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amico e amica cari

Ovunque, in tutta la realtà accessibile e in ogni essere, è necessario trovare il luogo sacrificale, la ferita. Ogni essere è toccato solo nel punto in cui soccombe: una donna sotto la sua gonna, un dio nella gola dell’animale sacrificale.

Colui che, odiando la solitudine egoista, esige la perdita di sé, e l’estasi, prende “per la gola” la distesa del cielo, poiché essa deve sanguinare e gridare. Una donna denudata apre bruscamente un territorio di delizie (mentre decentemente vestita non è più conturbante di un muro o di un mobile): così la distesa indefinita si lacera e, lacerata, si apre alla mente estasiata che si perde in essa nello stesso modo in cui il corpo si perde nella nudità che gli si dona.

Se l’illusione del compimento non è accettata in modo totale e astratto nella rappresentazione di Dio, ma più umanamente nella presenza di una donna vestita, allora si vedrà che non appena questa donna sarà almeno in parte denudata la sua animalità ridiventerà visibile e la sua vista libererà in me la mia incompiutezza… Nella misura in cui le esistenze appaiono perfette e compiute, rimangono separate, chiuse su se stesse. Si aprono soltanto attraverso la ferita, che è in loro, del non compimento dell’essere. Ma attraverso quel che si può chiamare non compimento, nudità animale, ferita, esseri innumerevoli e separati gli uni dagli altri comunicano e nella comunicazione dall’uno all’altro prendono vita perdendosi.

da L’amicizia, Georges Bataille, SE Studio Editoriale, a cura di Federico Ferrari

Più o meno ognuno di noi è legato ai racconti, ai romanzi, che gli rivelano la molteplice verità della vita. Solo quei racconti, letti a volte come in delirio, lo pongono davanti al destino. Dobbiamo dunque cercare appassionatamente cosa possa essere un racconto, come orientare lo sforzo attraverso il quale il romanzo si rinnova o, meglio, si perpetua.

La preoccupazione delle tecniche nuove, che compensino la sazietà delle forme conosciute, pare dominare qualsiasi riflessione. Ma non riesco a spiegarmi – se vogliamo proprio sapere cosa un romanzo possa essere – perché non si individui subito e non si sottolinei quella che dovrebbe costituire la base per una vera ricerca. Il racconto che rivela le possibilità della vita non richiama necessariamente, ma può richiamare, un momento di rabbia, senza il quale l’autore resterebbe cieco a quelle possibilità eccessive. Ne sono convinto: solo la prova asfissiante, impossibile dona all’autore il mezzo di spingere lontano la sua visione, di andare incontro alla attesa del lettore stanco dei limiti angusti imposti dalle convenzioni.

Come si può perdere temo su libri alla cui creazione l’autore non sia stato manifestamente costretto?

Ho formulato il mio principio. Rinuncio a tentar di giustificarlo.

Mi limito a fornire qualche titolo che risponda alle mie affermazioni (qualche titolo…potrei fornirne altri, ma il disordine è la misura delle mie intenzioni): Cime tempestose, Il processo, À la recherche du temps perdu, Le rouge et le noir, Eugénie de Franval, L’Arrête de Mort, Sarrazine, L’Idiota…

dalla Prefazione dell’A. a L’azzurro del cielo, Georges Bataille, Einaudi, trad. di Oreste Del Buono

Ad altri l’universo sembra onesto. Sembra onesto alle persone oneste perché hanno gli occhi castrati. è per questo che temono l’oscenità. Non provano alcuna angoscia se sentono il canto del gallo o se si accorgono del cielo stellato. Generalmente, godono i “piaceri della carne” a condizione che siano scipiti.

 Ma già da allora non c’erano più dubbi: non amavo quelli che eufemisticamente si chiamano “piaceri della carne”, forse proprio perché sono senza sapore. Amavo ciò che si giudica come “osceno”.

