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Autonomia e aggressività

(…) ogni movimento di distacco e di autonomia si accompagna al sorgere di insopportabili angosce di distruzione dell’altro e, correlativamente, di se stesso.

Ci si può chiedere come mai si verifichi questo fatto. La prima spiegazione è che la spinta all’autonomia in un essere appartenente (parzialmente) a un altro implica di per sé, ipso facto, un atto violento, una vera e propria frattura. Non è necessario postulare alcuna particolare accentuazione, innata o acquisita, dell’aggressività. Si potrebbe anzi sostenere che l’aggressività – intesa a questo punto, in primo luogo, come spinta all’autoaffermazione – è qui singolarmente scarsa, visto che il bambino è rimasto fissato al rapporto di appartenenza, vale a dire a un rapporto di sicurezza passiva, di delega ad altri delle proprie responsabilità. In queste condizioni, la spinta all’autonomia significa veramente un evento traumatico, qualcosa che suona come reale minaccia di morte.

Ma tale spinta non basta forse a chiarire il fatto che la minaccia di morte riguarda in primo luogo l’altro. Per Freud, vi è all’origine della nevrosi ossessiva un desiderio di morte dell’altro, che viene sostituita successivamente dall’angoscia per la sua morte. Siamo dunque nell’ambito di una vicenda puramente pulsionale, che rimanda tutt’al più a una determinazione costituzionale, organica, della pulsione stessa. Il postulato che abbiamo indicato riconduce invece essenzialmente di una rete costitutiva, una rete interpersonale di rapporti e desideri.

Ora, dal momento che l’essere debole è in realtà il bambino, il suo movimento di distacco dovrebbe comportare in primo luogo, o prevalentemente, angosce di distruzione di sé, piuttosto che di distruzione dell’altro.
Si potrebbe fare la seguente ipotesi. Per avviare il processo di separazione, il bambino deve qui basarsi, in misura molto superiore alla media, su una sua identificazione con la figura onnipotente. Proprio perché egli è parte di lei, per tentare di staccarsene, egli diventa lei, diventa figura onnipotente. Ma in questo scambio di ruoli si attivano angosce persecutorie precedenti, legate alla paura di perdita di questa figura. Infatti, nella situazione di base che abbiamo postulato, ogni interruzione del rapporto da parte di chi si cura del bambino deve determinare il sorgere di un’aggressività violenta che, proiettata sull’adulto, diventa timore della sua aggressività. Abbandonando anche per un momento il bambino, l’adulto si trasforma in un suo attivo persecutore. Ora, nel momento in cui il bambino, per distaccarsi, assume la figura dell’adulto, egli diventa contemporaneamente il persecutore dell’adulto-bambino. Ecco quindi che il movimento di autonomia si accompagna regolarmente al sorgere di angosce di morte dell’altro.

Si crea in definitiva una posizione d’indecidibilità, un’aporia senza soluzione possibile. Rimanere nella situazione di appartenenza delineata, significa avere un’identità, ma appena accennata, correlativa e dipendente da quella figura onnipotente, Proprio per questa debolezza, è costante il pericolo – e la tentazione – di un riassorbimento nella posizione fusionale precedente. Tentare di uscire da questa posizione per crearsi un’identità propria, indipendente, implica il rischio di distruzione del rapporto con la figura onnipotente e quindi l’affiorare di una situazione di isolamento, di solitudine colpevole, con immediato pericolo di annientamento. La posizione di appartenenza e partecipazione al polo onnipotente della diade, costituisce quindi l’assicella sospesa su due abissi antitetici: l’adeguazione totale alla figura adulta, con scomparsa di sé, e l’autonomia totale da essa, con analogo pericolo immediato.
Sospeso su questa assicella, il bambino rimane immobile, e in questo modo è sfiorato, non però pervaso, dalle angosce che ogni movimento gli procura. Se prevale infatti lo spostamento in direzione di una più intima fusione con la figura onnipotente, sorge subito il problema della perdita della propria identità che, per quanto limitata e dipendente, è però ben presente. A questo punto si formano caratteristiche angosce di annullamento infantili e si pongono le premesse dei futuri quadri di cosiddetta “depersonalizzazione”. Se il movimento prosegue, compaiono angosce di persecuzione in senso stretto: l’aggressività del soggetto, scatenata dalla accresciuta pervasività della figura adulta, si fa senso di immediata aggressività da parte di questa, proprio per la comunicazione esistente ai due poli del rapporto.
Se al contrario, prevale il tentativo di autonomia, sorgono come si è detto le angosce di distruzione dell’altro, con conseguente senso di colpa. Si profila la depressione. Se il senso di colpa viene erotizzato, ne deriva quella condizione di “masochismo psichico” (…).

