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Un occhio

Sul terrazzo un piccione moribondo
aveva scelto un angolo di muro
e stava rannicchiato mentre forse
credeva di volare e si sentiva
legato a una luce e a un filo d’aria
che muoveva le foglie nel ricordo vago

di lui si vedeva un occhio lento
che non misurava più nulla
ed era come un segreto che fermava
ogni cosa i volti i suoni
ciò che continuava intorno
l’arrivo ad ali aperte tra le foglie
che da sempre aspettano i ritorni

era là il piccione moribondo
ed il suo occhio lentamente andava
lontano dalla vista immediata
chiuso e aperto in un’incerta sorte
d’incomprensibili segni.

1989

Roberto Rebora

da POESIA – Mensile di cultura poetica, Anno III – Numero 28, Aprile 1990, p. 68

dalla Notizia Biografica (1910-1992) a cura di Giuliano Donati a p.71 dello stesso numero della rivista:

Nato a Milano. Suo padre, Mario, era fratello di Clemente Rebora. Ha compiuto studi irregolari e presto abbandonati. Ha poi iniziato, sempre nel capoluogo lombardo, a svolgere diversi lavori, tra cui quello di magazziniere dei carboni all’Officina del gas della Bovisa e di produttore di pubblicità per la Olivetti. Undici anni della sua vita sono trascorsi in servizio militare, terminato con il campo di concentramento dal 1943 al 1945 in Polonia e in Germania. Tra i seimila prigionieri di Wietzendorf ebbe modo di incontrare il filosofo Enzo Paci, il pittore Giuseppe Novello e il giovane comunista Alessandro Natta. Tornato in Italia iniziò la sua collaborazione a giornali e riviste come critico teatrale. Per circa vent’anni si occupò della Scuola del Piccolo Teatro. (…)

che cosa è reale?


foto di Milo

Ho ancora un vivido ricordo dello schock che provai al mio primo incontro con il concetto dei molti mondi. L’idea di 100¹°°+ copie leggermente imperfette di me stesso che si dividono costantemente in altre copie, che alla fine diventano irriconoscibili, non è facile da riconciliare con il senso comune. Questa è schizofrenia a oltranza.

Bryce DeWitt a proposito della Interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica di Hugh Everett III

14 aprile 1956

L’orizzonte che vedo è limitato dal mio sguardo e sfuma dal centro verso i confini del mio occhio, ma non per questo io dubito di altri orizzonti, quelli che so che potrei vedere voltandomi o guardando da altre posizioni. Orizzonti che sono sempre presenti nella stessa percezione dell’orizzonte che ora vedo e senza i quali esso non sarebbe quello che è, orizzonti che non solo posso e potrò raggiungere ma anche che non posso più o non potrò mai raggiungere. In ciò che io ora percepisco sono innestati altri tempi e passati irrecuperabili, che fanno il presente che si apre al futuro. Il presente vive del passato che muore e non può far morire che un passato realmente esistito.

dalle pagine del 28 marzo 1958

Esperienza e visione razionale sono infinite come infinito è il passato e infinito l’avvenire: l’infinito ci circonda come qualcosa di potenziale e di oscuro e vive tuttavia nella concretezza del nostro tempo finito. Questa suggestione derivata da Husserl è organica e orientata: da questo punto di vista non è priva di analogie con la prospettiva filosofica di Whitehead. Oggi so come, anni fa, avrei dovuto scrivere su Whitehead.
Il feeling di Whitehead è la Lebenswelt. Nel feeling l’universo non si chiude in una teoria compiuta. Si attua in un processo, nella storia delle varie vite, in ogni interrelazione degli eventi nel tempo. Le cose diventano monadi aperte, nel passato e nel futuro, collegate ad infinite altre monadi. Queste monadi, proprio perché sono centri spazio-temporali, non monadi chiuse, si intersecano e si incontrano. Socialità di eventi che si relazionano con altri gruppi di eventi nel tempo e nello spazio. L’intenzionalità di Husserl è analoga al sentimento estetico di Whitehead.

da Diario fenomenologico di Enzo Paci, Il Saggiatore

 

Che cosa è reale?

 

“Per Everett la risposta è: l’unica entità fisica reale è la funzione d’onda. Il prezzo di questo monismo è il problema della base privilegiata. Poiché la funzione d’onda di un sistema composto si può rapprensentare in tanti mondi diversi, l’applicazione delle idee di Everett a generi diversi di rappresentazioni suggerisce che la medesima funzione d’onda contiene non solo molte storie, ma anche molti generi diversi di storie. Questo conduce a un’intepretazione dei molti mondi

“Io (Julian Barbour) rispondo: le configurazioni”

da La fine del tempo, Julian Barbour, Einaudi

 

 

milano, 12 aprile 1956

Noi e le cose siamo legate da un misterioso piacere, “ce plaisir special” di cui parla Proust a proposito dei campanili di Martinville. “En constatant, en notant la forme de leure flèche, le déplacement de leurs lignes, l’ensoleillement de leur surface, je sentais que je n’allais pas au bout de mon impression, que quelche chose était derrière ce mouvement, derrère cette clarté, quelche chose qu’ils semblaient contenir et derober à la fois.”
Non qualcosa “dietro”, ma qualcosa che si è occultata o che si è sedimentata e che bisogna ora disoccultare, nel presente, per l’avvenire. tutta la nostra vita, come presenza evidente, è il risvegliarsi e il chiarirsi del passato: è temps retrouvé. La verità che dormiva si trasforma, diventa verità tipica, figura essenziale. ma continua, risvegliandosi, a cercarsi, a correggersi nelle reciproche relazioni che la costituiscono, a cercare un compimento, un telos.

da Diario fenomenologico, Enzo Paci, Il Saggiatore

14 agosto 1958

La spiaggia è un teatro di innnumerevoli figure alla Bosch. Gambe, pance, seni, sesso. Corpi avvizziti e deformati dalla vecchiaia, volti che assomigliano a tutte le specie animali. Umanità nuda che sa di carnaio. Quasi tutti i vizi sembrano rappresentati in questo o quel tipo. Ogni corpo ha una sua storia, un suo dramma: spesso è una caricatura grottesca. Certo si potrebbe anche dire che si vedono delle belle donne e degli uomini belli. Eppure hanno qualcosa di artificiale e di costruito. L’occhio cerca, invano, finché si posa sui bambini nei quali la vicenda umana si rinnova per riprendere tenacemente il cammino nnostante la tristezza, il grottesco, il diabolico.
Una piccola francese di quattro anni. Corre in acqua appena può e dopo ogni bagno si addormenta. Reagisce immediatamente a qualsiasi stimolo, buono o cattivo. Piange e ride. I suoi occhi sono di un azzurro vorace, quasi aggressivo.
Senso della vita che si rilancia: intenzionalità. Il processo vivente non avanza mai come una scala, un gradino dopo l’altro. è una curva che tocca un massimo e poi discende, si depaupera, si disgrega. Momenti nei quali ogni essere vivente, ogni civiltà, toccano il meriggio nell’aspirazione alla propria essenza.
Negli occhi dei bambini c’è la purezza del vento del martino sul mare: dell’orizzonte aperto al possibile.

da Diario fenomenologico, Enzo Paci, Il Saggiatore