Non ero per niente soddisfatto, al contrario, del pervertimento semplice, perché esso insozza soltanto se stesso, e, in ogni caso, lascia intatta un’esistenza elevata e perfettamente pura. La dissolutezza che io conosco non soltanto deve insozzare il mio corpo e i miei pensieri, ma tutto ciò che immagino davanti ad essa e soprattutto l’universo stellato…

da Storia dell’occhio, Georges Bataille, Gremese Editore, trad. di Dario Bellezza

L’erotismo sembra essere una forma di conoscenza che nel momento stesso che scopra la realtà, la distrugge. In altri termini si può conoscere il reale per mezzo dell’erotismo; ma al prezzo della distruzione completa e irreparabile del reale medesimo. In questo senso l’esperienza erotica si apparenta a quella mistica: ambedue sono senza ritorni, i ponti sono bruciati, il mondo reale è perduto per sempre. Altro carattere comune all’esperienza mistica e a quella erotica è che esse hanno bisogno dell’eccesso; la misura, che è propria al conoscere scientifico, è sconosciuta tanto a l’una che all’altra. Quest’eccesso, naturalmente, porta alla morte. Ma nell’esperienza mistica sarà la morte del soggetto; in quella erotica, la morte dell’altro. Questo spiega forse il carattere apparentemente suicida dell’esperienza mistica e omicida dell’esperienza erotica.

dalla Prefazione di Alberto Moravia alla Storia dell’occhio di Georges Bataille, Gremese Editore, 1980

Deadcrush, Alt-J

L’esistenza piena e l’immagine dell’essere amato

L’esistenza semplice e forte, che la servilità funzionale non ha ancora distrutto, è possibile solo nella misura in cui ha cessato di subordinarsi a qualche progetto particolare come agire, dipingere o misurare: essa dipende dall’immagine del destino, dal mito seducente e pericoloso con il quale si sente silenziosamente solidale.
Un essere umano è dissociato quando si consacra a un lavoro utile, in sé privo di senso: egli non può trovare la pienezza dell’esistenza totale che sedotto.
(…)
l’esistenza piena si lega a qualsiasi immagine che susciti speranza e terrore.
L’ESSERE AMATO in questo mondo disciolto è divenuto la sola potenza che abbia conservato la virtù di riportare al calore della vita. Se questo mondo non fosse percorso incessantemente dai movimenti convulsivi degli esseri che si cercano l’un l’altro, se non fosse trasfigurato dal viso “la cui assenza è dolorosa”, avrebbe l’apparenza di una derisione offerta a quelli che fa nascere: l’esistenza umana vi sarebbe presente allo stato di ricordo o di film dei paesi “selvaggi”. E’ necessario escludere la finzione con un sentimento irritato. Ciò che un essere possiede al fondo di se stesso perduto, di tragico, la “meraviglia accecante” non può più essere incontrata che su un letto. (…)

da Il labirinto, Georges Bataille, SE Studio Editoriale, trad. di Sergio Finzi

è stato possibile perdersi nell’estasi

Nei mondi scomparsi, è stato possibile perdersi nell’estasi, cosa che è impossibile nel mondo della volgarità istruita. I vantaggi della civiltà sono compensati dal modo in cui gli uomini ne approfittano: gli uomini attuali ne approfittano per divenire i più degradati di tutti gli esseri che sono esistiti.
La vita si svolge sempre in un tumulto senza coesione apparente, ma essa non trova la sua grandezza e la sua realtà che nell’estasi e nell’amore estatico. Chi tiene a ignorare o a misconoscere l’estasi è ridotto all’analisi. L’esistenza non è soltanto un vuoto agitato, è una danza che forza a danzare con fanatismo. Il pensiero che non ha come oggetto un frammento morto, esiste interiormente alla maniera delle fiamme.
Bisogna diventare abbastanza fermi e irremovibili perché l’esistenza del mondo della civiltà appaia infine incerta.
E’ inutile rispondere a coloro che possono credere alla esistenza di questo mondo e avvalersene: se parlano, è possibile guardarli senza intenderli e, mentre li si guarda, non “vedere” che ciò che esiste lontano dietro di loro. Bisogna rifiutare la noia e vivere solamente di quello che affascina.

