S’era concesso due intere giornate di libertà sotto il pretesto di rimettersi dagli strapazzi passati, di prepararsi a quelli futuri, e di battere un’ultima volta la città alla ricerca di librerie sconosciute. I suoi pensieri erano lieti e tranquilli, lui seguiva passo passo la rinascita della sua memoria, trascorreva le prime vacanze che si fosse spontaneamente concesso dai tempi dell’università in compagnia di una creatura devota, di un amico che teneva in grandissimo controllo il cervello – come era solito dire lui invece di istruzione – senza peraltro mostrarsi importuno; che portava con sé una biblioteca di notevoli dimensioni, senza aprire abusivamente uno solo dei libri che si struggeva di leggere, deforme e per sua stessa confessione cattivo camminatore, eppure abbastanza robusto e tenace da far buona prova di facchino. Poco mancava che Kien cedesse alla tentazione di credere nella felicità, questa spregevole meta degli analfabeti. Quando essa viene da sola, quando non la si rincorre e non la si tiene stretta a forza e la si tratta con un certo distacco, si può tranquillamente sopportarne la vicinanza per un paio di giorni.
da Auto da fé, Elias Canetti, Garzanti, trad. di Luciano e Bianca Zagari