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appunti per Trentasei e dieci vedute n.4

Bruno Illich

Gertrude Stein riesce notoriamente a sconvolgere i canoni fondamentali del genere autobiografico. Scrivendo l’Autobiografia di Alice Toklas, ella infatti contravviene alla regola elementare per cui il protagonista di un’autobiografia ne è anche l’autore. Nel libro in questione tale coincidenza salta. Come annuncia il titolo, Gertrude Stein scrive e firma l’autobiografia di un’altra, ossia l’Autobiografia di Alice Toklas, dove Alice parla in prima persona.

(…)

L’Autobiografia di Alice Toklas è dunque un’autobiografia di Gertrude Stein, scritta da Gertrude Stein, dove Gertrude medesima compare però nel testo come un personaggio narrato da Alice. Il gioco della finzione può anche essere formulato diversamente. Si può infatti anche dire che, nell’Autobiografia di Alice Toklas, Alice stessa, pur figurando nel ruolo autobiografico della prima persona, viene tuttavia a svolgere il ruolo della biografa di Gertrude Stein. Insomma, la finzione è complessa e divertente proprio perché è esplicita. Il genere autobiografico e quello biografico si sovrappongono.

da Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, di Adriana Cavarero, Feltrinelli

Termometria

A una certa tenera età, ho forse sentito una voce, un contralto profondamente commovente…

Questo canto dovette mettermi in uno stato di cui nessun oggetto mi aveva mai dato l’idea. Esso ha impresso dentro di me la tensione, l’attitudine suprema richiesta, senza offrire un oggetto, un’idea, una causa (come fa la musica). E io senza saperlo l’ho assunto come misura degli stati e ho mirato, per tutta la mia vita, a fare, cercare, pensare quel che avrebbe potuto direttamente riprodurre in me, esigere da me – lo stato corrispondente a quel canto fortuito; – la cosa reale, introdotta, assoluta il cui incavo era stato preparato fin dall’infanzia da quel canto – dimenticato.
Il caso vuole che io sia forse graduale. Ho l’idea di un massimo di origine nascosta, che aspetta ancora dentro di me.
Una voce che scuote fino alle lacrime, alle viscere; che funge da catastrofi e scoperte; che riesce a spremere, senza incontrare ostacoli, le mammelle sacre/ ignobili/ dell’emozione/ stolida; che in un modo artificiale, di cui il mondo reale non ha mai bisogno, risveglia degli estremi, insiste, rimesta, annoda, riassume eccessivamente, sfibra gli organi della sensibilità, …svaluta le cose osservabili…La si dimentica e non ne resta che il sentimento di un grado al quale la vita non potrà mai avvicinarsi. (1910)

da Quaderni. Volume Primo – Ego, Paul Valéry, Adelphi, trad.di Ruggero Guarini