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XVIII

Géronte, d’une autre Isabelle,
A quoi t’occupes-tu
D’user un reste de vertu
Contre cette ribelle?

La perfide se rit de toi,
Plus elle t’encourage.
Sa lèvre meme est ou outrage.
Viens, gagnons notre toit.

Temps est de fruir l’amour, Héronte,
Et son arc irrité.
L’amour, au déclin de l’été,
Ni la mer, ne s’affronte.

***

Perché, o Geronte, d’un’altra Isabella,
t’incamponisci a perdere
quel di virtù che serbi estremo verde
contro una tal ribelle?

Si permette, la perfida, e si nega,
con alterno dileggio.
Perfino il labbro suo ti porta oltraggio.
Rincasiamo, ti prego.

Tempo è, Geronte, di fuggir l’amore
e il suo arco iracondo.
Sfida l’amore non giova, né l’onda,
quando l’estate muore.

da Le Controrime, Paul-Jean Toulet, Sellerio, La Civiltà Perfezionata, 1981, a cura di Gesualdo Bufalino

Rapporto tra letteratura, realtà e surrealtà

“Il 15 maggio 1796 il generale Bonaparte entrò a Milano a capo di quella giovane armata che aveva varcato allora il ponte di Lodi e apprese al mondo che dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avevano un successore…”. Così comincia La Certosa di Parma di Stendhal.

“Svegliandosi una mattina Gregor Sansa i accorse di essere mutato in un insetto mostruoso…”. Così comincia La metamorfosi di Kafka.

Non c’è che dire, mettendo a confronto i due incipit appare lampante che essi contengono, l’uno il massimo, l’altro il minimo di attendibilità. Il fatto è però che in entrambi i casi la soggezione del lettore è totale, in virtù di una stipula silenziosa fra lui e lo scrittore, secondo la quale vero e falso sono le facce di un’erma bifronte a cui tutti ci inginocchiamo.

Così, nel momento in cui entra in Milano, Napoleone cessa di essere una persona storica per diventare favoloso al pari di un ippogrifo, mentre Gregor Samsa appare altrettanto plausibile quanto un esemplare appuntato con uno spillo nella vetrina di un entomologo.

da Essere o riessere, conversazioni con Gesualdo Bufalino a cura di Paola Gaglianone e Luciano Tas, òmicron, collana Il Libro che non c’è, 1996

dedicato a Yui Kimi e alla mangiatrice di sapone

il demiurgo

andy prokh

Poi di colpo ci ripensa, si fa serio: “Incredibile, non è che tu…”
“Che pensi mai, come avrei potuto saperlo. è un film di tanti anni fa. Dove l’avranno ripescato…”
Annuisce ma lo vedo perplesso, ostile. Entriamo ugualmente e troviamo lo spettacolo già in corso, coi due amanti a convegno. com’è nostro antico accordo, bisbiglio a Martino i ragguagli indispensabili sulla vicenda, fra un dialogo e l’altro, ma lui presto mi zittisce, attento solo alla colonna sonora, fitta di nitriti, cozzi di spade, sferragliare di grevi armature. Alla fine torna a insistere sulla singolarità dell’incidente:
“Non è che tu, scrivendo, ti sia ricordato d’aver visto l’annunzio del film, in una precedente occasione? Che si tratti d’una suggestione subliminale?”
M’ero posta anch’io la domanda e onestamente rispondo di no. Quindi avanzo una spiegazione bizzarra:
“I personaggi di romanzo,” dico, “non potrebbero essere come i bambini non nati, entomata in difetto, larve che ambiscono a farsi creature vive? E così anche gli avvenimenti…Non potrei col mio brutto romanzo aver messo il dito sul misterioso pulsante che mette in moto il Non Essere e lo fa essere Essere?”
“Ti vanti,” mi rimprovera. “S’è trattato d’un caso e basta così”.

