Poiché non c’è nulla, nella creazione, che non sia in ultima istanza destinato a perdersi. Non solo la parte di ciò che a ogni istante va perduto e dimenticato, lo scialo quotidiano dei piccoli gesti, delle sensazioni minute, di ciò che traversa la mente in un lampo, delle trite parole sprecate eccede di gran lunga la pietà della memoria e l’archivio della redenzione; ma anche le opere dell’arte e dell’ingegno, frutto di un lungo, paziente lavoro, sono prima o poi condannate a sparire.

da Nudità, Giorgio Agamben, Nottetempo