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Il cianciatore

Chiudi gli orecchi, amico, e dal torrente
Di rovinose e rapide parole
Difenditi, se puoi: sento che giunge
Il garrulo Alcimon. Odi già come
Fuor de la soglia ancor da lungi grida
Con alta voce, e a le atterrite orecchie
Dà de l’arrivo suo non dubbio avviso.
Sì paziente timpano o sì forte
Non v’è, che un’ora a la incredibil regga
Strana loquacità. Dovunque ei giunge,
Entrato appena, interroga e risponde
Tutto egli solo: e mille cose ei chiede,
Di mille s’informa; logico ragiona,
Storico narra, ed orator perora:
Né fiato prende: e se altro a dir non resta,
Ripete ancora; e senza posa ei parla.
Ognun l’incontro ne paventa, e schiva
D’essergli appresso. Misero colui
Ch’ei coglie incauto. Ei si contorce invano
De le parole al diluviar dirotto;
Ché forza è pur che suo malgrado ascolti:
Qual pellegrin che per deserta via
Colto a l’aperto da improvvisa pioggia,
Ricovra al tronco di ramosa quercia,
E, in se ristretto e rannicchiato, aspetta
Che passi, o scemi il tempestoso nembo.
E qual por freno a l’impeto che il porta?
Digli che taccia: ei non t’ascolta. Parla
Tu stesso: ei grida, e ti sopprime. Dormi:
Egli segue a parlar. Svégliati: e il trovi
Che parla ancora; e con perpetuo suono
Ti senti intorno l’instancabil voce.
Come notturno svegliarin se scocca
L’interno gioco, al turbinoso giro
De la veloce sprigionata ruota,
L’elastico martello il cavo seno
Cedere batte del sonoro bronzo;
Onde, a i colpi frequenti, e quai di densa
Grandine spessi, dal percosso orecchio
Rapido fugge e spaventato il sonno;
Tal non mai ferma la sua lingua o muta,
Di molle sembra artifizioso ordigno,
E sì ruota volubile e sonora,
Che il capo introna, lo stordisce e assorda,
E, con le mani ne gli orecchi, sforza
A cercar scapo con la fuga altrove.
Ma fuggi indarno; ch’ei t’incalza, e dove
Non giunge il passo, alza la voce, e parla
Fin che ti vede; e poiché sol rimane,
A parlar segue; e di parlar contento,
Poco si cura poi che alcun l’ascolti.
Cosa ne la natura ei non abborre
Quanto il silenzio; né a null’altro nacque
Fuor che a parlar. Parlando visse, e vuole
Parlar morendo, e ne la tomba ancora
Continuando de la lingua il moto,
Di franger spera il ferreo sigillo
Che morte al labbro taciturno imprime.

dalle Conversazioni di Clemente Bondi nel volume dedicato alla poesia della Crestomanzia italiana di Giacomo Leopardi

I beni umani

No il posseder, ma lo sperare alletta
L’uom; che nel senso e ne l’idea d’un bene,
Sempre trova minor quello che ottiene,
Finge sempre maggior quello ch’aspetta.

Mesto può fare un cor gioia perfetta,
Se è tal, che di maggior tolga la speme:
Se non lusinga l’avvenir, già sviene,
Nato appena, il piacer che ora diletta.

Per prova il so. T’amai, d’essere amato
Presi lusinga; e il tuo futuro amore,
Sperato solo, mi facea beato.

M’amasti; il seppi: ah che in quel sol momento
Sì esaurì la natura; e or langue il core,
Fatto incapace di un maggior contento!

 

Clemente Bondi, dalla Crestomanzia italiana di Giacomo Leopardi