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il poeta e il tempo

Il poeta serve il tempo – giacché lo serve! – in modo involontario, cioè fatale: non posso non. Che la mia colpa di fronte a Dio sia merito di fronte al secolo!

L’unione tra il poeta e il tempo è un matrimonio forzato. Un matrimonio di cui, come chiunque abbia subito una violenza, il poeta si vergogna e da cui cerca in ogni modo di liberarsi – i poeti tramontati fuggendo nel passato, i nascenti nel futuro – come se il tempo fosse meno tempo per il fatto che non è il mio! Tutta la poesia sovietica è una puntata sul futuro. Solo Majakovskij, questo martire della propria coscienza, questo ergastolano dell’oggi, ha amato l’oggi: cioè ha superato in se stesso il poeta.

Il matrimonio del poeta con il tempo è un matrimonio forzato e per questo destinato al fallimento. Nel migliore dei casi: bonne mine à mauvais jeu, nel peggiore – nel più frequente – nel più reale – un tradimento dopo l’altro, e sempre con lo stesso amante: quell’Unico che ha una moltitudine di nomi. “Sfamalo pure come vuoi, il lupo ha sempre gli occhi al bosco”. Noi tutti siamo i lupi dell’impenetrabile bosco dell’Eterno.

(…)

– Il tempo esiste per l’uomo, e non l’uomo per il tempo.

Boris Pasternak è là, io – qui; attraverso tutti gli spazi e i divieti, interiori ed esteriori (Boris Pasternak è con la Rivoluzione, io – con nessuno), Pasternak e io, senza esserci accordati, pensiamo a una stessa cosa e diciamo la stessa cosa.
È questo l’essere contemporanei (Meaudon, gennaio 1932)

da Il poeta e il tempo, Marina Cvetaeva, Adelphi, a cura di Serena Vitale

Nella foto, dal Fondo Faraci, il poeta tra il tempo passato e il presente (pronto al futuro)

alla memoria di marina cvetaeva

 

Cupo si trascina il giorno nuvoloso,
sconsolati scorrono i torrenti.
all’entrata dinanzi la porta straniera
e nelle mie spalancate finestre.

Oltre il recinto, lungo la strada,
il giardino pubblico affonda.
accasciate, come belve nella tana,
giacciono in disordine le nuvole.

Nel maltempo mi balena un libro
sulla terra e la sua bellezza.
io disegno un folletto nel bosco
per te sul frontespizio.

Ah, marina, da un pezzo è tempo,
né sarebbe poi una gran fatica,
le tue neglette ceneri nel requiem
da elabuga portar via.

Il trionfo del tuo funebre trasporto
io pensavo l’anno passato
sopra le nevi dell’ansa deserta
dove stanno le barche nel ghiaccio

              ***

M’è così difficile ancora oggi
immaginare te morta,
come una spilorcia milionaria
tra sorelle ammalate.

da poesie inedite, boris pasteràk, rizzoli, 1966