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I drop down to hear my mind breathing out

Deep, deep down in the long roots of doubt
I stop,so I could sigh some more breathing out
Oh, but I could not breathe in
As this moment rose the dream is gone
Oh, steering these waters you show me dawn
That I adore
Made me want so much more

Long, long gone in this field of draught
I drop down to hear my mind breathing out
Oh, but I could not breathe in
As this, I’ll source the pain is gone
Oh, clearing these waters you show me dawn
That I adore
Made me want so much more

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Going to the dogs è un espressione inglese «andare in rovina»,  “toccare il fondo”.

ma appena ti desti…

Figures in the castle, Manuel Álvarez Bravo, 1920

15 aprile

(…)

sera

Sul declinar del meriggio Tardegardo chiuse i suoi libri ed avviossi per la solita passeggiata sul colle, e com’ei mi sembrò meno ombroso de’giorni passati, gli chiesi di portarmi con sè. Egli parve alquanto esitare, poi, com’altri prende una decisione cruciale, dissemi “Andiamo”.
Il colle era tutto quiete e silenzio, e come giungemmo nel sito caro a Tardegardo mi sentii separato dal mondo, e credo che anch’ei l’ami tanto per questo. Dopo esser rimasto per oltre mezz’ora in silenzio e con gli occhi semichiusi in contemplar l’orizzonte, Tardegarso parlò. “Se non pensi, se non sogni e non ricordi e non temi, ed i sensi si stanno tranquilli senz’esulcerare i loro organi, sei felice, Orazio mio, o almen non sei infelice; e sai dond’avviene? Perché allora è come se le nostre passioni non parlassero romorosamente siccom’esse fan perlopiù, ma sussurrassero fra lor piano piano senza svegliare il nostro essere, che può così seguitare il suo placido sonno nel seno della Madre Natura, che ci culla, e vezzeggia, e riscalda al suo tepido fiato. Ma appena ti desti ti sgomenterà la sua infinità disumana, ed il suo aspetto mostruoso: allor cercherai di fuggire dimenando le membra ed urlando, ed Essa, con suprema indifferenza, ti schiaccerà nella sua medesima mole”.
Si fermò per calmare l’agitazione del respiro, poi riprese pallidissimo in volto: “Perché ciò non avviene ai bambini? Essi temono l’Uomo Nero e la Strega, certo, ma non conoscono quest’angoscia straziante del sapersi vivi; il lor terrore è lo straordinario: l’ordinario si è il nostro. Tu ‘l sai, essi son nella Natura più addentro di noi, e per quanto parli in lor timidetto il pensiero, e’ agiscono sempre secondo Essa ditta: ed anco gli Antichi, tanto di noi più felici, eran con Essa in un rapporto più intrinseco e stretto, e bene osserva al proposito il profondissimo Vico potersi la Storia dell’Umanità partirsi in etadi coma la vita d’un uomo, e doversi imaginare gli Antichi non già come gravissimi vegli muniti di barbe canute, siccome soliamo, ma come teneri infanti. Solamente la vasta famiglia de’bruti, Orazio diletto, non conosce cangiamenti restando fedele a sé stessa di millennio in millennio, e sol tu vedi ch’appresero l’arte dell’infelicità, in una picciola quota, quelle Specie che studiarono alla scuola dell’uomo, come i cani domestici, che soffrono se il padrone non parla loro con voce benigna o se nega l’usata carezza, e certi cavalli ed asini de’più sensibili, ed anco certe simie e certi papagalli, che s’affezionano a’marinaj a tal segno che quando i lor padroni defungono, e’ lasciansi morire di fame”.
dopo queste parole arrestossi più lungamente della prima volta, e non ripigliò se non dopo lenti sospiri. “Rimembri tant’anni fa, quando il signor Padre ci chiamava le sue Bestjuole, e noi ruzzavamo tutto il giorno per terra? Quaj versi, quali informi grugniti emettevamo mentre ci azzuffavamo con le unghie e co’ denti, e più ‘l giuoco sapea di bestiale più noi godevamo? Ed anco il giuoco del nascondersi, non era la caccia del lupo al cerbiatto, e l’union di due palpiti opposti? Non fummo mai così vivi com’allor che ci uccidemmo e morimmo, resuscitando per morire ed uccidere ancora. Solo allora, fratellino mio, solo allora eravamo in armonia con la legge della Natura, e con il mistero della sua arcana energia. Ascoltami Orazio, io son venuto recentemente scoprendo cose tremende e insieme maliose, ed in esse come in un sogno m’aggiro cercando di capir cos’è vero o cosa sarallo o lo fu, ma sempre n’esco prostrato e confuso, com’avessi bevuto del vino. Per cui non posso dirti ancor nulla, né ‘l voglio, ad eccezione del poco che a sufficienza riluce. Conosci ‘l secreto di tornare bambino? No, certissimamente che no. Conosci tu un Mito, anch’uno solo, che narri d’uomo o d’un dio ritornato bambino? Nemmeno, perché la legge del Tempo tiene delle Scienze esatte, e non consente illusioni. Ma prendi il Minotauro o le Sfingi, prendi gli amanti di Circe o i Centauri, vedrai che le leggende dell’uomo son piene di mostri mezzo uomini e mezzo animali, d’animali che furono uomini, d’uomini che furo animali. Sai tu donde questo procede? Non d’altro, Orazio mio, che da nostalgia”.

