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i miei nuclei di condensazione

In tutti i tempi sono sorti uomini eccezionali

(…)

Perché i santi hanno così degli imitatori, e perché i grandi propagatori di bene hanno trascinato dietro di sé folle? Essi nulla domandano, e tuttavia ottengono. Non hanno bisogno di esortare; non hanno che da esistere: la loro esistenza è un richiamo. Tale infatti è il carattere di quest’altra morale. Mentre l’obbligazione naturale è pressione o spinta, nella morale completa e perfetta c’è un richiamo.
La natura di questo richiamo l’hanno conosciuta interamente solo coloro che si sono trovati in presenza di una grande personalità morale; ma ciascuno di noi, in momenti nei quali le sue massime abituali di condotta sembravano insufficienti, si è domandato che cosa quel tale o quel tal altro avrebbe atteso da lui in simile occasione. Questo poteva essere un parente, un amico, che evocavamo così col pensiero; ma poteva anche essere un uomo che non avevamo mai incontrato, di cui ci avevano semplicemente raccontato la vita, e al giudizio del quale sottomettevamo allora, in immaginazione, la nostra condotta, temendo da lui un biasimo, fieri della sua approvazione. Poteva anche essere, tratta dal fondo dell’anima al lume della coscienza, una personalità che nasceva in noi, che sentivamo capace di invaderci interamente più tardi, e alla quale volevamo attaccarci per il momento come fa il discepolo con il maestro.

da Le due fonti della morale e della religione, Henri Bergson, SE Studio Editoriale, trad.di Mario Vinciguerra

configurazione mergnanese

 

Ai disturbi della memoria, infatti, sono legate le intermittenze del cuore. è sicuramente l’esistenza del nostro corpo, simile per noi a un vaso in cui fosse racchiusa la nostra spiritualità, a farci supporre che tutti i nostri beni interiori, le nostre gioie passate, tutti i nostri dolori, siano perennemente in nostro possesso. Forse, è altrettanto inesatto credere che se ne vadano e ritornino. In ogni caso, se rimangono dentro di noi, rimangono per la maggior parte del tempo in una regione sconosciuta, dove non ci sono di alcun giovamento e dove anche i più usuali vengono ricacciati indietro da ricordi di diversa natura, che escludono ogni simultaneità con essi all’interno della coscienza. Ma non appena si ricostruisce la cornice di sensazioni in cui si sono conservati, essi acquistano a loro volta il medesimo potere d’espellere tutto quanto sia incompatibile con loro, installando in noi, solitario, l’io che li ha vissuti.

(…)

L’io che io ero allora, e che da tanto era scomparso, m’era di nuovo così vicino che mi sembrava ancora di sentire le parole pronunciate subito prima e che, tuttavia, non erano più che un sogno, così come un uomo non ancora ben desto crede di percepire proprio accanto a sé i rumori del suo sogno che svanisce.

da Sodoma e Gomorra- Le intermittenze del cuore, Marcel Proust, Mondadori, trad.di Giovanni Raboni

configurazione sinigagliese

 

Un’estate di bassi fondali
un inverno di gradini
dov’è che vorresti salire?
scendi al riparo dai mali.

La pioggia allaga il piazzale
congiura nelle mie scarpe
ecco distanza e profondità
freddo l’ascensore risale
mai che l’angoscia si affidi
che il lampadario s’infogni.

Ma è una serie di sogni
che mulina cangiante
è l’ombra mancante
al vetro illuminato
è l’acqua smarrita
nello scheggiato bicchiere
la nottola collocata dentro un milione di sere.

da Il bene materiale, Paolo Febbraro, Scheiwiller

configurazione monegliese

 

Passato, futuro, ora, giorno, mese, anno: sono tutt’uno per me. Le varie fasi dell’infanzia e della maturità sono per me nient’altro che parole inutili. Significano qualcosa solo per la gente comune, per la marmaglia-sì, questa è la parola che cercavo- la marmaglia, per cui la vita, come l’anno, ha i suoi periodi definiti, le sue stagioni, e si inserisce nella zona temperata dell’esistenza. Ma la mia vita ha conosciuto sempre una sola stagione e un solo modo di essere.

da La civetta cieca, Sadègh Hedayat, Feltrinelli

avvento

 

 

Ascolta, ascolta: la poesia
non ha, dell’uomo, soltanto la musica. Anche la morte
la poesia ha. E il cuore, gli estri. Quali epopee
in questi riti! Volevo
chiedere dove va il mondo. Perché siam qui,
cosa facciamo.
Siamo andati, stamani, tra i cipressi,
ammaccati di nubi, del Verano. I corpi stan lì,
le teste dei morti ci guardavano,
si voltavano le teste dei morti.

Forse,
avrebbero voluto tornare nell’aria
e vedere come finisce la storia
dell’uomo che sarà vivo per ultimo
eppoi, insieme, dove andremo in taboga.

da Le poesie, di Marcello Landi, Editrice Nuova Fortezza, 1982, introvabile e inspiegabilmente (senza immaginare un sortilegio) trovato dal librajo Dario Sutter

il dibuk

foto di Ribes Sappa

 

Il Messaggero (con grande calma e chiarezza)

Le anime dei morti tornan quaggiù, ma non spiriti eterei, senza più corpo, come avverrà quando avran raggiunto l’alta purezza! La colpevole anima assume aspetti bestiali o s’imprigiona entro la dura scorza o nei rami contorti degli alberi. O dei novelli nati nelle gracili forme si rifugia.

Leah

Ah, parla, parla ancora!

Il Messaggero

Ed ogni maledetta anima errante che non trova riposo, del corpo altrui talora s’impossessa, ed in quel corpo, alla fine, si purifica. Ciò si chiama “dibuk”!

da Il Dibuk leggenda drammatica in un Prologo e tre Atti, di Scialom An-Ski, riduzione di Renato Simoni per la musica di Ludovico Rocca, G.Ricordi e C.Editori Milano, 1934