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Leva dunque, lettore, all’alte rote meco la vista

Leva dunque, lettore, all’alte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l’un moto e l’altro si percuote;

e lì comincia a vagheggiar nell’arte…

Cosa significherebbe per Dante la contemplazione dell’ordine universale, se non potesse chiamare altri uomini – tutti gli uomini, ch’egli vede come suoi lettori –  a guardare, a godere con lui, seguendo l’autorità e la perentorietà del suo cenno?

da Come s’insegna Dante, Bruna Cordati, Nistri-Lischi

è in quest’ambiente di fervore… l’amore

Come nell’acqua un cerchio altri ne muove,
amore tali addizioni può avere
che fanno un solo cielo come sfere,
tutte concentriche a te.

da Crescita dell’amore, John Donne (trad. Patrizia Valduga)

è in questo ambiente di fervore, di gioia, di fiducia, che comincia il racconto del cielo del Sole, e che comincia quella che sarà, a parer mio, la caratteristica fondamentale di questo racconto: il continuo movimento, un movimento a danza, circolare  e lento, continuamente – e, sempre in modo diverso – descritto da Dante; sì che il lettore abbia, attraverso ognuna di queste descrizioni, ognuno di questi rapidi richiami e paragoni, il sentimento profondo che il ritmo della danza corrisponde a uno stato d’animo di intima gioia e serenità.
è appena apparsa la prima corona di beati, simile all’alone lunare; si è appena girata attorno a Dante e a Beatrice mettendoli al centro di una danza in tondo – e il loro improvviso e intento fermarsi è fissato in questa immagine che sembra colta a volo primo che si posi, tanta è la leggerezza e la sua forza, insieme, di movimento; con tanta grazia e perizia lo slancio di tutta la terzina si appoggia sull’accento sdrucciolo di ‘tacite’, dividendo ritmicamente in due l’intera immagine:

Donne mi parver, non da ballo sciolte,
ma che s’arrestin tacite, ascoltando
fin che le nove note hanno ricolte;

e la grazia generosa di queste anime che desiderano danzare, e desiderano insieme fermarsi e parlare con Dante e farlo felice, è ripresa e sottolineata dalla prima immagine del discorso di Tommaso:

in libertà non fora,
se non com’acqua ch’al mar non si cala:

così naturale è per noi rinunciare a ciò che ci piace, ed essere felici di ciò che piace a te!

da Quando s’insegna Dante, Bruna Cordati Martinelli, Nistri-Lischi

Ti vuole il Pascoli

Giovanni Pascoli di Bruno Cordati

Il Pascoli arrivava con il suo passo lento, entrava nel piccolo caffè sotto la loggia con gli archi di pietra, il marzocco da lato, a guardia. Il padrone del caffè era onorato di averlo fra i suoi clienti, aveva persino inventato un liquore verde in suo onore: “Giovanni Pascoli”, diceva l’etichetta stampata; e, sotto, il nome dell’inventore. Quando gli fece vedere l’etichetta, il Pascoli lesse, sorrise, poi prese il lapis, cancellò la prima delle due enne, mutò in minuscola la pi maiuscola: “Così va meglio”, disse, “Giovani pascoli è un bel nome per questo bel verde”. Sorrideva tra sé e sé. Il padrone—il Pascoli ogni volta che lo vedeva si congratulava per il suo nome, Italiano, “è una grande responsabilità”, gli diceva, ma lui non aveva mai capito perché—lì per lì non intese, poi si meravigliò che un così breve tratto di lapis avesse operato un così grande cambiamento di senso, “Ma come gli verranno in mente!”, diceva con ammirazione; però contento non era.

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“Ti vuole il Pascoli”, gli disse un muratore che tornava da lavorare alle cappelle del cimitero, “ha detto che ti aspetta domani”.Gli batteva il cuore la mattina dopo mentre scendeva il viottolo precipitoso verso il torrente, l’attraversava sul ponticello di tavole, risaliva dall’altro lato verso la casa ben nota, spesso contemplata, le logge, l’edera a coprire il muro. Tirò il campanello, il Pascoli stesso era nell’orto e apriva la porta di legno verde. Si presentò. L’altro lo guardava in silenzio, il ragazzo si meravigliava delle profondità di quegli occhi. Appoggiata a una conca di terracotta vuota c’era una camerina da bambola, tutta ammobiliata con specchi e tappeti; il Pascoli vide lo sguardo interrogativo e borbottò: “Se dovesse venire il D’Annunzio a trovarmi…”.

Da Il Paese di pietra di Bruna Cordati, Jaca Book, collana Il Grandevetro /I Vagabondi

è il volersi misurare che inganna

Altana di Casa Cordati

Irrigidirsi? Perché? Guardo le morte farfalle di settembre posate sui bordi delle finestre. Le ali distese mantengono i meravigliosi colori; in altana ne ho trovata una tutta corallo; sulla finestra di cucina una piccola, candida, la divisione tra le ali lasciava in vista il piccolo corpo di raso bianco lucido, attillato.
È il volersi misurare che inganna. Come ciechi, ci misuriamo tra noi e noi, tra quello che ci pare essere e quello che vorremmo essere: differenze da poco. Il nostro lavoro risente di questo isolamento; ci gonfiamo come la rana che voleva diventare grossa come il bove. Ancora Flaubert, parlando dei suoi stati di allucinazione, ma paragonandoli allo stato di ispirazione poetica:  …qui ne peut se comparer qu’à celui d’un fouteur sentant la sperme qui monte et la charge che s’apprête.Flaubert aggiunge: Me fais-je comprendre? Direi di sì. Capisco, non mi piace: questo sforzo nell’attacco, questo alzarsi su di sé.

da Il passo della lucciola, Bruna Cordati, Tipografia Editrice Pisana, 1990