Tag Archives: acquatinta

chiusura e trasferte

eugen kirchner november 1895 acquatinta e acquaforte

 

La Libri Necessari sarà chiusa nei seguenti giorni:

25 e 26 dicembre 2013;

dal 30 dicembre 2013 al 3 gennaio 2014;

11 e 12 gennaio 2014.

Le Edizioni Accessorie saranno in mostra alla libreria Libet di Milano sabato 11 gennaio 2014 e in quell’occasione sarà presentato il volume Cummy, di Angiolo Bandinelli con un linoleum di Edoardo Fontana.

polizia

Prehistoric bird, Fred Becker, 1941

 

L’aspetto ignominioso di questa autorità – che è avvertito da pochi solo perché le sue attribuzioni bastano di rado agli interventi più massicci, ma possono operare tanto più ciecamente nei settori più indifesi e contro le persone accorte da cui le leggi non proteggono lo Stato-, consiste in ciò che, in essa, è soppressa la divisione fra violenza che pone e violenza che conserva la legge. Se si esige dalla prima che mostri i suoi titoli nella vittoria, la seconda è soggetta alla limitazione di non doversi porre nuovi fini. La polizia è emancipata da entrambe le condizioni. Essa è potere che pone -poiché la funzione specifica di quest’ultimo non è che di promulgare le leggi, ma qualunque decreto emanato con forza di legge-, ed è potere che conserva il diritto, poiché si pone a disposizione di quegli scopi. L’affermazione che gli scopi del potere di polizia siano sempre identici o anche solo connessi a quelli del rimanente diritto, è profondamente falsa. Anzi, il diritto della polizia segna proprio il punto in cui lo Stato, vuoi per impotenza, vuoi per le connessioni immanenti di ogni ordinamento giuridico, non è più in grado di garantirsi -con l’ordinamento giuridico- gli scopi empirici che intende raggiungere ad ogni costo. perciò la polizia interviene, “per ragioni di sicurezza”, in casi innumerevoli in cui non sussiste una chiara situazione giuridica, quando non accompagna il cittadino, come una vessazione brutale, senza alcun rapporto con fini giuridici, attraverso una vita regolata da ordinanze, o addirittura non lo sorveglia.

(…)

E benché la polizia, nei particolari, si somigli dovunque, non si può tuttavia fare a meno di riconoscere che il suo spirito è meno distruttivo dove essa incarna (nella monarchia assoluta) il potere del sovrano, in cui si congiunge la pienezza del potere legislativo ed esecutivo, che nelle democrazie, dove la sua presenza, non sollevata da un rapporto del genere, testimonia della massima degenerazione possibile della violenza.

da Per la critica della violenza, in Angelus novus, Walter Benjamin, Einaudi, trad.di Renato Solmi

il viaggio

 

Nulla mi avrebbe impedito di prendere in affitto una camera in una delle strade tortuose sulle colline di Beyoglu, in riva al mare, e di starmene seduta alla finestra , un piano sopra il cupo suono dei vicoli guardando in basso, giorno dopo giorno, imperturbabile, fino a sera.

(…)

Non avevo una meta precisa, né intendevo un giorno fermarmi, trovar pace, pensare di essere giunta in un paradiso terrestre, perciò tutto questo mi diceva poco. Nel momento stesso in cui ci avvicinavamo a un orizzonte a lungo contemplato, scomparivano il campanile e i campi di grano, si spegnevano le bandiere, le campane tacevano, le donne portavano fazzoletti e gonne ondeggianti di foggia diversa; invece di vitelli bianchi, intenti a pascolare, vedevo bufali indolenti, lucidi come l’olio, distesi nel fango caldo sotto un ponte. Finite le ampie catene di colline e i campi estivi, una strada stretta scendeva lungo il versante di una romantica valle avvolta di ombre gialle, marroni e viola e si inoltrava nel cuore di montagne senza nome.

A cosa mai mi sarebbe servito conoscerne il nome! Una volta in viaggio si dimentica il desiderio di sapere, non si conosce più l’addio né il rimpianto, non ci si chiede più da dove né verso dove si va. Al massimo sono le lancette dell’orologio a dirti che è passata qualche ora e che si è andati ancora più verso est. Con il passare dei giorni diventa sempre più impossibile ritornare e, in fondo, non lo si vuole nemmeno. Strapparsi gli abiti, ammettere che si è andati troppo lontano, che in queste regioni straniere si è come un mendicante, un bambino senza culla, un prete senza chiesa, un cantante senza voce – ammettere che si cerca la sicurezza e si teme di vivere inutilmente? Che si vorrebbe riparare qualcosa, recuperare quanto si è perso?

Non sappiamo di cosa viviamo, come possiamo allora perdere qualcosa e rimpiangerlo? Era già tardi la sera in cui, arrivando a Istanbul, passai, esausta, sotto l’antichissimo arco della porta cittadina: il selciato risuonava, le piccole lampade a olio illuminavano il vicolo del bazar e arrivai infine alle acque scintillanti del Bosforo, che fluivano in silenzio incessante. Allora avrei potuto forse trarre un sospiro di sollievo e credere per un istante di aver raggiunto una meta, di aver ampiamente meritato questo incontro dai mille accenti. Ma poi sarei stata subito assalita da dubbi terribili e mi sarei chiesta se questa era davvero la meta giusta, l’ultima; avrei visto in sogno le cattedrali di altre città e al risveglio ne avrei cercato i nomi altisonanti sui cartelli stradali e sulle cartine geografiche. Il viaggio non richiede alcuna decisione e non mette la nostra coscienza di fronte a scelte che ci rendono colpevoli e pentiti, umili e ostinati fino a farci dubitare di ogni giustizia, pensando che questa nostra vita sia solo un labirinto, una prova fatale. La partenza è liberazione – oh, unica libertà che ci è rimasta!- e richiede solo un coraggio indomito, che ogni giorno si rinnova…

 

Da Therapia-La via per Kabul 1939-1940, Annemarie Schwarzenbach, Il Saggiatore (regalo di Rocco & Vincenzo della Libreria Simon Tanner di Roma)

once upon a time…


Notte a Piazza Nuova, Aldo Burattoni

Once upon a time, her house was the spit of mine.

