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Subordinando la varietà a un unico nome, a un’unica dicitura generica, si sabota l’esistenza stessa di ogni singola persona

Walter Benjamin scrive in un racconto: “Sull’isola esistono, a quanto si dice, diciassette tipi di fichi. Bisognerebbe conoscerne il nome, osserva tra sé e sé l’uomo che cammina sotto il sole”(1). Ogni specie di fico è quindi unica, non interscambiabile. Tale singolarità impedisce di dare un solo nome a queste diciassette specie di fico. Il termine generico elimina l’individualità, la specificità dei nomi propri. Per via di tale singolarità ogni specie di fico ha un proprio nome, un nome proprio: merita di essere chiamata, invocata con questo nome. Come se il nome fosse un codice istantaneo capace di garantire l’accesso all’essenza, all’essere, come se solo tramite il nome proprio l’atto di chiamare e invocare raggiungesse la propria essenza. Subordinando la varietà a un unico nome, a un’unica dicitura generica, si saboterebbe l’esistenza stessa di ogni singola specie di fico. Si può invocare solo il singolare. Chiamare, invocare il nome proprio è la chiave per esperire in prima persona quella particolare specie di fico. Per l’esattezza, non è una questione di conoscenza, di evocazione. L’oggetto di un’esperienza autentica, cioè dell’invocazione, non è il generico bensì il singolare. Solo questo consente di imparare confrontandosi.

citato in Elogio della terra (Nottetempo, nella trad. di Simone Aglan-Buttazzi), da Todesarten. Philosophische Untersuchungen zum Tod, Byung-Chul Han, Wilhelm Fink Verlag, 1998

1) Walter Benjamin, “Sotto il sole”, in Opere Complete – Vol.5 – Scritti 1932-1933, a cura di E. Ganni, trad. it. di G. Schiavoni, Einaudi, 2003

E quindi, subordinando la varietà a un unico nome, a un’unica dicitura generica, si sabota l’esistenza stessa di ogni singola persona, perché la si priva di realtà.

Alla fine di una giornata di autocandidature come data entry

La lingua trasparente è una lingua meccanica, funzionale, priva di qualsiasi ambivalenza. Il diktat della trasparenza annulla ciò che è vago, opaco, complesso. Contare è più trasparente che raccontare, l’addizione è più trasparente della narrazione. Al contrario delle narrazioni, si sa, i numeri non sanno di niente. La trasparenza priva anche il tempo del suo profumo. Il tempo trasparente è inodore, è un tempo senza eventi, senza narrazione, senza scene. Se il tratto narrativo scompare dal tempo, quest’ultimo si riduce a mera sequenza di un presente episodico e atomizzato. Anche la memoria in questo senso non è trasparente a se stessa in quanto, al contrario di un archivio che opera in chiave unicamente additiva, presenta una struttura narrativa. Per via della loro storicità e narratività, le tracce di memoria sono sempre subordinate a un processo di rielaborazione e riordinamento, mentre i dati salvati restano uguali a se stessi.

p.148, Topologia della violenza, Byung-Chul Han, Nottetempo, trad.di Simone Buttazzi

Malinconia e la tua depressione

Freud intende la malinconia come la relazione distruttiva con quell’Altro che mediante un’identificazione narcisistica è stato interiorizzato come parte del sé. In tal modo i conflitti originari con l’Altro vengono interiorizzati e trasformati in un rapporto con se stessi che porta all’impoverimento dell’Io e all’autoaggressione. Alla base della malattia depressiva dell’odierno oggetto di prestazione non vi è al contrario alcun rapporto conflittuale o ambivalente con l’altro. Non vi è alcuna dimensione dell’Altro.

La malinconia scaturisce da una perdita. Quindi resta in una relazione, ovvero in una relazione negativa con l’assente. La depressione, al contrario, è scollegata da qualsiasi relazione o legame. Le manca la forza di gravità.

Il lutto emerge quando si perde un oggetto dotato di una forte carica libidica. Chi è in lutto resta completamente presso l’amato Altro. L’Ego tardo-moderno utilizza gran parte dell’energia libidica per sé. La libido residua viene distribuita e diffusa tra un numero crescente di contatti e di relazioni effimere. Rimuovere dall’Altro questa libido così debole, occupando nuovi oggetti, è quanto di più facile esista. Allora la lunga e dolorosa “elaborazione del lutto” non è più indispensabile. Gli “amici” sui social network hanno soprattutto la funzione di incrementare il senso narcisistico del sé, offrendo attenzione – in quanto consumatori- all’Ego esposto come una merce.

da Topologia della violenza, Byung-Chul Han, Nottetempo, a cura di Simone Buttazzi

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(…) E allo stesso tempo comprende perché Elus non sia più Elus: perché questo corpo morente non risveglia più nulla in lei. Perché non la riconosce. Perché lei non suscita più nulla in lui. Perché è preso dalla propria sofferenza, che lo riempie interamente. Perché non la vede. Si può davvero amare solo se stessi? (…)

Chris Marker tradotto da M.M.

You’ve lost your history…

… this is why Benice becomes Mimi, and so on down to …

Secondo Freud il dolore è sintomo di un blocco nella storia di una persona. Per via di questo blocco il paziente non è in grado di proseguire con la propria storia. I dolori psicogeni sono espressione di parole sepolte, rimosse. La parola si fa concreta. La terapia consiste nel liberare la persona da questo blocco rendendo di nuovo fluida la sua storia. Il dolore di Monsieur Teste è una “cosa”, un “terribile oggetto”. Si sottrae a qualsiasi narrazione.

(…)

Il dolore insensato è possibile solo in una vita nuda, spogliata di senso, che non racconta più.

(Byung-Chul Han, La società senza dolore, Einaudi, Stile Libero Extra, 2021, pp.30)