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vecchie soglie


Jan Saudek

Vecchie soglie di porte infracidite
che non s’aprono più; il mendico stanco
vi si sdraiò attendendo l’elemosina;
la servitù sonnecchiava
i giorni di vacanza;
vi sostavano gli amanti
a succhiarsi la bocca
l’ultima volta, prima del distacco;
sopra le pietre versava
il vino conviviale
in onore dell’ospite,
si sfogliavan le rose
in omaggio agli sposi.
Chi andava al camposanto
si fermava a salutare
per sempre la sua casa
i suoi beni che abbandonava.
Adesso con le pietre in coltello
che il gelo sgretola e marcisce l’acqua
che sgocciolan le gronde arruginite
tutto l’autunno, guardan su cortili chiusi
su orti cinti da muraglie che ricopre
la verde gelatina dei licheni.
Sopra, d’estate, al tempo del frumento
qualche lucciola grave di rugiada
fa lume a un triste gallo canterino
che non si stanca mai di divulgare
quanti sono a compor la sua famiglia.
Vi vengono al riparo della pioggia
i bei pavoni con gli arcobaleni
delle lor code ripiegati ed i tacchini
con le loro pesanti e rustiche
decorazioni di corallo;
vi oziano i gatti bianchi al sole;
v’aprono i loro ombrelli avvelenati
i funghi e i ciclamini
espongon lì d’intorno
lor corone di sè in esiglio.

Dopo una vita fantastica e breve
mute e deserte tornano le soglie;
il pietoso Natale le raccoglie
sotto i bianchi sepolcri della neve.

da Poesie elettriche, Corrado Govoni, Quodlibet