Quali saranno i futuri, possibili modi, della convivenza uomo-donna, ciò che rimane vero, sostanziale, tormentoso, di tutto il suo (di de Rougemont) discorso, è la necessità di un contromodello per positivo rispetto al patologico modello per negativo su cui oggi ancora tanto inerzialmente viviamo.
Non a caso mi sembra di vedere affiorare questa speranza di vivere l’amore in uno slancio che, mentre lo coinvolge, va oltre il rapporto privato, supera l’individualismo, si dirige e impegna verso un rinnovamente totale dei rapporti fra gli uomini, un mutamento di civiltà. E come altrimenti potrà la donna inserirsi nella controproposta, apportando anch’essa all’invenzione e realizzazione positiva dell’amore le sue potenzialità finora inespresse?
Come, se non in un radicale mutamento di cultura, in un radicale congedo dal mito di Isotta e Tristano?
L’amore positivo, se si vuole veramente spezzato quell’egotismo chiuso che de Rougemont depreca, non può essere un ideale individualistico, una partita a due. Implica, invece, tutta una tensione etica, e anche una tensione verso un mito nuovo e diverso, le quali non possono certo oggi essere “ricaricate” all’interno del cristianesimo, legato a vecchi miti negativi, come quello della disuguaglianza originaria della donna; e compromesso, col cattolicesimo, nella politica procreatrice che nega l’amore in tutta la sua carnale e sensuale profondità e libertà; e tuttora compromesso, proprio sotto quest’aspetto, dal suo spiritualismo, dalla sua incombente e irrinunciabile, nozione del peccato e della repressione.
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Ma solo, per intanto, e in attesa di un mutamento profondo sia delle strutture sociali che dei rapporti umani logori e ingiusti, solo una profonda tensione dell’essere verso questo mondo da realizzarsi può suggerire modalità positive dell’amore convissuto fra uomo e donna.
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Un’altra voce a una donna ha detto, una voce tesa al futuro:
(…) Io credo che un giorno ti potrò dire ‘pane’ e tu capirai bene tutto ciò di cui è carica in me questa parola, perché io spero che quel giorno il nostro pane non sarà né magico, né mistico, né estetico, ma sarà quel pane che mangeremo tu ed io ogni volta che avremo fame. Io penso che questa sia la prima condizione per poter comunicare fra noi. La seconda, è mangiarlo insieme, questo pane…”
dall’introduzione di Armanda Guiducci a L’amore e l’occidente. Eros morte abbandono nella letteratura europea di Denis de Rougemont, Rizzoli, BUR