
Non bisogna credere alle malsane suggestioni di chi pensa che il momento scientifico e creativo della cultura è caratteristico del professore universitario, e del professore medio il momento diffusivo. Di fronte a una scuola che sta diventando – che vogliamo diventi – scuola di tutti, non possiamo accettare queste distinzioni. Diffondere la cultura non è solo un fatto di distribuzione!
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e sappiamo come sia facile che essa poi si risolva in mera apparenza; la sensazione di parlare a un pubblico già preparato, a un lettore provveduto, permette una evasione dal concetto attraverso le parole, permette accenni saputi e strizzatine d’occhio, e ‘te lo dico a te che tanto lo sai'; e in questa situazione viene a mancare proprio il controllo dal basso, quel limite essenziale alla nostra libertà di espressione che è la necessità di farsi capire; che porta all’esemplificazione, all’approfondimento, alla chiarezza.
Quale maggior controllo che aver davanti quaranta ragazzi che ti guardano in sospettoso silenzio mentre tu declami: a egregie cose il forte animo accendono? Tu vedi solo le facce dei primi banchi, gli altri sono abilmente defilati, immobili. Via via i sederi – quei sederi che indicavano all’Alfieri i passi sbagliati delle sue tragedie – si muovono a disagio sui banchi.
Ma se la lezione va bene, vi è nella classe un silenzio pieno di senso, un tesa immobilità: tutte le teste sono in vista, appaiono una dopo l’altra come lumachine che tirino fuori le corna, si spostano per vederti in faccia; ogni tua affermazione, ogni domanda, è commentata da mani che si alzano: i ragazzi discutono e lottano con te e col testo per far propria l’opera che tu stai studiando con loro.
Quale arricchimento alla comprensione di un testo ci deve venire dai nostri scolari! E per questo, quale disponibilità continua, quale apertura della nostra mente e della nostra cultura vi deve essere verso di loro!
da Quando s’insegna Dante, Bruna Cordati Martinelli, Nistri-Lischi