da Io venìa pien d’angoscia a rimirarti, Michele Mari, Cavallo di Ferro, 2012

 

Sempre grata a Maurice Sans Terre per le scoperte fotografiche

a cura di Walter Benjamin

Edizione unica e non ripetibile, di trentuno esemplari, numerati e firmati dall’Artista, licenziata -sibi et sodalibus- a cura delle Edizioni Accessorie in Roma, si correda della acquaforte originale “Le Ministère de la Marine” disegnata nel 1865 da Charles Meryon e nuovamente incisa per questa pubblicazione da Laura Stor. I versi di Charles Baudelaire, tratti dalla poesia “La Béatrice” e la “Nota al testo” di Walter Benjamin, tradotta da Marco Federici Solari, sono allestiti avvalendosi del carattere Bodoni Book, presso la tipografia Riva di Carugate, il cinque di novembre dell’anno 2012

una militanza

mara fam

Tutto il mio lavoro naturale, quello della mia natura – e che ho eseguito per tutta la mia vita, a partire dai 20 anni, non consiste che in una specie di preparazione perpetua, senza oggetto, senza finalità – forse altrettanto istintiva che il lavoro di una formica, benché di tendenza additiva, perfettiva; benché infine orientata in direzione di una crescita della coscienza stranamente perseguita con ostinazione e istinto costante.

da Quaderni – Volume Primo – Ego, Paul Valéry, Adelphi, trad.di Ruggero Guarini

Alpha & Mila

naufragi

Francesco Balsamo

Paul Celan a Ingeborg Bachmann, Parigi 16.2.1952

Cara Ingeborg,
poiché mi è così difficile rispondere alla tua lettera, ti scrivo soltanto oggi. Non è la mia prima lettera per te da quando cerco una risposta, ma spero che infine questa sia la lettera che davvero ti mando.
Questo è quanto voglio dirti: non parliamo più di cose perdute per sempre, Inge – esse riaprono soltanto la ferita, suscitano in me collera e fastidio, resuscitano il passato – e questo passato così spesso mi sembrava una colpa, lo sai, te l’ho fatto sentire, capire -, fanno affondare tutto in un buio, sopra il quale bisogna stare a lungo accovacciati per riportarle alla luce, l’amicizia si rifiuta ostinatamente di intervenire in nostro aiuto -, come vedi accade il contrario di quanto desideri, tu crei, con poche parole che il tempo disperde davanti a te non proprio a breve distanza l’una dall’altra, quelle oscurità che devo giudicare severamente proprio come un tempo ho fatto con te.
No, non rompiamoci il capo per ciò che non ritornerà più, Ingeborg. E ti prego, non venire a Parigi per me! Ci faremmo soltanto del male, tu a me e io a te – e perché mai, ti chiedo?
Ci conosciamo abbastanza, per renderci conto che fra noi può restare solo l’amicizia. L’altro è irrimediabilmente perduto.
Se mi scrivi, so che a questa amicizia tu tieni un poco.