da Tommaso e il fotografo cieco, Gesualdo Bufalino, Bompiani

sul piacere di farsi sé

no gender luca donnini

Pensavo a Mariposa, a Redaelli, e a quanto sia tortuosa la natura dell’uomo. O piuttosto la Natura al maiuscolo. Per come intreccia fittamente norma e eccezione. Mi chiedo se non abbia ragione Placido con la sua teoria dei frattali estensibile a tutti i fenomeni dell’esistenza, se è vero che perfino le aritmie del mio cuore, con le loro impennate e decelerazioni, sono meno schiave d’un capriccio che d’una legge, accidenti a loro…Lo stesso vale per l’equivoca Mariposa? è un disordine dentro un ordine? un ordine dentro un disordine? “Io non mi travesto, io mi vesto” mi disse una volta, e voleva significare che si abbigliava da donna non per farsi altro da sé ma per il piacere di farsi sé, di esibire di sé l’immagine nuda attraverso il sofisma di un’impostura.

da Tommaso e il fotografo cieco, Gesualdo Bufalino, Bompiani

Ultima cavalcata di Don Chisciotte

ultima cavalcata di don chisciotte

Sancio aveva indossato la zimarra nera a fiamme dipinte, dono della Duchessa, e pareva una torre, gli brillavano le pupille d’una brace regale, le parole gli uscivano esenti della usata rusticità, ma s’impennavano e sventolavano come bandiere.
“Guardatemi,” diceva. “Un servo, un villano, a vedermi. Pure ho compiuto fatti d’eroe. Né lo avrei creduto prima che mi sbendassero gli occhi; quando vivevo contento del mio piatto d’olive, ignaro di libri, e ogni rigo di scrittura mi somigliava a una fila di formicole scure…Ma ora ho tanto viaggiato, pugnato, patito. Ora so finalmente chi sono: una memoria e una forza di giornate famose…E quante ve ne potrei raccontare! Di quel giorno che, vinto da un sortilegio di re, in una reggia in apparenza simile a un albergo come questo, dovetti più volte saltare in aria su una coperta di muli…e di quando misi in fuga col solo grido il famoso Ginesio da Passamonte…e di quando mi diedero un arcipelago da governare e così bene lo governai, raddrizzando i torti e riparando i danni, da meritarmi la mitria che per sdegnosa umiltà ho delegato in capo al mio asino. Asino, dico, ma dovrei dire Pegaso, se tante volte sulla sua groppa ho volato, dirigendolo a mio piacere con due semplici scalcagnate! Ché insieme siamo stati per sierre e pianure, abbiamo conosciuto principesse e mandriane, fatto cadaveri risuscitare…Voi dite: che guadagno t’è venuto da tanti moti? Una scienza sola ma immensa, ed è che sbagliavo a fidarmi dei miei sensi d’uomo grosso e piccino. Ora so che in ciascuna  miseria carnale può celarsi un visibilio celeste. E che quelli che scorsi un mattino, mostri arcani roteanti nell’aria, contro il rigo dell’orizzonte, trenta, quaranta…chi poteva contarli? Quei mostri che bravamente il mio signore affrontò…erano, ora lo so, veri e montuosi giganti, Encelado, Tifeo, Briareo dalle molte braccia. E che valeva il suo prezzo sfidarli a costo di cadere e morire…”
Ma Don Chisciotte, che aveva ascoltato non visto dietro di lui: “Sancio, ritorna in te,” umanamente gli disse. “Erano solo mulini. Mulini a vento, niente di più.” E con un fischio chiamò Ronzinante.

da L’ultima cavalcata di Don Chisciotte in L’uomo invaso, Gesualdo Bufalino, Bompiani

Ritratto di Don Chisciotte di Goffredo Petrassi

cosa vuol dire?

da maurice sans terre 2

“Cosa vuol dire?
“Cosa vuol dire cosa?”
“La morte, i morti, quelli là,” indicava i busti sbocconcellati di Domenico Tempio e Mario Rapisardi.
“La morte,” disse il vecchio, “è quando uno non sente più rumori, non vede più i colori. Quando non cammina più: sta. Come una palla che, se non la fai ruzzolare, si ferma e sta.”

dal racconto Panchina, ne L’uomo invaso, Gesualdo Bufalino, Bompiani