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la parte della gamba


foto di Lorenzo Gramaccioni

 

Il centro del racconto, nel bel mezzo del bosco, la favola dichiara la sua stessa misura, il motore logico nascosto che la mette in movimento. Al centro, il racconto svela la sua cifra latente, quasi incidentalemente: più che naso, Pinocchio ha gambe, e va lontano.
Non ancora adulta, non ancora madre, la bella bambina dai capelli turchini pronuncia la formula fondamentale:”Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito, perché ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l’appunto è di quelle che hanno il naso lungo”. La forma, che sia teorica o oracolare, in ogni caso descrive e crea un buco, una frattura che divide il racconto: da una parte, illuminato, evidente, il naso, dall’altra la gamba, in ombra. Pinocchio non dirà mai bugie dalle gambe corte.
Dopo la morte per impiccagione, dopo il ritorno alla vita, dopo la crisi della bugia (dove sono nascoste le monete?) e la sua soluzione, nel limbo ovattato di una camera di convalescenza, alla luce aurorale o nebbiosa di questo luogo di passaggio del racconto, di passaggio dalla morte alla rinascita, quindi nel luogo leggendario di tutti i passaggi e di ogni trasformazione, là si incastra la leggenda della favola, il metalinguaggio che ne permette e ne indica una possibile decifrazione. Questa formula è un grafo che decide della lettura del racconto; un enigma e un perno, il punto più basso, dove tutta si appoggia la parabola del burattino e dove si assegnano luci e ombre.

Un luogo leggendario che circoscrive una zona di indistinzione, dove si dice ciò che è nascosto e si nasconde il detto: Pinocchio è in gamba, è gamba, nonostante l’enorme visibilità dei rari nasi lunghi. Un motore del resto non è altro che un sistema di sbilanciamento produttivo. La gamba, qui, diventa l’articolazione del racconto, la giuntura, la curva. Etimologicamente. Pinocchio piega, declina, si rivolge, nell’ombra, alla gamba.

Pinocchio trova una soluzione all’enigma: scappa a gambe levate. Si dà a gambe. È la soluzione giusta, è la soluzione errata. Fa sprofondare nel dolore la fatina, sfinge, spingendola nella tomba, mentre si salva da lei, dalle sue lusinghe e dalle sue minacce, Trova l’unica soluzione possibile all’enigma, la soluzione enigmatica, e dà alla fiaba la sua morfologia luminosa.

da Pinocchio: la parte della gamba. Corsa e arresti di un burattino, Francesco Zuccherini

Ricordi di libreria

 

Quando trovai impiego in un negozio di libri di seconda mano (chi non vi ha mai lavorato lo immagina facilmente una specie di paradiso, dove gentili vecchi passano il tempo a sfogliare grossi tomi rilegati in cuoio), la cosa che più mi colpì fu la scarsità di persone che veramente si interessano ai libri. Il nostro negozio possedeva un assortimento di opere pregevoli, ma ben prsto dovetti chiedermi se almeno il dieci per cento dei clienti fosse in grado di distinguere un libro bello da uno scadente. Gli snob in cerca di prime edizioni erano molto più frequenti che non i veri cultori della letteratura. La nostra clientela era costituita soprattutto da studenti orientali, che stiracchiavano a non finire sul prezzo di libri di testo a buon mercato; e da donne con idee molto vaghe, in cerca di un regalo per il compleanno del nipotino.
Molti nostri clienti appartenevano alla classe di persone che darebbero noia in un qualsiasi negozio, e in una libreria trovano il luogo ideale per esibire questo loro talento. Per esempio la cara vecchina che “desiderava un libro per un malato” (richiesta molto frequente), o l’altra cara vecchina che aveva letto un così bel libro nel 1897 e chiedeva se non potessimo procurargliene una copia. Disgraziatamente non ricordava né il titolo né il nome dell’autore né di che cosa trattasse il libro. Ricordava solo che aveva una copertina rossa. Oltre a questi, vi sono due ben noti tipi di scocciatori, che costituiscono la maledizione di ogni negozio di libri usati. Uno è il signore decaduto che puzza di miseria a un metro di distanza e viene ogni giorno, anche parecchie volte al giorno, a proporre l’acquisto di libri che non valgono nulla. L’altro è il cliente che ordina un grande assortimento di libri, ma non ha la minima intenzione di comperarli. Nel nostro negozio non si vendeva a credito, ma si mettevano da parte i libri o si ordinavano, se necessario, per clienti che sarebbero venuti a ritirarli più tardi . Nemmeno la metà delle persone che ordinavano libri si prendeva la briga di farsi vedere una seconda volta. La cosa dapprima mi stupì. Perché si comportavano così? Entravano nel negozio, chiedevano qualche libro raro e costoso, si facevano promettere parecchie volte che l’avremmo messo da parte per loro e poi sparivano. Molti di questi erano senza dubbio dei paranoici. Si divertivano a parlarci in modo grandioso della loro vita e ci narravano le più straordinarie storie immaginabili, per spiegarci come mai fossero usciti senza soldi in tasca- storie che in molto casi sono sicuro essi stessi finissero per accettare. In una città come Londra vi sono sempre in giro molti pazzi, che non è possibile chiudere in manicomio, ed essi di solito gravitano attorno alle librerie, perché una libreria è uno dei pochi posti dove ci si può soffermare a lungo senza spendere un soldo. Non occorre molta esperienza per imparare a riconoscere queste persone a colpo d’occhio. Nonostante i loro fantasiosi discorsi, esse rivelano qualcosa di bacato e insicuro. Molto spesso, quando si ha a che fare con un evidente paranoico, si mettono da parte i libri che sono stati richiesti e poi si ricollocano sugli scaffali, non appena il cliente è uscito. Nessuno di questi, ho notato, cerca mai di portar via i libri senza pagarli. Ordinarli gli basta, perché, suppongo, questa azione gli dà l’impressione di spendere del denaro.”