Ancora due domande: il dott. Schoenwiese non ha più interesse a fare una trasmissione con le mie poesie? Milo non mi ha scritto, dunque anche dell’invito per la Germania non se ne fa nulla?
Da Hilde Spiel ho ricevuto da circa due mesi fa una lettera genitle, questo è tutto finora: non ha risposto a una mia lettera nella quale le chiedevo se potevo ancora sperare di trovare un editore. Soffro molto per questa faccenda delle poesie, ma nessuno mi aiuta. Tant pis.

Fatti sentire di nuovo, Inge. Sono sempre felice, quando scrivi. Sono felice davvero.

 

Ingeborg Bachmann a Paul Celan, Vienna, 21.2.1952

Caro Paul,
ieri ho ricevuto la tua lettera del 16. – grazie. Scusa, però, se ti faccio alcune domande alle quali non dovrebbe esserti difficile rispondere, se credi alla possibilità di un’amicizia fra noi.
Non voglio porti di fronte a nuovi problemi e pretendere da te di riprendere il nostro legame dal punto in cui lo abbiamo interrotto. Non verrò a Parigi per te. Ma non è escluso che io venga lo stesso, un giorno o l’altro – è quasi normale per il mestiere che faccio. E vorrei chiederti, per evitare malintesi, se vuoi sapere quando vengo e, in tal caso, se hai intenzione, eventualmente, di venire a prendermi, oppure no? O ti secca rivedermi? Non arrabbiarti se te lo chiedo, ma la tua lettera mi ha reso molto insicura, ti capisco e non ti capisco; ho sempre saputo quanto era difficile, – il tuo disgusto e la tua “rabbia” sono comprensibili – ciò che non capisco, questo dovevo dirlo una buona volta – è questo terribile rifiuto alla riconciliazione, “il non perdonare e non dimenticare mai”, questa terribile diffidenza che sento verso di me.
Ieri, mentre leggevo e rileggevo la tua lettera, mi sono sentita una miserabile, tutto mi è sembrato senza senso e inutile, il mio impegno, la mia vita, il mio lavoro. Non dimenticare che le “oscurità” che tu condanni in me, sono una conseguenza del mio parlare nel vuoto. Non ho più la possibilità di riparare e questo è il peggio che possa capitare. La mia situazione diventa sempre più desolata. Ho puntato tutto su un’unica carta e ho perso. Ciò che sarà di me dopo mi interessa poco. Da quando sono ritornata da Parigi, non sono più capace di vivere come ho vissuto prima, ho disimparato la curiosità per il nuovo, non lo voglio neanche più, non voglio assolutamente più nulla. E non temere che io ricominci a parlarne – voglio dire delle cose passate.
Parlaiamo dunque d’altro: Schoenwiese porterà le tue poesie – la prossima settimana viene a Vienna e io sono certa che nelle trattative tra il suo e il nostro studio questo “punto” sarà risolto positivamente. I ritardi non hanno nulla a che vedere con te o con noi, ma dipendono da difficioltà esterne. La stazione radio ha appena superato una grave crisi, alcune cose sono cambiate – e in ogni momento sono sorti tanti problemi di natura tecnica, che gravano su una grande azienda, e questo ha protato a trascurare il lavoro vero e proprio. invece, trovo più triste che Hilde Spiel non faccia sapere nulla di sé. Ma tu non lasciarti scoraggiare! La cosa non deve toccarti.
Cerca, ti prego, di non dimenticare mai che noi – Nani, Klaus e tanti altri – pensiamo sempre a te e che un giorno uno di noi avrà le mani libere e acquisterà tanta influenza da volgere tutto al meglio.
Ingeborg

da Troviamo le parole. Lettere 1948-1973, Ingeborg Bachmann, Paul Celan. Nottetempo