Ci prova, Michelle, e forse ci riuscirà, se tutto quello che desidera oggi “è quello che ha”.
dal ritratto a cura di Lorenzo Gramaccioni
Ci prova, Michelle, e forse ci riuscirà, se tutto quello che desidera oggi “è quello che ha”.
dal ritratto a cura di Lorenzo Gramaccioni
INGRESSO A SOTTOSCRIZIONE LIBERA E SOLO PER GLI OCCIDENTATI (TESSERA ANNUALE GRATUITA)
PRENOTAZIONE NECESSARIA (SOLO 13 POSTI)
All’interno di questo percorso, scoprivo man mano altre direzioni, altre aree di lavoro, altri orizzonti. Cioè, non era mai un lavoro lineare. Voglio spiegare quest’idea, che sembra un po’ difficile. Non è come imboccare l’autostrada: comincio da Modena, devo uscire a Roma e non mi interessa tutto quello che succede ai lati, non prendo nemmeno un’uscita secondaria. No. Il problema è che durante questo percorso c’è un progetto ben definito, c’è un itinerario tracciato,però è un itinerario che si muove, è il lavoro stesso con le fotografie che ti può provocare nuovi stimoli, suggerire ulteriori intuizioni. Ci sono cose che arrivano e che non ti aspetti. è una progettualità preordinata, ma che non scarta nulla a priori, e contempla anche la casualità. Quindi un percorso a zigzag più che una linea retta, precisa, non una direzione monomaniacale. Questo andare a zigzag, questo cominciare a tracciare degli itinerari, fa scoprire che muoversi all’interno di un ambiente, mettersi in relazione con un ambiente, anche utilizzando una macchina fotografica, può significare guardare a un insieme di problematiche molto vasto. Allora la linea comincia ad assumere le sembianze di una vera e propria carta. Diventa una mappa, uno parte con una linea dritta e si ritrova con una mappa, costituita da miliardi di piccolissimi segni che si collegano fra di loro e costruiscono un orizzonte possibile.
da Lezioni di fotografia, Luigi Ghirri
per Luca
Penso spesso a la vita come un viaggio,
che tante vorte vivo pe la strada
e so che quarsivoja cosa accada
cammino verso er monno der miraggio.
Allora provo a alleggerimme er viso
co na manciata giusta d’ironia,
che tengo sempre pronta pe la via
co nun socché d’amaro ner soriso.
da Granelli di Roma – Verso un Verso diVerso – , Leone Antenone
Milano è piena di libri. Chioschi, librerie, rigattieri, magazzini dell’usato, banchi abusivi, fiere parrocchiali, persino un vecchio che gira con i libri nel portapacchi della bicicletta, se t’incrocia per strada e gli butti un occhio, si ferma e te li fa vedere. I libri, in un certo senso, non stanno mai fermi. Se ne vanno in giro per la città, entrano nelle case, stanno bloccati magari per anni, per decenni, poi ripartono perché nessuno li può possedere per sempre, nessuno può bloccarne il migrare, a meno di usare le maniere forti. Ma se un libro non lo annienti, prima o poi riparte, riprende il suo giro.
Io conosco le tratte delle loro migrazioni e batto la città camminando per chilometri, zompando sui mezzi pubblici, salendo e scendendo nel bassofondo del metro. Cerco nelle ceste dei libri a prezzo fisso, vado in posti dove il prezzo del libro è fatto dalle dimensioni: illustrato o fotografico cinque euro, romanzo grande e rilegato due euro, tutta la brossura a uno. Cerco pezzi che altri librai non han capito o non han visto. Ci vuole fortuna, ci vuole abilità. La raccomandazione, prerequisito in altre professioni, in questo campo non serve, la raccomandazione potete ficcarvela in tasca. Qui ci vuole occhio, conoscenza e gamba. Sono quasi un esploratore, imbocco vie laterali, trovo scorciatoie, vie nuove, piccoli quartieri intorno alle vecchie chiese, magazzini sul fondo del fondo dei viali. E se incrocio una bella ragazza – e se ne incontrano, bellissime studentesse coi libri sotto al braccio, giovani madri, commesse che la sanno lunga sul mondo – se incrocio una bella ragazza la saluto cordiale, chinando leggermente il capo e togliendo il cappello se ce l’ho in testa.E la ragazza vi assicuro d’innamora all’istante, non può fare altrimenti, di questo avventuriero occhi azzurri e galante, con la sua borsa in spalla, archeologo della modernità, biolibrologo, scopritore di relitti in fondo alle città, instancabile camminatore oltre che libero pensatore. O almeno così sembra, talvolta.
