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il metodo critico di Gabriel Bounoure (appunti per 24 scatti n.3)

(…) metodo, se vogliamo, che partecipa di un’annessione amorosa. La critica procede verso la sua diletta preda con mille accortezze e secondo una tattica d’accerchiamento, come se il cercatore di senso pretendesse, attraverso dei veli d’amore sollevati uno dopo l’altro, impadronirsi del segreto di un corpo verbale che irradia la sua notte oscura sottraendosi continuamente, occultandosi, per cogliere, in un bagliore subito estinto, il centro incandescente della palpitazione.
L’esplorazione, condotta a mani nude, scalzi, in un territorio interdetto, può ripetersi più volte fino all’estinzione se non del desiderio, almeno della possibilità di un compimento assoluto, perché di ogni creatore va preservato il segreto.

da “Gabriel Bounoure, un maestro” di Salah Stétié in Il silenzio di Rimbaud, Gabriel Bounoure, Portatori d’acqua, trad.e cura di Riccardo Corsi

Eppure sono l’angelo necessario della terra,

Perché la terra nel mio sguardo rivedete,

Libera dalla sua dura e ostinata maniera umana,
E, nel mio udire, udite il suo tragico rombo

Liquidamente sollevarsi nei suoi liquidi indugi,
Come acquee parole nell’onda; come sensi detti

Con ripetizioni e approssimazioni. Non sono forse,
Io stesso, una sorta di figura approssimativa,

Una figura intravista, o vista un istante, un uomo
Della mente, un’apparizione apparsa in

Apparenze tanto lievi a vedersi che se appena
Volgo la spalla, sùbito, ahi sùbito, svanisco?

da L’angelo necessario, Wallace Stevens, Coliseum, a cura di Massimo Bacigalupo,  trad.di Gino Scatasta

alba


Verità nei boschi, Lorenzo Gramaccioni

Ho abbracciato l’alba d’estate.

Sulla fronte dei palazzi ancora nessun segno di vita. L’acqua era morta. le zone d’ombra non lasciavano la strada del bosco. Ho camminato, risvegliando gli aliti vivi e tiepidi, e le gemme guardarono, e le ali senza rumore si levarono.

La prima impresa fu, nel sentiero già pieno di freschi e pallidi bagliori, un fiore che mi disse il suo nome.

Risi al wasserfall biondo che si scarmigliò attraverso gli abeti: dalla cima argentata riconobbi la dea.

Allora uno dopo l’altro sollevai i veli. Nel viale, agitando le braccia. Nella pianura, dove l’ho denunciata al gallo. Per tutta la città tra companili e cupole, lei fuggiva, e come un mendicante correndo sulle banchine di marmo, io l’inseguivo.

In cima alla strada, vicino a un bosco di lauri, cingendo la nube dei veli la strinsi, e un poco quel corpo immenso sentii. L’alba e il ragazzo caddero in fondo al bosco.

Al risveglio era mezzogiorno.

Da Illuminazioni, Arthur Rimbaud, SE Studio Editoriale, trad,di Cosimo Ortesta