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Se fosse rimasta avrebbe dovuto per forza delinquere
Gli diceva
“Vieni qui, piccolino mio” – ma era grande, molto più grande di lei, in ogni senso-
e gli tirava indietro i capelli, così sudati dopo ogni declamazione, e lo chiamava Volodja e gli dava ragione in tutto.
Lo seguiva sui selciati dentati che lui vedeva e lei no, persa dietro la sua nuca – a Pietroburgo, di notte.
Era una vecchia pazza e si era innamorata di Majakovskij, ma lui era morto settant’anni prima.
UN po’ era anche un bene così non poteva vederla, coi cernecchi ritinti e gli occhi scerpellini. Una vera vecchia. Una rarità nel suo tempo, dove erano tutte ricucite e travestite da ragazze. Ma all’epoca di Majakovskij, una megera come tante.
Non la sopportava più nessuno.
Già prima poco. Ma adesso, il deserto.
E’ diventata noiosa e indigesta a tutti.
Parla sempre di lui, studia il russo, inveisce contro Lili Brik e quel finocchio del marito, si lascia andare a scene di gelosia.
Una matta da autobus – infrequentabile.
Crede di vivere a Pietroburgo nel 1909, a Mosca nel ’30-
fino al 14 aprile, quando lui si spara – e là si ferma tutto.
Aveva cambiato tempo e terra.
veniva anche comodo, in quel momento, tanto vergognoso per la nostra storia. Frattanto, era scoppiata la guerra*.
* Correva l’anno 1999, e si era convenuto di chiamare “guerra” la gratuita e vigliacchissima aggressione contro i Balcani da parte della Vecchia America e della Nuova Europa. Fu la prima guerra umanitaria, dove i paesi più ricchi si erano messi a bombardare quelli più poveri, per il loro bene. E poi se li guardavano in TV e ci facevano pure le gare della bontà, aggiungendo l’insulto della beneficenza – briciole! ma per bombardarli, migliaia di miliardi.
Fu una guerra agli ospedali, ai treni che trasportavano uomini e oche, ai ponti al Danubio, ai cani, morti nelle strade di Niš, ai vecchi nei loro giardinetti. La vecchia si vergognava. Prima aveva nome e cognome, rispondeva delle sue azioni. Ma ormai era “gli Italiani”, quelli che si erano uniti al massacro.
Ma lei, sorda. Lei era partita.
Se fosse rimasta avrebbe dovuto per forza delinquere, qualche gesto estremo –
capitare con la borsa della spesa piena di bombe nella sede del governo italiano, e fare saltare tutto.
Ma le dispiaceva per sé, nonostante la sua vita non valesse niente.
E non lo fece.
Si volse a Majakovskij
come le nobili mucche, movendo appena il muso.
Semplice come un muggito – Prostoe kak myčanie.
da Gelosa di Majakovskij, Barbara Alberti, Marsilio
Contra musones
Ah, musoni! Disgrazia della famiglia umana, inventori dell’oscena calunnia risus abundat in ore stultorum, quando è così facile arrendersi all’infelicità. Musoni castigagioie che ignorate quanta tenera fatica, quanta delicata ingenuità richieda l’umor lieto. Voi credete che il sorriso fiorisca per caso, e non per amorosa e tremendissima fatica…
da Il ritorno dei mariti, Barbara Alberti, Mondadori
“che cos’è l’amor?” parte 2
Esco.
Esco alto tre metri forse quattro con la testa così alta che strano non intralci i raggi del cinema alto con un altissimo cazzo perché l’amore fa diventare smisurati eh sì signori chi non l’ha provato può anche dire ma và che esagerato non è vero ma chi mai almeno una volta nel mondo l’ha avuto dritto come il mio griderà sì, è vero! l’amore rende così alti che non si passa più dalle porte l’amore fa crescere fino al soffitto e oltre fino alle cime delle case fino alla figa di Elvira.
da Delirio, Barbara Alberti, Mondadori
marina e vladimir
Volodja trovò la casa, in vicolo Boris e Gleb. Sesto piano. Bloccò il dito davanti al campanello sbudellato, picchiò col pugno.
Marina aprì. Si vide l’interno. Volodja tacque un istante, intimidito dalla povertà – e da altro. Faceva più freddo che fuori. Poi disse con la voce di Majakovskij, il bullo: “Ho ricevuto i vostri brutti versi”.
E lei con la voce di Marina Cvetaeva, la provocatrice: “Volete sfidarmi a duello?”.
Poi più nulla. Le voci si fermarono. Restarono uno di fronte all’altra, seduttore contro seduttore, senza sapersi sedurre.
Signori della parola, senza voce. Due istrioni di quella portata, non trovavano uno dei gesti consueti. Di fronte muti, soffrendo ognuno della bellezza dell’altro. Finora si erano visti sempre armati.
Si guardavano come si guardano tra loro i cavalli, assolti dalla parola. Erano usciti dalle loro pelli marchiate, erano pura nostalgia e fratellanza disperata. In un temo fondo, da matrimonio in una cattedrale sperduta, spettrale.
Cominciarono a piangere. Non so se prima lui, o lei. Forse insieme.
da Gelosa di Majakovskij, Barbara Alberti, Marsilio
diottrica
“Comincia una sorda lotta: uscire dal disegno.
Ieri, tornando con l’anfora al fiume, d’un tratto feci un saltello, improvviso anche per me; sperando d’aver sorpreso in velocità il pensiero di Dio. Sperando che almeno quel piccolo salto possa restare fuori del grande disegno.”
da Vangelo secondo Maria, Barbara Alberti, CdE
“Tu ti guardi allo specchio” egli scrive, dopo aver parlato della reciproca implicazione fra Io e Simultaneità “gesticoli, tiri fuori la lingua…Bene. Supponi ora che un dio maligno si diverta a diminuire follemente la velocità della luce.
Tu sei a 40 cm dal tuo specchio. Prima ricevevi la tua immagine dopo 2,666…miliardesimi di secondo. Ma il dio si è divertito a ispessire l’etere. E ora tu ti vedi dopo un minuto, un giorno, un secolo, ad libitum.
Tu ti vedi obbedire con ritardo. Paragona questo con quel che succede quando cerchi una parola, un nome ‘dimenticato’.
Questo ritardo è tutta la psicologia,-che si potrebbe definire paradossalmente: ciò che avviene fra una cosa…e se stessa!”
da Lettre à Pierre Louys, Paul Valéry, Morceaux choisis, Paris 1930, p.298, trad.di Giorgio Agamben