Insomma ho dato nuova forma alla figura del flâneur . Si dirà che ho tempo da perdere o, forse, da guadagnare, dipende da come la si intende.
da Vecchi libri per quest’epoca incerta, Valentino Ronchi, Foschi Editore
(ISBN 9788866010388)
La memoria del rimuginatore dispone della massa disordinata del sapere morto. Il sapere umano è per lei frammento in un senso particolarmente pregnante, vale a dire come il mucchio di pezzi tagliati a casaccio coi quali si compone un puzzle. Un’epoca poco incline alla rimuginazione ne ha mantenuto l’atteggiamento dell’allegorico. L’allegorico estrae ora qui e là un pezzo dal fondo disordinato che il suo sapere gli mette a disposizione, lo affianca ad un altro e prova se si adattino l’uno all’altro: questo significato a questa immagine o questa immagine a quel significato. Il risultato non può mai essere previsto, giacché fra i due non c’è nessuna mediazione naturale. Allo stesso modo stanno però le cose con la merce e il prezzo. I “cavilli metafisici” di cui, secondo Marx, si compiace la merce sono innanzitutto i cavilli della formazione dei prezzi.
Come la merce pervenga al suo prezzo è cosa che non si può mai calcolare esattamente, né nel corso della sua produzione né in seguito, quando si trova sul mercato. Esattamente la stessa cosa accade all’oggetto nella sua esistenza allegorica: non è in nessun modo stabilito a quale significato lo condurrà l’assorta profondità dell’allegorico. Una volta però che abbia acquisito questo significato, esso può essergli in ogni momento sottratto a favore di un altro.
Le mode dei significati cambiavano quasi altrettanto rapidamente di quanto cambia il prezzo delle merci. E, in effetti, significato vuol dire per la merce: prezzo; come merce essa non ne ha altri. Perciò l’allegorico tra le merci si trova nel proprio elemento, Come flâneur si è immedesimato nell’anima della merce; come allegorico riconosce nel “cartellino del prezzo” con cui la merce entra sul mercato l’oggetto delle sue rimuginazioni: il significato.
Il mondo con cui questo nuovo significato lo fa entrare in intimità non è divenuto un mondo più felice. Un inferno infuria nell’anima della merce, che pure sembra trovare nel prezzo la sua pace.
(J 80, 2; J 80a,I)
da I “passages” di Parigi, Walter Benjamin, Einaudi, a cura di Rolf Tiedemann e Enrico Ganni
Di cosa è fatto uno spettro? Di segni, anzi, più precisamente, di segnature, cioè di quei segni, cifre o monogrammi che il tempo scalfisce sulle cose.
Uno spettro porta sempre con sé una data, è, cioè, un essere intimamente storico. Per questo le città vecchie sono il luogo eminente delle segnature che il flâneur legge quasi distrattamente nel corso delle sue derive e delle sue passeggiate; per questo i cattivi restauri, che confettano e uniformano le città europee, ne cancellano le segnature, le rendono illeggibili. E per questo le città – e in special modo Venezia- assomigliano ai sogni. Nel sogno, infatti, ogni cosa strizza l’occhio a colui che la sogna, ogni creatura esibisce una segnatura, attraverso la quale significa di più di quanto i suoi tratti, i suoi gesti, le sue parole potrebbero mai esprimere. Eppure, anche chi cerca ostinatamente di interpretare i suoi sogni, da qualche parte è convinto che essi non vogliano dir nulla. Così nella città tutto ciò che è accaduto in quella calle, in quella piazza, in quella ruga, di colpo si condensa e cristallizza in figura, insieme labile ed esigente, muta e ammiccante, risentita e distante. Quella figura è lo spettro o il genio del luogo.
da Nudità, Giorgio Agamben, Nottetempo