da La freccia ferma. Tre tentativi di annullare il tempo, Elvio Fachinelli, Edizioni L’Erbavoglio, 1979 (pp.84-86)

Appunti per Capsula petri n.21

Era interessante notare il modo, anch’esso ripetitivo, con cui Andrea cercava di evitare nella realtà l’insorgere di qualsiasi attrito con me – o almeno questa era la mia impressione. Era dotato di una notevole sensibilità, me ne accorsi ben presto, e coglieva con acutezza minime variazioni che intervenissero in me o nell’ambiente dell’analisi. Tali prese di realtà, diciamo così, sembravano servirgli per confermare uno stato di familiarità affettuosa, di solidarietà piena anche se verbalmente inespressa. Una volta notò che i miei pantaloni, come i suoi, non erano stirati. Ciò era in contrasto con la figura di un analista molto formale e distante (e ovviamente in doppio petto…) di cui mi aveva parlato recentemente e che a tutti i costi non doveva farsi avanti nel suo rapporto d’analisi. Un’altra volta avvertì un profumo di mandarini (che infatti avevo mangiato nell’intervallo seguito alla seduta precedente): questo gli confermò abitudini dimesse, casalinghe, oltre a golosità infantile in un personaggio che cominciava a presentare tratti di differenza e di estraneità. Era chiaro insomma che egli sfruttava ogni piccola variazione reale per garantirsi una relazione di profonda comunanza con me. Nel momento in cui tale movimento divenne chiaro a entrambi, fu vissuto anche con disagio, con il timore da parte sua di riuscire appiccicoso o di essere soffocato, perché in questo modo, diceva, ripeteva i suoi più antichi legami familiari. Ma era però la spinta più forte.

da Claustrofilia, Elvio Fachinelli, Adelphi

claustrofilia e concentrazione – telepatia perinatale e empatia

Appunti per Capsula Petri n.20


(…) il territorio della mistica. Non la religione istituita. Ma la mistica come regione irriducibile, inassimilabile, refrattaria alla religione stessa. Apex mentis. Mistica che è nello stesso tempo rapporto percettivo, percezione possibile ad alcuni, se non comune a tutti (…) .

Le cose che vengono da un’ altra parte: come un accento improvviso che muta, che sposta l’intera figura.

(…)

Qui, sulla spiaggia, mi succede qualcosa di insolito. Improvvisamente, vedo l’affinità tra ciò che mi è affiorato in un lampo, semplice trovata, pensiero sintetico venuto da un’altra parte, e il processo dell’invenzione – scientifica o non scientifica. Perlomeno in alcuni casi.
E’ l’improvvisa comparsa di un materiale organizzato, coerente, a partire da frammenti; a partire, spesso, dalla disperazione di riuscire in un compito consapevole.
Dunque non importa l’àmbito della scoperta – scientifica, artistica, d’altro tipo; né la sua ampiezza. Importa quel movimento chiaro, netto – sempre lo stesso?-, che mette a posto, ordina, dà forma, e insieme inonda di gioia e certezza.

(…)

Come scrivere tutto questo? Vento sulla fronte, rombo del mare, luce, torpore, pensiero dell’accettazione, gioia, gioia con senso di gratitudine, verso chi?

(…)

Necessario silenzio assoluto, solitudine. Come in una camera anecoica, dove si avverte solo il proprio respirare, pulsare.

(…)

Non meditazione né raccoglimento. Accoglimento.

(…)

Un tempo senza centro, vibrante.
Accogliere chi? Un ospite – interno.

da La mente estatica, Elvio Fachinelli, Adelphi