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sulla scrittura (4)

A volte credo che potrei scrivere, descrivere, ma poi divento così stanca, improvvisamente, e penso: perché tutte quelle parole? Vorrei che ogni singola parola che mi trovo a scrivere fosse una nascita, davvero una nascita, che nessuna parola fosse artificiale; vorrei che ogni parola fosse essenziale, altrimenti non ha proprio alcun senso. Ed è per questa ragione che non potrò mai vivere della “scrittura” e invece dovrò sempre avere un altro lavoro parallelo per guadagnarmi la giornata. Ogni parola deve nascere da una necessità interiore: scrivere non può essere altro.

di sera, alle undici di mercoledì 22 aprile 1942, dal Diario (1941-1943) di Etty Hillesum, Adelphi, edizione integrale a cura di Jan G. Gaarlandt

warum sind Sie hier? das ist die Frage

E sono io che devo fare la domanda: warum sind Sie hier? perché la mia situazione è privilegiata. In confronto a questo soldato tedesco, e per quanto riguarda le domande da fare, la mia situazione è privilegiata. Perché l’essenza storica comune a tutti noi in quest’anno 1943 che ci facciamo arrestare, è la libertà. E nella misura in cui partecipiamo di questa libertà ci assomigliamo, ci identifichiamo, noi che possiamo essere tanto dissimili. E nella misura in cui partecipiamo di questa libertà ci facciamo arrestare. Perciò è la nostra libertà che bisogna interrogare, non il nostro stato di arresto, la nostra condizione di prigionieri. Naturalmente, lascio da parte quelli che fanno la borsa nera e i mercenari delle formazioni. Per loro l’essenza comune è il denaro, non la libertà. Naturalmente, non pretendo che partecipiamo tutti nello stesso modo di questa libertà che ci è comune. Alcuni, e sono certamente molti, partecipano casualmente di questa libertà. Forse hanno scelto liberamente la resistenza, la vita clandestina, ma da allora si limitano a vivere le conseguenze di questo atto libero. Hanno accettato liberamente la necessità di entrare nella resistenza, ma da allora vivono nella routine determinata da quella libera scelta. Non vivono la loro libertà, ci si addormentano. Ma non si tratta, adesso, di esaminare tutti i particolari e le vicende del problema. Della libertà parlo solo incidentalmente, è il racconto di quel viaggio che mi prefiggo. Ci tenevo solo a dire che alla domanda del soldato tedesco di Auxerre: warum sind Sie verhaftet? è possibile una sola risposta. Sono in prigione perché sono un uomo libero, perché mi sono trovato nella necessità di esercitare la mia libertà, perché non ho rifiutato questa necessità. Così egualmente, alla domanda da me fatta alla sentinella tedesca, in quel giorno di ottobre: warum sind Sie hier? e che tutto sommato è una domanda assai più grave, non c’è che una sola risposta possibile. E’ qui perché non è altrove, perché non ha sentito la necessità di essere altrove. Perché non è libero.

da Il grande viaggio, Jorge Semprun, Einaudi, trad. Gioia Zannino Angiolillo

 

(libro consigliatomi dal libraio Federico Fantinel e rubato al librajo Dario Sutter)

fantasia sulla morte di un aspirante scrittore

 

 

disegni di Federica Salemi

 

la donna con la rivoltella dichiara:

un merito eterno nei confronti dell’umanità: non ho mai scritto un cattivo libro. (da Diario (1941-1943), Etty Hillesum, Adelphi);

– scrivere romanzi…un’etica profonda la dovrebbe vietar serenamente. (da Controcielo. Romanzo grottesco, Mauro Marè, All’Insegna del Pesce d’Oro)

anti-determinismo

Conosco un tavolo in una di queste baracche su cui di sera è posata una lanterna di vetro con una candela accesa, intorno siedono più o meno otto persone e quello è il cosiddetto “angolo dei bohémiens”. Se poi si fanno pochi passi fino al tavolo più vicino, intorno al quale sono anche lì sedute più o meno otto persone – forse l’unica differenza è che al posto della candela c’è qualche padellina sporca-, allora  è come se si entrasse in un mondo totalmente diverso.
Circostanze simili non sembrano produrre necessariamente persone simili.

da Lettere 1942-1943, Etty Hillesum, Adelphi

sulla scrittura

 

“oggi pomeriggio ho guardato alcune stampe giapponesi con glassner. mi sono resa conto che è così che voglio scrivere: con altrettanto spazio intorno a poche parole. troppe parole mi danno fastidio. vorrei scrivere parole che siano organicamente inserite in ungran silenzio, e non parole che esistono soltanto per coprirlo e disperderlo: dovrebbero accentuarlo, piuttosto. come in quell’illustrazione con il ramo fiorito nell’angolo in basso: poche, tenere pennellate – ma che resa dei minimi dettagli- e il grande spazio tutto intorno, non un vuoto ma uno spazio che si potrebbe piuttosto definire ricco d’anima. io detesto gli accumuli di parole. in fondo, ce ne vogliono così poche per quelle quattro cose che veramente contano nella vita. se mai scriverò – e chissà poi che cosa?-, mi piacerebbe dipinger poche parole su uno sfondo muto. e sarà più difficle rappresentare e dare un’anima a quella quiete e a quel silenzio che trovare le parole stesse, e la cosa più importante sarà stabilire il giusto rapporto tra le parole e il silenzio – il silenzio in cui succedono più cose che in tutte le parole affastellate insieme. e in ogni novella, o altro che sia, lo sfondo muto dovrà avere un suo colore e un suo contenuto, come capita appunto in quelle stampe giapponesi. non sarà un silenzio vago e inafferrabile, ma avrà i suoi contorni i suoi angoli la sua forma: e dunque le parole dovranno servire soltanto a dare al silenzio la sua forma e i suoi contorni, e ciascuna di loro sarà come una piccola pietra miliare, o come un piccolo rilievo, lungo strade piane e senza fine o ai margini di vaste pianure. è buffo: potrei riempire dei volumi su come vorrei scrivere, ma può darsi benissimo che a parte le ricette non scriverò mai nulla. però le stampe giapponesi mi hanno fatto capire a che cosa io aspiri, e mi piacerebbe camminare una volta attraverso paesaggi giapponesi, per capirlo ancor meglio. del resto credo che un viaggio in oriente lo farò, in futuro – per trovare in quei luoghi, vissute ogni giorno, quelle cose in cui qui ci si sente soli, in dissonanza.”

da diario 1941-1943, etty hillesum, adelphi