George Orwell da Nel ventre della balena e altri saggi, Bompiani, trad.di Enzo Giachino

 

 

esitazione o della densità del vuoto

“esitazione o della densità del vuoto”

da venerdì 15 giugno 2007 alle ore 17.00, quasi ogni pomeriggio,
sulla soglia della libreria un’installazione del precariato resistente.

Produzione lontano da casa

esitazione
o della densità del vuoto
una roba zen

camminare avanti e indietro di fronte ad una porta
senza decidersi ad entrare
poggiare a lungo la mano sulla maniglia e non girarla
stare sulla soglia insomma, né dentro né fuori
né dentro né fuori: esitare
l’esitazione dà luogo ad un punto intenso labile e prezioso
esatto e incalcolabile
felicemente carico di possibilità
esatto ma in-calco-labile
ripetibile come un punto-sensazione
astratto come una soglia
un buco aperto nel continuo pieno del muro
un confine un fosso

fa un salto che tutto cambia
oppure aspetta che il demone guardiano ti dia il permesso, kafka

esito: esco ed aderisco al risultato
esitazione: rimango sospeso
anzi non un punto ma un intorno d’indistinto
l’esitazione rarefà o addensa un intorno sulla linea di soglia
esito prima del salto di stato

sulla porta
linea geometrica astratta, densa, vuota, intensa
cui aderisco
né dentro né fuori
né dentro né fuori, esperienza dell’intorno
mai provata?

esito all’incrocio
su un piano piatto e privo d’indicazioni, prato o distesa di neve
davanti ai mille e mille dentifrici del supermercato
e meravigliosamente
prima di baciare per la prima volta una persona
la bacio o non la bacio?
esito nei passaggi da adolescente a giovane uomo
poi ancora nel diventare adulto
esito nella definizione di me
che i tanti contratti di lavoro rinnovabili e rinnovati danno
e nel mio sesso

è-sito utopico?
varco la soglia, linea geometrica astratta carica d’intensità
varco la soglia senza smettere di stare né dentro né fuori
rimanendo all’interno del né dentro né fuori
lavorando sulle dimensioni
estendendo le dimensioni di soglia
rendendole reali e passibili d’esperienza
con una figura poeticamente corretta

una sala grande, possibilmente alta. dal soffitto calano, fino a riempirla, tantissimi fili di plastica… chi ricorda le “tende antimosca”, quelle che d’estate si mettevano alle porte per tenerle aperte, ma chiuse agli insetti volanti, per far circolare l’aria ma non le mosche? riempire lo spazio di tende da macellaio, soglia continua a densità variabile: qui giungla là radura. magari ogni tanto lasciare un vuoto, giusto per una persona o due, o per una sorpresa; una sala grande che ci si possano fare almeno dieci passi, e convincere le persone ad entrarci.
estendere le dimensioni della soglia facendole passare da lineari e simboliche a percorribili, reali ma fantastiche. permettere l’esperienza di un attraversamento lungo e lento della soglia; estenderla anche in altezza, cinque metri, sei. un volume fatto di niente dentro un volume vuoto. appenderle a densità variabile, qua giungla là radura quelle che d’estate si applicavano alle porte, prima dell’aria condizionata e delle porte sigillate. ricordo di averle fatte scorrere tante volte sul mio viso e sul mio corpo, lentamente, anello dopo anello, ad occhi chiusi e braccia aperte chi ci riesce troverà un proprio percorso esitante tutto interno al né dentro né fuori, unico orientamento le variazioni di densità di quel niente che sono i fili di plastica. tutto interno alla soglia, all’interno del né dentro né fuori per dieci passi, e senza lasciare traccia né sentiero, ché le corde tornano al loro posto una volta passati