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Ad altri l’universo sembra onesto. Sembra onesto alle persone oneste perché hanno gli occhi castrati. è per questo che temono l’oscenità. Non provano alcuna angoscia se sentono il canto del gallo o se si accorgono del cielo stellato. Generalmente, godono i “piaceri della carne” a condizione che siano scipiti.

 Ma già da allora non c’erano più dubbi: non amavo quelli che eufemisticamente si chiamano “piaceri della carne”, forse proprio perché sono senza sapore. Amavo ciò che si giudica come “osceno”.

Non ero per niente soddisfatto, al contrario, del pervertimento semplice, perché esso insozza soltanto se stesso, e, in ogni caso, lascia intatta un’esistenza elevata e perfettamente pura. La dissolutezza che io conosco non soltanto deve insozzare il mio corpo e i miei pensieri, ma tutto ciò che immagino davanti ad essa e soprattutto l’universo stellato…

da Storia dell’occhio, Georges Bataille, Gremese Editore, trad. di Dario Bellezza

L’erotismo sembra essere una forma di conoscenza che nel momento stesso che scopra la realtà, la distrugge. In altri termini si può conoscere il reale per mezzo dell’erotismo; ma al prezzo della distruzione completa e irreparabile del reale medesimo. In questo senso l’esperienza erotica si apparenta a quella mistica: ambedue sono senza ritorni, i ponti sono bruciati, il mondo reale è perduto per sempre. Altro carattere comune all’esperienza mistica e a quella erotica è che esse hanno bisogno dell’eccesso; la misura, che è propria al conoscere scientifico, è sconosciuta tanto a l’una che all’altra. Quest’eccesso, naturalmente, porta alla morte. Ma nell’esperienza mistica sarà la morte del soggetto; in quella erotica, la morte dell’altro. Questo spiega forse il carattere apparentemente suicida dell’esperienza mistica e omicida dell’esperienza erotica.

dalla Prefazione di Alberto Moravia alla Storia dell’occhio di Georges Bataille, Gremese Editore, 1980

Deadcrush, Alt-J

Moneglia il 15 ottobre 2012

Please don’t go, please don’t go, I love you so, I love you so

La casa sul mare

– è da tanto che non lo vedi?
– Tre anni dopo che…
– Dopo la mia morte?
– Tre anni

Il tempo s’era fatto immobile.
Quieta risciacquava un’infelicità
stordita, senza struggimento.

– E tu?
– Oh, io, ma sparuta nebbia tu…
– La neve mi fodera che riposa
algida sul mio ghiaccio come
una sposa, una colomba senza desideri.
Ricordami, tu che mi ascolti
di là da un vetro, di un altro
inverno in attesa per sognarli
monologanti comunque
vivi i tuoi numi.

– Non esiliarmi dalla tua foschia.
Prendila questa mia supplica
estrema. Prendila, ripetila
(non esiliarmi…)
lentamente con me, ripetila.
Come una giovanetta fulgente
piegando a una culla le ginocchia.
Quante (arrossendo) nuvole nei
venti d’inverno avrai
amato torbide scavallando.

Con labbra
velate di notte accennai
increscioso un addio che era
sognava un brillìo sui capelli
radi (ricordo) falcidiati.

da Sguardo dalla finestra d’inverno, Ferruccio Benzoni, All’Insegna del Pesce d’Oro

Non mi è stato possibile scoprire il nome della lettrice del Secolo XIX, autrice della foto