Men fall for terrible weirdos in a dumb way more and more as they get older; my old man, fond of me as he constantly was, often did. I never give it the courtesy of my attention.

For here we are in the present, which is happening now, and I am a famous widow babysitter for whoever thinks I am unbalanced but within reason. I am a grand storybook reader to the little ones. I read like an actress, Joan Crawford or Maureen O’Sullivan, my voice is deeper than it was.

da Enormous changes at the last minute, Grace Paley, The Noonday Press

 


Cappuccetto rosso playing cards

Fernando Milagros scoperto grazie a Foglia

il luogo


s.t. Ugo Grazzini

D’improvviso le parla da un luogo illegittimo, le si avvicina come un’ombra schiacciata sulla parete. Vorrebbe morire ma una calma disastrosa lo inchioda al pavimento. “Accadrà qualcosa?”.
“Nulla che non sia già accaduto”. La voce di lei cade dentro uno spazio neutro diventando la voce di nessuno, l’estremo limite dove ogni voce potrebbe annullarsi. Spia il suo viso e scopre che c’è dell’altro, il segreto illimitato del suo destino. “Chi ci minaccia?”, domanda ritirandosi nell’attesa. “Un luogo, forse più di uno, una marea di segni gettati da questa luce”. Un altro abita la stessa camera, li accompagna per strada con il suo pianto feroce.
C’è una piazza che prende la parola e dice: “Vi separerete qui, dentro di me, nel punto dove assomiglio al cielo”.
Lui si imbatte in una faccia cariata, in un dolore scavato fino all’osso. “Ci sono angeli che sanguinano”, dice cullandosi nel suo ventre, “alcuni passano la notte scrivendo le nostre parole e cancellando quelle giuste. Ci sono angeli senza misericordia, ognuno custodisce un lembo della nostra morte”.
“Ciascuno di questi esseri ha un destino che somiglia al nostro”. Le dice queste parole per tutto il tempo che lei lo guarda, esausta, da una terra di frontiera. “Ognuno di essi”, aggiunge, “ha un ago che lo ricuce al nulla”. Lei si volta, vorrebbe che un’ombra qualunque le svelasse questo segreto. Incontra il corpo di lui che il desiderio condanna alla presenza, una presenza peggiore della morte. Si accorge del suo dolore come se ogni cammino fosse stato percorso e quel luogo non fosse che la ripetizione di una traccia cancellata. “Dove stiamo andando?”. La voce esce da un vicolo oscuro, nessuno dei due sa con esattezza a chi appartenga. “Quando arriveremo? è vero che stiamo andando dalla stessa parte?”. Lei vorrebbe conoscere chi ha parlato, se l’uomo che le sta di fronte è lo stesso che ha parlato. Lui è muto, una malattia invincibile l’ha reso incapace di domandare. Un battito d’ala attraversa la fronte dell’uomo, lei è convinta che quella carcassa scossa da un tremito contenga la voce che la interroga.
Le ricorda la loro stanza, i corpi scuciti sulle lenzuola. Una luce troppo chiara penetra dall’abbaino, nel triangolo luminoso azzardano una prossimità sorvegliata. Rammenta che le aveva detto: “In questa posizione è più difficile essere visti”. Lei avrebbe voluto dimenticare. “Aiutami a dimenticare”, lo aveva implorato piangendo. I due corpi si muovono appena, toccandola ha l’impressione che una vertigine gli sottragga i punti che più desidera, uno per uno.
Le parole, dicono, le parole inceneriscono se vengono guardate. le descrive la stanza. è una stanza disabitata, abitata solo da esseri sottili. Improvvisamente si accorge che le sta escrivendo il vuoto, lo stesso vuoto che l’ha accolta da quando ha preso la parola. Descrivendole la stanza ha come una fitta al cuore, pensa che una differenza sia là suo malgrado, nonostante le sue parole. Riflette su questa legge, su ogni legge che distruggendolo rende possibile il desiderio.
La strada si esaurisce dentro una luce di cemento armato. Tengono in vita le parole utilizzando gli errori, ogni tanto una voce spalanca degli abissi. “Ci sono ombre desolate che origliano alle porte”, confessa urtando contro i suoi occhi.
Una porta si apre davanti a loro, i battenti guardano in ogni direnzione.
“Mi fermerò qui, dove la soglia è più corrosa!”.
“Prendi almeno una direzione, una qualunque!”.
“Questa soglia è il mio destino”.

da Lettera sugli angeli e altri racconti, Roberto Carifi, Via del Vento Edizioni

la città delle zecche

Si uncinano cercando la nuca
la pelle tenera vicino agli occhi
per sfuggire la furia delle unghie e dei denti –
fino che si inturgidiscono di sangue:

se un colpo le stacca
la goccia cade
ma gli acuti rampioni restano affissati
dentro le carni
altrui

pur si aggrovigliano le zecche
umane si aspirano pungendosi –

di cemento si espande il disperato
nido,
la città delle zecche –

succhiano
succhiano per dimenticare.
da Il Dio delle zecche, Danilo Dolci, Mondadori