da Il labirinto, Georges Bataille, SE Studio Editoriale, trad.di Sergio Finzi

Appunti per Capsula petri n.17

E’ davvero, come sostiene Bataille, “all’amicizia, alla dolcezza dell’amicizia, che si rivolge la bellezza delle opere umane” o questa proviene dalla contemplazione di ciò che è impossibile (da pensare accuratamente, da raggiungere, come Dio, l’amore, la mente centrale, tre spazi mentali omeomorfi)? E se l’uomo di Lascaux non avesse partecipato alla caccia che dipinse, ma fosse rimasto, invalido, nella caverna con le donne e i bambini? Se l’artista di Lascaux fosse l’uomo disteso di fronte al bisonte nella scena rappresentata in fondo al pozzo?

Lascaux e l’amicizia

Della moltitudine di esseri umani, ancora primordiali, anteriori al formarsi di questo girotondo animale, abbiamo trovato le tracce. Innanzi tutto quelle dei corpi che, materialmente, furono questi esseri da noi così poco dissimili: le loro ossa, quando ci sono giunte, ci fanno conoscere le loro forme scarnificate. Numerosi millenni prima di Lascaux (circa cinquecentomila anni), questi bipedi industriosi iniziarono a popolare la terra. Oltre alle ossa fossili, di loro ci rimangono solo alcuni utensili. Testimoniano l’intelligenza di questi antichi uomini anche se, ancora rozza, si applicava solo agli oggetti di cui si servirono, amigdale, schegge o punte di selce; a questi utensili o all’attività oggettiva che in tal modo perseguirono… Non cogliamo mai, prima di Lascaux, il riflesso di quella vita interiore di cui l’arte – e solo l’arte – si assume la comunicazione, e di cui è, nel suo calore, se non l’espressione imperitura (questi dipinti e la riproduzione che ne facciamo non avranno durata illimitata), almeno la duratura sopravvivenza.
Senza dubbio sembrerà incauto attribuire all’arte questo valore decisivo, incommensurabile. Ma questo valore dell’arte non è forse più sensibile alla sua nascita? Nessuna demarcazione è più netta: all’attività utilitaria essa oppone l’inutile figurazione di questi segni che seducono, che nascono dall’emozione e che all’emozione si rivolgono. Ritorneremo sulle spiegazioni utilitarie che se ne possono dare. Dobbiamo innanzi tutto sottolineare un’opposizione essenziale: certo, le ragioni materiali apparenti sono chiare; la ricerca disinteressata è invece solo ipotetica… Ma se si tratta di opere d’arte, dobbiamo fin da subito rifiutare qualsiasi discussione. Se entriamo nella caverna di Lascaux, ci afferra un sentimento forte che non proviamo dinanzi alle bacheche in cui sono esposti i primi resti fossili di uomini o i loro utensili di pietra. È lo stesso sentimento di presenza – che ci procurano i capolavori di ogni tempo. Al di là delle apparenze, è all’amicizia, è alla dolcezza dell’amicizia, che si rivolge la bellezza delle opere umane. La bellezza non è forse ciò che amiamo? L’amicizia non è forse la passione, l’interrogazione sempre ripresa di cui la bellezza è la sola risposta?

(…)

L’arte è e continua a essere prima di tutto un gioco. L’utensile è invece l’origine del lavoro. Determinare il significato di Lascaux, o meglio dell’epoca di cui Lascaux è l’esito, equivale a cogliere il passaggio dal mondo del lavoro al mondo del gioco, che al tempo stesso è il passaggio dall’Homo faber all’Homo sapiens, ossia, dal punto di vista fisico, dall’abbozzo all’essere compiuto.

(…)

Dopo un inverno di cinquecentomila anni, Lascaux avrebbe così il significato di una prima giornata primaverile.

Da La nascita dell’arte, Georges Bataille, Abscondita, trad. di Luca Tognoli