Tag Archives: annemarie schwarzenbach

il viaggio

 

Nulla mi avrebbe impedito di prendere in affitto una camera in una delle strade tortuose sulle colline di Beyoglu, in riva al mare, e di starmene seduta alla finestra , un piano sopra il cupo suono dei vicoli guardando in basso, giorno dopo giorno, imperturbabile, fino a sera.

(…)

Non avevo una meta precisa, né intendevo un giorno fermarmi, trovar pace, pensare di essere giunta in un paradiso terrestre, perciò tutto questo mi diceva poco. Nel momento stesso in cui ci avvicinavamo a un orizzonte a lungo contemplato, scomparivano il campanile e i campi di grano, si spegnevano le bandiere, le campane tacevano, le donne portavano fazzoletti e gonne ondeggianti di foggia diversa; invece di vitelli bianchi, intenti a pascolare, vedevo bufali indolenti, lucidi come l’olio, distesi nel fango caldo sotto un ponte. Finite le ampie catene di colline e i campi estivi, una strada stretta scendeva lungo il versante di una romantica valle avvolta di ombre gialle, marroni e viola e si inoltrava nel cuore di montagne senza nome.

A cosa mai mi sarebbe servito conoscerne il nome! Una volta in viaggio si dimentica il desiderio di sapere, non si conosce più l’addio né il rimpianto, non ci si chiede più da dove né verso dove si va. Al massimo sono le lancette dell’orologio a dirti che è passata qualche ora e che si è andati ancora più verso est. Con il passare dei giorni diventa sempre più impossibile ritornare e, in fondo, non lo si vuole nemmeno. Strapparsi gli abiti, ammettere che si è andati troppo lontano, che in queste regioni straniere si è come un mendicante, un bambino senza culla, un prete senza chiesa, un cantante senza voce – ammettere che si cerca la sicurezza e si teme di vivere inutilmente? Che si vorrebbe riparare qualcosa, recuperare quanto si è perso?

Non sappiamo di cosa viviamo, come possiamo allora perdere qualcosa e rimpiangerlo? Era già tardi la sera in cui, arrivando a Istanbul, passai, esausta, sotto l’antichissimo arco della porta cittadina: il selciato risuonava, le piccole lampade a olio illuminavano il vicolo del bazar e arrivai infine alle acque scintillanti del Bosforo, che fluivano in silenzio incessante. Allora avrei potuto forse trarre un sospiro di sollievo e credere per un istante di aver raggiunto una meta, di aver ampiamente meritato questo incontro dai mille accenti. Ma poi sarei stata subito assalita da dubbi terribili e mi sarei chiesta se questa era davvero la meta giusta, l’ultima; avrei visto in sogno le cattedrali di altre città e al risveglio ne avrei cercato i nomi altisonanti sui cartelli stradali e sulle cartine geografiche. Il viaggio non richiede alcuna decisione e non mette la nostra coscienza di fronte a scelte che ci rendono colpevoli e pentiti, umili e ostinati fino a farci dubitare di ogni giustizia, pensando che questa nostra vita sia solo un labirinto, una prova fatale. La partenza è liberazione – oh, unica libertà che ci è rimasta!- e richiede solo un coraggio indomito, che ogni giorno si rinnova…

 

Da Therapia-La via per Kabul 1939-1940, Annemarie Schwarzenbach, Il Saggiatore (regalo di Rocco & Vincenzo della Libreria Simon Tanner di Roma)